Dialoghi delle cortigiane/14
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Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
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14.
Dorione e Mirtale.
Dorione. Ora mi scacci, o Mirtale, ora che son divenuto povero per te: quando ti portavo tante cose, allora io ero l’innamorato, io l’uomo tuo, io il signore, tutto io. Poi ch’io son ridotto al verde, t’hai trovato per amico il mercatante Bitino: io sono scacciato, e ti sto innanzi la porta a piangere, ed egli ogni notte è dentro, e si sollazza, tu gli fai carezze, e gli dici che se’ gravida di lui.
Mirtale. Questo non posso patire, o Dorione, quando dici che m’hai dato tanto, e che se’ povero per cagion mia. Facciamo un po’ il conto di tutte le cose che m’hai portate.
Dorione. Sì, o Mirtale, facciámolo. Un paio di scarpette di Sicione in prima, di due dramme: metti due dramme.
Mirtale. E dormisti meco due notti.
Dorione. E quando venni di Siria un bossoletto d’unguento di Fenicia, anche di due dramme, sì per Nettuno.
Mirtale. Ed io quando salpasti, i’ ti diedi quella camicetta marinaresca che ti giungeva sin qui alle cosce, per mettertela quando remavi: se la scordò in casa mia Epiuro il piloto quando dormì con me.
Dorione. La riconobbe Epiuro e se la riprese in Samo e ne avemmo le batoste grandi. E poi ti portai cipolle da Cipro; e cinque acciughe, e quattro perchie1 ti portai quando tornammo dal Bosforo. Che più? otto biscotti secchi in canestro, e un boccale pieno di fichisecchi di Caria; e infine da Patara un paio di sandali dorati, o ingrata: e una volta mi ricorda ancora una gran girella di formaggio del Giteo.2
Mirtale. Tutto cotesto, o Dorione, è roba di un cinque dramme.
Dorione. Secondo il potere di un marinario, o Mirtale, è grassa paga. Ora che sono il primo remo del lato destro, ora mi disprezzi. Poco fa nella festa di Venere non posi io per te una dramma d’argento appiè della dea? Un’altra volta alla mamma tua due dramme per le scarpette: e spesso in mano a Lida ora due, ora quattr’oboli. Tutte queste cose insieme sono l’avere d’un marinaio.
Miriate. Le cipolle, e le saperde, o Dorione?
Dorione. Sì: più non avevo per portartelo: se ero ricco io non remavo. A mia madre non le ho portato mai una sola testa d’aglio. I’ ti vorrei proprio sapere i doni che ti fa il Bitino.
Mirtale. Vedi questa vestetta? me l’ha comperata egli, e questa collana massiccia.
Dorione. Egli? io te la so da tanto tempo la collana.
Mirtale. Quella che sai tu era più leggiera, e senza smeraldi. E questi orecchini, e un tappeto, e poco fa due mine, ed ha pagato anche la pigione per noi. Altro che zoccoli di Pataro, formaggio del Giteo, ed altre bagattelluzze.
Dorione. E con chi ti corchi non lo dici questo? Ha sopra cinquant’anni, senza un capello in capo, ha la pelle come il guscio d’un granchio. E non vedi bei denti che ha in bocca? Quanto è aggraziato, o Dioscuri, specialmente quando canta e vuol fare lo spasimato: pare un asino che suona la cetra! Godilo col buon pro’, che ne se’ degna: e vi possa nascere un granchiolino che sia tutto il padre. Io m’acconcerò con Delfida o Cimbalina che fanno per me, o con la vicina nostra la zufolatrice, o mi troverò qualche altra. I tappeti, le collane, e le paghe di due mine non le danno tutti.
Mirtale. Beata lei che t’avrà per innamorato, o Dorione: chè tu le porterai cipolle da Cipro, e formaggio dal Giteo quando arriverai.