Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio/Libro terzo/Capitolo 42

Libro terzo

Capitolo 42

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Che le promesse fatte per forza,
non si debbono osservare.

Tornati i Consoli con lo esercito disarmato e con la ricevuta ignominia a Roma, il primo che in Senato disse che la pace fatta a Caudio non si doveva osservare, fu il consolo Spurio Postumio; dicendo, come il popolo romano non era obligato, ma ch’egli era bene obligato esso e gli altri che avevano promessa la pace: e però il popolo, volendosi liberare da ogni obligo, aveva a dare prigioni nelle mani de’ Sanniti lui e tutti gli altri che l’avevano promessa. E con tanta ostinazione tenne questa conclusione, che il Senato ne fu contento; e mandando prigioni lui e gli altri in Sannio, protestarono ai Sanniti la pace non valere. E tanto fu in questo caso, a Postumio, favorevole la fortuna, che i Sanniti non lo ritennono; e ritornato in Roma, fu Postumio appresso ai Romani più glorioso per avere perduto, che non fu Ponzio appresso ai Sanniti per avere vinto. Dove sono da notare due cose: l’una, che in qualunque azione si può acquistare gloria, perché nella vittoria si acquista ordinariamente; nella perdita si acquista o col mostrare tale perdita non essere venuta per tua colpa, o per fare subito qualche azione virtuosa che la cancelli: l’altra è, che non è vergognoso non osservare quelle promesse che ti sono state fatte promettere per forza; e sempre le promesse forzate che riguardano il publico, quando e’ manchi la forza, si romperanno, e fia sanza vergogna di chi le rompe. Di che si leggono in tutte le istorie vari esempli; e ciascuno dì, ne’ presenti tempi, se ne veggono. E non solamente non si osservano intra i principi le promesse forzate, quando e’ manca la forza; ma non si osservano ancora tutte le altre promesse, quando e’ mancano le cagioni che le feciono promettere. Il che se è cosa laudabile o no, o se da uno principe si debbono osservare simili modi o no, largamente è disputato da noi nel nostro trattato De Principe: però al presente lo tacereno.