Dialoghi degli Dei/16
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Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
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16.
Giunone e Latona.
Giunone. Bei figliuoli, o Latona, hai partoriti a Giove.
Latona. Non tutte, o Giunone, possiamo farli sì belli, come è Vulcano.
Giunone. Egli è zoppo sì, ma utile e valente artefice, e ci ha adornato il cielo, ed ha sposato Venere, ed è voluto bene da lei. Ma dei figliuoli tuoi, colei è una pulzellona che ha del maschio, una salvatica, che infine se n’è andata in Scizia, e tutti sanno che quivi uccide i forestieri e li mangia, imitando gli Sciti mangiauomini: Apollo poi spaccia di sapere ogni cosa, fa l’arciero, il ceteratore, il medico, il profeta, ha messe botteghe di oracoli in Delfo, in Claro, in Didimo, ed inganna chi va ad interrogarlo, rendendo risposte a due capi, che si possono prendere da ogni parte, e così sicuro di non fallire, acquista riputazione e ricchezze: i gonzi ci corrono e si fanno abbindolare, ma chi ha un po’ di senno ride di questo profeta che non seppe profetare a sè stesso che egli uccideria col disco un suo zanzero, e saria sfuggito da Dafne, quantunque sì bel giovane e con sì bella chioma. Onde vedo che tu non sei madre di più bella prole che Niobe.
Latona. Eppure questa prole, quella salvatica ammazzaforestieri, e quel falso profeta, so che ti fan male agli occhi, quando li vedi tra gli Dei, e massime quando ella è lodata per bellezza, ed egli sonando la cetera nel convito, è meraviglia a tutti.
Giunone. Mi fai ridere, o Latona. Quella maraviglia di sonatore saria stato scorticato da Marsia, che lo vinse nella musica, se le Muse avessero voluto giudicar giusto; ma il povero Marsia soverchiato ed aggirato, morì ingiustamente: e quella tua bella vergine è così bella, che accortasi d’essere stata veduta da Atteone, e temendo che il giovane non divulgasse come ella era brutta, gli aizzò i cani addosso. Non dico poi che non farebbe la levatrice se fosse vergine.
Latona. Tu sei superba, o Giunone, perchè sei moglie di Giove e regni con lui, e però insulti sicuramente: ma come ti vorrò riveder piangere tosto che ei ti lascerà, e discenderà su la terra divenuto cigno o toro.