Della ragione di stato (Settala)/Libro I/Cap. IX.
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Capitolo IX
Quante siano le specie della ragion di stato.
Ancora che uno sia principalmente il fine della ragion di stato, il conservare al dominante lo stato e dominio che esso possiede, in quella forma che si ha eletto, o nella quale è posto; il che contiene non solo la conservazione del dominio, ma ancora del dominante: i mezzi però, che a queste due cose ci conducono, sono diversi, e spesse volte contrari, e gli abiti che ci somministrano quei mezzi sono molto digerenti. Conciosiacosa che, essendo le forme delle republiche alcune buone altre ree, non si potrá mai dire nell’una e l’altra cambiarsi per la medesima strada, usarsi i medesimi mezzi, e aver per guida un medesimo conduttore. E per lasciar da canto le varie specie di republiche insegnate da Platone e nel libro delle Leggi e nel libro delle Republiche e in quello del Regno, e quelle che nel sesto libro delle sue Istorie ci lasciò scritto Polibio; appigliandoci a quelle che insegnò il vero maestro di coloro che sanno, e nelle Morali a suo figliolo Nicomaco e nella Politica: diremo ch’egli è necessario che ’l governo sia in podestá d’un solo, o di pochi, o di molti; e che quando uno, o pochi, o molti governano riguardando al ben vivere e al publico bene, questi sono governi retti. Ma quando governano a commodo e utilitá propria, cioè o di uno, o di pochi, o di molti, questi sono governi non retti, e diversi da quelli che sono retti e buoni; laonde pose tre specie o generi di republica retta: chiamando il governo d’un solo, che governa a beneficio universale, regno; il governo de’ pochi ottimati, republica d’ottimati, o perché quelli che governano sono ottimi, o perché governano riguardando a che è ottimo per la cittá; e quando il governo è in mano della moltitudine, che l’indrizza al ben publico, questa sorte di stato chiamò republica, dando a questa specie il nome del genere, che è commune a tutte le sorti di governo. Pose anche parimente tre sorti di governo non rette, e degeneranti dalle rette: la tirannide, che è principato d’uno, che governa a sua propria utilitá; lo stato di pochi, che governano ad utilitá de’ ricchi e potenti, che chiamò oligarchia; il governo del popolo, che riguarda al bene e commodo de’ poveri. Questi generi, o specie, di republica considerò poi Aristotele potersi formare in molte e diverse maniere, si che ciascuna delle sei specie in piú specie specialissime divise e distinse; delle quali ora non ne faremo menzione, bastandoci le piú universali per potere a ciascuna di loro addattare la sua propria ragion di stato: essendo diversissimi li mezzi con li quali si conservano le buone republiche da quei delle ree: anzi non essendo medesimi i mezzi, con il quale il re buono conserva il suo regno, con quelli degli ottimati; e quelli delle buone republiche essendo diversi da quei de’ due primi. Cosí sappiamo altri mezzi usar il tiranno per conservar sé e il suo dominio, da quelli dell’oligarchia e della republica popolare. Anzi di piú osserviamo in ciascuna delle sei specie di republiche esser gran diversitá di ragion di stato, e usarsi diversi mezzi avendosi riguardo a diversitá di cose: come se si ha riguardo alla persona del dominante, o alla conservazione del dominio; e in questo ancora si procede diversamente, se si considerano i pericoli interni, o gli esterni: e degli interni ancora altrimente procede il re per conservar sé e il regno dalle insidie, che potrebbero essergli tese, o da’ potenti nella republica o da la plebe: altrimente gli ottimati procedono, procurando che alcun potente non sopravanzi per farsi re o tiranno, e mutar la forma della republica e della plebe. Cosí la vera republiea usa altri mezzi per non esser soprafatta dai piú potenti, e dalla grandezza di un magnate. Il che molto piú si osserva dal tiranno per la mala contentezza che hanno di lui i popoli: aprendo li occhi, e con vari mezzi procurando che o i buoni o i piú potenti non gli levino il dominio, mutando la forma della sua republiea e levandolo dal mondo. Il medesimo fanno i pochi potenti. guardandosi dai piú buoni, o dalla potenza o virtú di alcuno. Cosí osservano i plebei dominanti, guardandosi dalla potenza o eccellenza di alcuni, o dal valore e gran virtú di uno, che non gli levi tal governo malo.