6. Tersione e Plutone

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Luciano di Samosata - Dialoghi dei morti (Antichità)
Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
6. Tersione e Plutone
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6.

Tersione e Plutone.


Tersione. E questo è giusto, o Plutone, che io muoia a trenta anni, e che quel vecchiardo di Tucrito, che n’ha oltre i novanta, viva ancora?

Plutone. Giustissimo, o Tersione: perchè egli vive non desiderando la morte a nessuno degli amici: e tu per tutto il tempo tuo, volevi che egli crepasse, aspettandone l’eredità.

Tersione. E non doveva egli, che è vecchio e non può più usare delle ricchezze, uscir di vita e darvi luogo ai giovani?

Plutone. Tu fai nuova legge, o Tersione; che chi non può usar più delle ricchezze per i piaceri, muoia; ma ben altramente il fato e la natura ordinarono.

Tersione. E questo ordine io biasimo. Bisognava fosse altro, e di grado in grado; prima i più vecchi, poi ciascuno secondo sua età: e non invertire la cosa, non farci vivere un vecchionissimo con tre denti in bocca, mogio, portato in braccia da quattro servi, col naso che gli gocciola, con gli occhi cisposi, tutto spiacevole a vedersi, animato sepolcro, deriso dai giovani; e poi far morire bellissimi giovanetti nel fior della salute: chè questa è come fiume che scorre in su. Almeno si dovria sapere quando muore il vecchio per non perder le spese e le carezze che gli si fanno. Ma ora è come dice il proverbio: il carro tira i buoi.

Plutone. Queste cose, o Tersione, accadono con più senno che tu non credi: E voi perchè siete sì ghiotti della roba altrui, e vi fate adottare dai vecchi che non hanno figliuoli? Ben vi meritate che si rida di voi, che vi andate a seppellire prima di loro: e tutto il mondo ha gusto a vedere che quanto più voi desiderate ch’essi muoiano, tanto più voi morite prima di loro. Avete trovata un’arte novella, far gli spasimati dei vecchi e delle vecchie, massime di quelli che non han figliuoli; chè chi ha figliuoli non ha spasimati. Ma molti di questi vostri innamorati, accortisi della malizia che è nell’amor vostro, se per caso han figliuoli, fan le viste di [p. 290 modifica]odiarli, per aver anch’essi lo spasimato. Quando poi si è all’aprir del testamento, il figliuolo e la natura, come è giusto, riprendono ogni cosa, e gli spasimati rimangono sciocchi, arruotano i denti, e scoppiano di dispetto.

Tersione. È vero quel che tu dici. Quanto del mio s’ha mangiato Tucrito, che mi pareva sempre dovesse morire: e quand’io lo vedeva, ci gemeva e pigolava come pulcino che esce dell’uovo: e io, i’ mi pensava di metterlo in bara allora allora, e gli mandavo gran doni, per non farmi vincere a carezze dai miei rivali. Per questi pensieri io perdei il sonno, facevo sempre conti e disegni: e questo fu anche una causa a farmi morire, la veglia e i pensieri: ed egli, inghiottitasi tutta l’esca ch’io gli diedi, venne ieri a sepellirmi ridendo.

Plutone. Bene, o Tucrito: vivi lunghissimamente, sempre ricco, sempre ridendoti di costoro: nè prima morrai che non t’avrai mandati innanzi tutti gli adulatori tuoi.

Tersione. Questo piace anche a me, o Plutone; purchè Cariade muoia prima di Tucrito.

Plutone. Stà certo, o Tersione: e Fedone e Melanto e tutti ci verran prima di lui per que’ medesimi tuoi pensieri.

Tersione. Così va bene. Or vivi lunghissimamente, o Tucrito.