Giuseppe Gioachino Belli

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Li mortorj La lègge (1833)
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833

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DOMMINE-COVÀTI

     A Ddommine-covàti sc’è un ber zasso
Più bbianco d’una lapida de latte,
Cor un paro d’impronte de sciavatte,1
Che ppareno dipinte cór compasso.

     Llì, un giorno, Ggesucristo annanno2 a spasso,
Trovò ssan Pietro, che, ppe’ nnun commatte3
Cor Re Nnerone e st’antre teste matte,
Lassava a Rroma er zu’ Papato grasso.

     “Dove vai, Pietro?„,4 disse Ggesucristo.
“Dove me pare„, er Papa j’arispose,
Come averìa risposto l’Anticristo.

     Io mó nun m’aricordo l’antre cose;
Ma sso cch’er zasso ch’io co’ st’occhi ho vvisto
Cristo lo siggillò cco le carcose.5


Roma, 15 gennaio 1833

Note

  1. Ciabatte.
  2. Andando.
  3. Combattere.
  4. Qui s’intende che la ignoranza dell’interlocutore confonde i fatti tradizionali.
  5. Le calcóse: vocabolo romanesco antiquato, sinonimo di “scarpe.„ La pietra, di cui qui si parla, conservasi ivi presso, nella Chiesa di San Sebastiano.