Discorso sul testo della Commedia di Dante/XXII

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[p. 155 modifica]XXII. È religione de’ matematici di non credere che uno e uno facciano due, se innanzi tratto non hanno definito e dimostrato come uno si è veramente uno, e l’altro uno verissimamente uno. Ma la loro scienza richiede a ogni modo l’ajuto di lunghezze senza larghezze e superficie senza profondità, e immaginazioni sì fatte di cose le quali, come sono create dalla natura, non vogliono starsi divise, nè divisibili mai. Quindi quelle dimostrazioni infinite sono tutte ammirabili ad ogni scienziato; le loro poche applicazioni, quando le fanno i meccanici, riescono utili; e molte delle loro conseguenze, a chi è semplice letterato, sembrano spesso risibili, perchè sono dedotte con metodo affatto diverso dal suo. Or i critici letterati senza star a dimostrare la certezza de’ tempi e avvenimenti notissimi, solo ne fanno uso ed abuso a congetturare l’incertissimo quando il poeta desse all’Opera l'ultima mano. Ma il critico geometrico con metodo inverso procede ad addottrinarti che que’ tali individui, que’ tali fatti, anni, mesi, giorni, i quali ogni uomo tiene per innegabili, sono tenuti per innegabili. Bensì quel quando, ignotissimo non è provato, né creduto necessario da provare. È superficie senza profondità, tolta a prestito in via di postulato. La dimostrazione tende a far sottentrare alle tre sigle romane le cifre arabe dell’Indiana aritmetica; e chi vede l’utilità dell’applicazione la tenti, se può. Tra’ corollarj ch’altri potrebbe desumere, il men disutile forse a tutte le cattedre, sarebbe questo: — Che s’hanno da recitare molte lezioni, e stamparne pochissime. — A me basta che n’esca un teorema, ed è: — Che il determinare il principio, il progresso ed il termine, e la correzione a il perfezionamento d’un’Opera, con la guida della cronologia di fatti rammentati dall’autore, è dottrina, la quale, quantunque applicata da uomini di forte o di debole ingegno, di scarso o multo sapere, e con metodi letterari scientifici, riesce fatica perduta, e dannosa. —