Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio/Libro primo/Capitolo 27

Libro primo

Capitolo 27

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Sanno rarissime volte gli uomini
essere al tutto cattivi o al tutto buoni.

Papa Iulio secondo, andando nel 1505 a Bologna, per cacciare di quello stato la casa de’ Bentivogli, la quale aveva tenuto il principato di quella città cento anni, voleva ancora trarre Giovampagolo Baglioni di Perugia, della quale era tiranno, come quello che aveva congiurato contro a tutti i tiranni che occupavano le terre della Chiesa. E pervenuto presso a Perugia con questo animo e deliberazione, nota a ciascuno, non aspettò di entrare in quella città con lo esercito suo, che lo guardasse, ma vi entrò disarmato, non ostante vi fusse drento Giovampagolo con gente assai, quale per difesa di sé aveva ragunata. Sì che, portato da quel furore con il quale governava tutte le cose, con la semplice sua guardia si rimisse nelle mani del nimico; il quale dipoi ne menò seco, lasciando un governatore in quella città, che rendesse ragione per la Chiesa. Fu notata, dagli uomini prudenti che col papa erano, la temerità del papa e la viltà di Giovampagolo; né potevono estimare donde si venisse che quello non avesse, con sua perpetua fama, oppresso ad un tratto il nimico suo, e sé arricchito di preda, sendo col papa tutti li cardinali, con tutte le loro delizie. Né si poteva credere si fusse astenuto o per bontà o per conscienza che lo ritenesse; perché in uno petto d’un uomo facinoroso, che si teneva la sorella, che aveva morti i cugini e i nipoti per regnare, non poteva scendere alcun pietoso rispetto: ma si conchiuse, nascesse che gli uomini non sanno essere onorevolmente cattivi, o perfettamente buoni, e, come una malizia ha in sé grandezza, o è in alcuna parte generosa, e’ non vi sanno entrare. Così Giovampagolo, il quale non stimava essere incesto e publico parricida, non seppe, o, a dir meglio, non ardì, avendone giusta occasione, fare una impresa, dove ciascuno avesse ammirato l’animo suo, e avesse di sé lasciato memoria eterna, sendo il primo che avesse dimostro a’ prelati, quanto sia da stimare poco chi vive e regna come loro ed avessi fatto una cosa, la cui grandezza avesse superato ogni infamia, ogni pericolo, che da quella potesse dependere.