Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio/Libro primo/Capitolo 34
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L’autorità dittatoria fece bene,
e non danno, alla Republica romana:
e come le autorità che i cittadini
si tolgono, non quelle che sono loro
dai suffragi liberi date,
sono alla vita civile perniziose.
E’ sono stati dannati da alcuno scrittore quelli Romani che trovarono in quella città modo di creare il Dittatore, come cosa che fosse cagione, col tempo, della tirannide di Roma; allegando, come il primo tiranno che fosse in quella città la comandò sotto questo titolo dittatorio; dicendo che, se non vi fusse stato questo Cesare non arebbe potuto sotto alcuno titolo publico adonestare la sua tirannide. La quale cosa non fu bene, da colui che tiene questa opinione, esaminata, e fu fuori d’ogni ragione creduta. Perché, e’ non fu il nome né il grado del Dittatore che facesse serva Roma, ma fu l’autorità presa dai cittadini per la lunghezza dello imperio: e se in Roma fusse mancato il nome dittatorio, ne arebbono preso un altro; perché e’ sono le forze che facilmente si acquistano i nomi, non i nomi le forze. E si vede che ’l Dittatore, mentre fu dato secondo gli ordini publici, e non per autorità propria, fece sempre bene alla città. Perché e’ nuocono alle republiche i magistrati che si fanno e l’autoritadi che si dànno per vie istraordinarie, non quelle che vengono per vie ordinarie: come si vede che seguì in Roma, in tanto processo di tempo, che mai alcuno Dittatore fece se non bene alla Republica.
Di che ce ne sono ragioni evidentissime. Prima, perché a volere che un cittadino possa offendere, e pigliarsi autorità istraordinaria, conviene ch’egli abbia molte qualità, le quali in una republica non corrotta non può mai avere: perché gli bisogna essere ricchissimo, ed avere assai aderenti e partigiani, i quali non può avere dove le leggi si osservano; e quando pure ve gli avessi, simili uomini sono in modo formidabili, che i suffragi liberi non concorrano in quelli. Oltra di questo, il Dittatore era fatto a tempo, e non in perpetuo, e per ovviare solamente a quella cagione mediante la quale era creato; e la sua autorità si estendeva in potere diliberare per sé stesso circa i rimedi di quello urgente pericolo, e fare ogni cosa sanza consulta, e punire ciascuno sanza appellagione: ma non poteva fare cosa che fussi in diminuzione dello stato; come sarebbe stato tôrre autorità al Senato o al Popolo, disfare gli ordini vecchi della città, e farne de’ nuovi. In modo che, raccozzato il breve tempo della sua dittatura, e le autorità limitate che egli aveva, ed il popolo romano non corrotto; era impossibile ch’egli uscisse de’ termini suoi, e nocessi alla città: e per esperienza si vede che sempre mai giovò.
E veramente, infra gli altri ordini romani, questo è uno che merita essere considerato e numerato infra quegli che furono cagione della grandezza di tanto imperio; perché sanza uno simile ordine le cittadi con difficultà usciranno degli accidenti istraordinari. Perché gli ordini consueti nelle republiche hanno il moto tardo (non potendo alcuno consiglio né alcuno magistrato per sé stesso operare ogni cosa, ma avendo in molte cose bisogno l’uno dell’altro, e perché nel raccozzare insieme questi voleri va tempo) sono i rimedi loro pericolosissimi, quando egli hanno a rimediare a una cosa che non aspetti tempo. E però le republiche debbano intra loro ordini avere uno simile modo: e la Republica viniziana, la quale intra le moderne republiche è eccellente, ha riservato autorità a pochi cittadini, che ne’ bisogni urgenti, sanza maggiore consulta, tutti d’accordo possino deliberare. Perché, quando in una republica manca uno simile modo, è necessario, o, servando gli ordini, rovinare, o, per non ruinare, rompergli. Ed in una republica non vorrebbe mai accadere cosa che con modi straordinari si avesse a governare. Perché, ancora che il modo straordinario per allora facesse bene, nondimeno lo esemplo fa male; perché si mette una usanza di rompere gli ordini per bene, che poi, sotto quel colore, si rompono per male. Talché mai fia perfetta una republica, se con le leggi sue non ha provisto a tutto, e ad ogni accidente posto il rimedio, e dato il modo a governarlo. E però, conchiudendo, dico che quelle republiche, le quali negli urgenti pericoli non hanno rifugio o al Dittatore o a simili autoritadi, sempre ne’ gravi accidenti rovineranno. È da notare in questo nuovo ordine il modo dello eleggerlo, quanto dai Romani fu saviamente provisto. Perché, sendo la creazione del Dittatore con qualche vergogna dei Consoli, avendo, di capi della città, a divenire sotto una ubbidienza come gli altri; e presupponendo che di questo avessi a nascere isdegno fra’ cittadini; vollono che l’autorità dello eleggerlo fosse nei Consoli: pensando che, quando l’accidente venisse che Roma avesse bisogno di questa regia potestà, ei lo avessono a fare volentieri e facendolo loro, che dolesse loro meno. Perché le ferite ed ogni altro male che l’uomo si fa da sé spontaneamente e per elezione, dolgano di gran lunga meno, che quelle che ti sono fatte da altrui. Ancora che poi negli ultimi tempi i Romani usassono, in cambio del Dittatore, di dare tale autorità al Console, con queste parole: «Videat Consul, ne Respublica quid detrimenti capiat». E per tornare alla materia nostra, conchiudo, come i vicini di Roma, cercando opprimergli, gli fecerono ordinare, non solamente a potersi difendere, ma a potere, con più forza, più consiglio e più autorità, offendere loro.