Don Chisciotte della Mancia Vol. 2/Prologo
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Traduzione dallo spagnolo di Bartolommeo Gamba (1818)
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PROLOGO.
Fu già un pazzo in Siviglia che stavasi incaponito nel più curioso sproposito ed argomento in cui sia mai incorso pazzo al mondo. E quest’era, che portando seco una canna appuntata alla sua estremità, se gli veniva trovato un qualche cane per istrada od altrove, con un piede ne teneva compressa al suolo una zampa, e gli alzava l’altra colla mano; poi adattavagli alla meglio la canna in certo buco, in cui soffiando lo faceva diventare rotondo come una palla. Compito il giuoco, e date al cane due leggiere spalmate sul ventre, lo lasciava andar libero, dicendo ai circostanti, che sempre erano molti: Credono ora le signorie loro che basti poca fatica per gonfiare un cane?
— Ed ora stimano forse le signorie vostre che costi poco travaglio la composizione di un libro? Ma se non bastasse la evidenza di questo racconto, farai, amico mio lettore, sentire quest’altro che tratta egualmente di un pazzo e di un cane.
Viveva in Cordova un altro pazzo che usava portare sulla testa un pezzo di marmo, od un mattone grosso e pesante, e scontrandosi in qualche cane sbadato, gli andava accosto e gli lasciava piombare addosso quel peso. Inferociva il cane, e mettendo latrati ed urli la dava quanto poteva alle gambe. Avvenne che fra i cani ai quali egli fece quel brutto regalo, uno ne trovò di un berrettaio che lo tenea molto caro. Cadde la pietra, e colse sulla testa il povero animale, che mezzo schiacciato assordò tutti coi latrati. Fu veduto ed udito dal padrone, che, tolta una lunga misura di legno, raggiunse il pazzo, nè gli lasciò osso sano, dicendogli ad ogni bastonata: Furfante indegno, col mio povero bracco tu te la prendi? Non ti accorgesti, manigoldo, che il mio cane era un bracco? — E reiterando il nome di bracco più e più volte, lasciò finalmente andare il pazzo tutto macinato dalle percosse. Posto costui in avvertenza da questo esempio, non uscì di casa per oltre un mese; a capo del quale tornò a farsi vedere collo stesso divisamento di prima, e portando anche una pietra più grande. Quando però abbattevasi in qualche cane lo guardava fissamente, e non osando scaricare la pietra, diceva a sè stesso: Guardati, chè questo è bracco! In effetto, qualunque si fosse il cane in cui s’incontrava, fosse pure can corso o cagnolino gentile, dicea sempre ch’era bracco, e in tal modo si astenne in progresso dal più avventare altre pietre.
Ora forse potrebbe avvenire a cotesto storico che non osasse più far mostra del proprio ingegno col dare alla luce libri, che, privi essendo di merito, riescono più duri delle pietre. In fine quanto alla minaccia che mi fa il critico, che il suo libro toglierà al mio ogni guadagno, non me ne do il menomo fastidio, perchè attenendomi al famoso intermezzo della Perendenga, gli rispondo: Viva per me il ventiquattro mio signore, e Dio per tutti4. Abbastanza è per me se vive lunghi anni l’alto conte di Lemos, la cui pietosa e ben conosciuta liberalità mi sostiene a dispetto della nemica fortuna, e se mi conserva la suprema sua generosità l’illustrissimo don Bernardo di Sandoval e Roscias di Toledo. Mi manchino pure le stamperie tutte del mondo, ed escano pure alla luce contro di me più libri che non sono le parole colle quali composte sono le canzoni di Menico Revulgo. Questi due principi, senza essere stimolati da veruna mia adulazione nè da altra maniera di plauso, ma condotti unicamente dalla loro bontà, si sono impegnati a darmi favore e ad impartirmi beneficenze, e ciò mi costituisce avventurato e dovizioso più assai che se la fortuna mi avesse per altro cammino portato all’apice della felicità. Può il povero vantare onore, non già il vizioso: la nobiltà può essere appannata dalla miseria, ma non oscurata affatto. Siccome poi la virtù di per sè stessa risplende, tuttochè non faccia uscire il suo lume se non attraverso di inconvenienti e di opposizioni, viene quindi tenuta nel più alto pregio dai nobili ed elevati ingegni, e per conseguente assai favorita.
Null’altro dirai al critico, o leggitore, nè a te altro io voglio soggiungere, se non avvertirti di considerare che questa seconda parte del don Chisciotte, che ora ti offro, e lavoro del medesimo artefice, ed è della tempra stessa della prima; e che in essa ti presento don Chisciotte sino all’ultimo della sua storia, e finalmente morto e sepolto. Mi sono a tale partito condotto affinchè non siavi chi ardisca di uscire in campo con nuove falsificazioni, da che sono anche soverchie le passate; e basta poi che un discreto uomo abbia fatte gustare un poco queste giudiziose pazzie senza ravvolgervisi per entro eternamente. L’abbondanza delle cose, benchè sieno buone, fa loro perdere il pregio; e vanno sino a mercarsi estimazione le meschine quando se ne faccia economia. Mi dimenticavo di prevenirti, o lettore, che puoi attenderti quanto prima il Persile che da me va compiendosi, ed altresì la seconda parte della Galatea.
Note
- ↑ Colui che sotto il nome del licenziato Alonzo Fernandez de Avelianeda, nativo di Tordessillas, pubblicò il suo libro in Taragona.
- ↑ La battaglia di Lepanto.
- ↑ Allusione a Lope de Vega che dopo avere avute due mogli fu prete e del Santo Offizio.
- ↑ La Perendenga è una composizione teatrale del tempo di Cervantes, della quale non si conosce l’autore. Ventiquattro chiamovansi i Regidori od ufficiali municipali di Siviglia dopo che furono ridotti a cotal numero da Alfonso il Giustiziere, mentre prima erano trentasei.