Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro terzo/Capitolo 30

Libro terzo

Capitolo 30

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A uno cittadino
che voglia nella sua republica
fare di sua autorità alcuna opera buona,
è necessario, prima, spegnere l’invidia:
e come, vedendo il nimico,
si ha a ordinare la difesa d’una città.

Intendendo il Senato romano come la Toscana tutta aveva fatto nuovo deletto per venire a’ danni di Roma; e come i Latini e gli Ernici, stati per lo addietro amici del Popolo romano, si erano accostati con i Volsci, perpetui inimici di Roma; giudicò questa guerra dovere essere pericolosa. E trovandosi Cammillo tribuno di potestà consolare, pensò che si potesse fare sanza creare il Dittatore, quando gli altri Tribuni suoi collegi volessono cedergli la somma dello imperio. Il che detti Tribuni fecero volontariamente: «Nec quicquam (dice Tito Livio) de maiestate sua detractum credebant, quod maiestati eius concessissent». Onde Cammillo, presa a parole questa ubbidienza, comandò che si scrivesse tre eserciti. Del primo volle essere capo lui, per ire contro a’ Toscani. Del secondo fece capo Quinto Servilio, il quale volle stesse propinquo a Roma, per ostare ai Latini ed agli Ernici, se si movessono. Al terzo esercito prepose Lucio Quinzio, il quale scrisse per tenere guardata la città e difese le porte e la curia, in ogni caso che nascesse. Oltre a di [p. 187 modifica]questo, ordinò che Orazio, uno de’ suoi collegi, provedesse l’armi ed il frumento e l’altre cose che richieggono i tempi della guerra. Prepose Cornelio, ancora, suo collega, al Senato ed al publico consiglio, acciocché potesse consigliare le azioni che giornalmente si avevano a fare ed esequire: in modo furono quegli Tribuni, in quelli tempi, per la salute della patria, disposti a comandare ed a ubbidire. Notasi per questo testo, quello che faccia uno uomo buono e savio, e di quanto bene sia cagione, e quanto utile e’ possa fare alla sua patria, quando, mediante la sua bontà e virtù, egli ha spenta la invidia; la quale è molte volte cagione che gli uomini non possono operare bene, non permettendo detta invidia che gli abbino quella autorità la quale è necessaria avere nelle cose d’importanza. Spegnesi questa invidia in due modi. O per qualche accidente forte e difficile, dove ciascuno, veggendosi perire, posposta ogni ambizione, corre volontariamente ad ubbidire a colui che crede che con la sua virtù lo possa liberare: come intervenne a Cammillo, il quale avendo dato di sé tanti saggi di uomo eccellentissimo, ed essendo stato tre volte Dittatore, ed avendo amministrato sempre quel grado ad utile publico, e non a propria utilità aveva fatto che gli uomini non temevano della grandezza sua; e per esser tanto grande e tanto riputato, non stimavano cosa vergognosa essere inferiori a lui (e però dice Tito Livio saviamente quelle parole «Nec quicquam» ecc.) in [p. 188 modifica]un altro modo si spegne l’invidia quando, o per violenza o per ordine naturale, muoiono coloro che sono stati tuoi concorrenti nel venire a qualche riputazione ed a qualche grandezza; quali, veggendoti riputato più di loro, è impossibile che mai acquieschino, e stieno pazienti. E quando e’ sono uomini che siano usi a vivere in una città corrotta, dove la educazione non abbia fatto in loro alcuna bontà, è impossibile che per accidente alcuno, mai si ridichino; e per ottenere la voglia loro, e satisfare alla loro perversità d’animo sarebbero contenti vedere la rovina della loro patria. A vincere questa invidia non ci è altro rimedio che la morte di coloro che l’hanno; e quando la fortuna è tanto propizia a quell’uomo virtuoso, che si muoiano ordinariamente, diventa, sanza scandalo, glorioso, quando sanza ostacolo e sanza offesa e’ può mostrare la sua virtù; ma quando e’ non abbi questa ventura, gli conviene pensare per ogni via a torsegli dinanzi; e prima che e’ facci cosa alcuna, gli bisogna tenere modi che vinca questa difficultà. E chi legge la Bibbia sensatamente, vedrà Moisè essere stato forzato, a volere che le sue leggi e che i suoi ordini andassero innanzi, ad ammazzare infiniti uomini, i quali, non mossi da altro che dalla invidia, si opponevano a’ disegni suoi. Questa necessità conosceva benissimo frate Girolamo Savonerola; conoscevala ancora Piero Soderini, gonfaloniere di Firenze. L’uno non potette vincerla, per non avere autorità a poterlo fare ( [p. 189 modifica]che fu il frate), e per non essere inteso bene da coloro che lo seguitavano, che ne arebbero avuto autorità. Nonpertanto per lui non rimase, e le sue prediche sono piene di accuse de’ savi del mondo e d’invettive contro a loro: perché chiamava così questi invidi, e quegli che si opponevano agli ordini suoi. Quell’altro credeva, col tempo, con la bontà, con la fortuna sua, col benificare alcuno, spegnere questa invidia; vedendosi di assai fresca età, e con tanti nuovi favori che gli arrecava el modo del suo procedere, che credeva potere superare quelli tanti che per invidia se gli opponevano, sanza alcuno scandolo, violenza e tumulto: e non sapeva che il tempo non si può aspettare, la bontà non basta, la fortuna varia, e la malignità non truova dono che la plachi. Tanto che l’uno e l’altro di questi due rovinarono, e la rovina loro fu causata da non avere saputo o potuto vincere questa invidia.

L’altro notabile è l’ordine che Cammillo dette, dentro e fuori, per la salute di Roma. E veramente, non sanza cagione gli istorici buoni, come è questo nostro, mettono particularmente e distintamente certi casi, acciocché i posteri imparino come gli abbino in simili accidenti difendersi. E debbesi in questo testo notare, che non è la più pericolosa né la più inutile difesa, che quella che si fa tumultuariamente e sanza ordine. E questo si mostra per quello terzo esercito che Cammillo fece scrivere per lasciarlo, in Roma, a guardia della città: perché molti arebbero giudicato [p. 190 modifica]e giudicherebbero questa parte superflua, sendo quel popolo, per l’ordinario, armato e bellicoso; e per questo, che non bisognasse di scriverlo altrimenti, ma bastasse farlo armare quando il bisogno venisse. Ma Cammillo, e qualunque fusse savio come era esso, la giudica altrimenti; perché non permette mai che una moltitudine pigli l’arme, se non con certo ordine e certo modo. E però, in su questo esemplo, uno che sia preposto a guardia d’una città, debba fuggire come uno scoglio il fare armare gli uomini tumultuosamente; ma debba avere prima scritti e scelti quegli che voglia si armino, chi gli abbino ad ubbidire, dove a convenire, dove a andare; e, quegli che non sono scritti, comandare che stieno ciascuno alle case sue, a guardia di quelle. Coloro che terranno questo ordine in una città assaltata, facilmente si potranno difendere: chi farà altrimenti, non imiterà Cammillo, e non si difenderà.