Della imitazione di Cristo (Cesari)/Libro III/CAPO IX
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Traduzione dal latino di Antonio Cesari (1815)
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CAPO IX.
Che tutte le cose si hanno da riferire in Dio,
siccome in ultimo fine.
1. Figliuolo, io debbo essere tuo sommo, ed ultimo fine, se pur brami d’essere veramente beato. Da questa intenzione sarà ripurgato l’affetto tuo, il quale le più volte disordinatamente a se stesso, ed alle creature si piega. Imperciocchè se in qualche cosa fai tuo fine te stesso, di subito tu scemi in te, e arido ne diventi. A me dunque si debbono voler riferire tutte le cose, come a principio, perocchè io sono che tutte le ho date. Risguarda ciascheduna cosa come procedente dal sommo Bene; e però tutte hanno ad essere a me, come a propria origine ritornate.
2. Di me il piccolo, e ’l grande, il povero, e ’l ricco, siccome da viva fontana attingono un’acqua viva: e que’ che volontariamente e liberamente servono a me, riceveranno merto del loro servigio. Ma chi in altro vorrà gloriarsi, che in me, o di qualche privato ben dilettarsi, costui non sarà fermato in vera allegrezza, nè del cuor dilatato, ma e’ sarà anzi in varie guise impedito e angustiato. Niente adunque tu dei a te imputare di bene, nè ad uomo alcuno attribuire virtù; anzi dar tutto a Dio, senza di cui non ha l’uomo niente. Io diedi ogni cosa, e da me voglio che tutto tu abbia; e con tutto rigore richieggo che grazie me ne sieno rendute.
3. Questa è tal verità, dalla quale la vanagloria fia dissipata. E dove sia entrata la grazia celeste, e la vera carità, ivi non sarà invidia nessuna; nè ristrettezza di cuore, nè amore privato prenderà luogo. Conciossiachè l’amore divino vince ogni cosa, e tutte distende le potenze dell’anima. Se tu vedi lume, in me avrai solamente diletto, in me solo speranza: perocchè niuno è buono, se non Dio, il quale è da lodare sopra tutte le cose, e in tutte da benedire.