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prologo. 5

che abbia anche detto ch’io sono assai scarso d’ingegno, e ch’egli è bene ch’io mi circoscriva nei termini della modestia, e ciò per non accrescere afflizione all’afflitto. Debbo credere che sia soverchiamente grande la modestia che investe anche quel signore, il quale non osa comparir in campo alla scoperta, ma vela il suo nome e mente eziandio la patria, quasi che fosse un reo di lesa maestà. Se ti avviene, o leggitore, per avventura di riconoscerlo, digli da parte mia che non me ne tengo per offeso, poichè so bene quali sono le tentazioni del demonio, e che una delle pericolose quella si è di mettere in testa ad un uomo di essere da tanto da comporre e stampare un libro con cui guadagnar tanta fama quanti danari, e tanti danari quanta fama. In prova di ciò mi sarà grato che scherzosamente tu gli racconti la Novelletta seguente.

Fu già un pazzo in Siviglia che stavasi incaponito nel più curioso sproposito ed argomento in cui sia mai incorso pazzo al mondo. E quest’era, che portando seco una canna appuntata alla sua estremità, se gli veniva trovato un qualche cane per istrada od altrove, con un piede ne teneva compressa al suolo una zampa, e gli alzava l’altra colla mano; poi adattavagli alla meglio la canna in certo buco, in cui soffiando lo faceva diventare rotondo come una palla. Compito il giuoco, e date al cane due leggiere spalmate sul ventre, lo lasciava andar libero, dicendo ai circostanti, che sempre erano molti: Credono ora le signorie loro che basti poca fatica per gonfiare un cane?

— Ed ora stimano forse le signorie vostre che costi poco travaglio la composizione di un libro? Ma se non bastasse la evidenza di questo racconto, farai, amico mio lettore, sentire quest’altro che tratta egualmente di un pazzo e di un cane.

Viveva in Cordova un altro pazzo che usava portare sulla testa un pezzo di marmo, od un mattone grosso e pesante, e scontrandosi in qualche cane sbadato, gli andava accosto e gli lasciava piombare addosso quel peso. Inferociva il cane, e mettendo latrati ed urli la dava quanto poteva alle gambe. Avvenne che fra i cani ai quali egli fece quel brutto regalo, uno ne trovò di un berrettaio che lo tenea molto caro. Cadde la pietra, e colse sulla testa il povero animale, che mezzo schiacciato assordò tutti coi latrati. Fu veduto ed udito dal padrone, che, tolta una lunga misura di legno, raggiunse il pazzo, nè gli lasciò osso sano, dicendogli ad ogni bastonata: Furfante indegno, col mio povero bracco tu te la prendi? Non ti accorgesti, manigoldo, che il mio cane era un bracco? — E reiterando il nome di bracco più e più volte, lasciò finalmente andare il pazzo tutto macinato dalle percosse. Posto costui in avver-