Della eccellenza e dignità delle donne/De la temperanza
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L’ordine richiede a dovere de la temperanza dire, la quale como a l’uno e l’altro sesso par sì convenga, de le donne maximamente è propria e principalissima lode, imperò che da la temperanza ne seguono vergogna, modestia, abstinenza, onestà, sobrietà e pudicizia, cose tutte che, se pur una senza più de queste ne la donna manchi, ogn’altra loro virtù è machiata e guasta, in guisa che tutta l’acqua d’Arno non la laverebbe.
Ma che di questa virtù e de le conseguenti più di l’uomo dotata ne sia la femina, assai agevolmente si prova, presupponendo quello che da tutti è concesso, cioè la donna sia più lasciva e più cupida naturalmente de li venerei congiungimenti, nondimeno la donna con maggior constanza vince li carnali desideri, e quasi infinite donne se ritrovano che, contente de uno uomo, senza più sono pervenute agli ultimi anni, dove gli uomini sono rarissimi, anzi forse è niuno che accadendogli l’opportunità, voluntieri non experimenti se siano più dolci e saporiti i basci de l’altrui che de le loro moglie; e tanto è cresciuta la perfidia de li mariti, che se alcuno forse si ritrova più continente che tale occasione non ricerchi, è dagli altri stimato uno scioccone.
Per questo Aristotele, non ignorando la loro mala consuetudine, advisagli che debbiansi guardare da le strane femine. La quale cosa non fa de le donne, quantunque i poeti abbaiano che niuna è che neghi purché commodità ci sia. Ma lasciamoli abbaiare quanto vogliano che, perché alcune state siano che la loro sfrenata cupidità non abbiano voluto vincere, non mi si torà però che innumerabili non siano quelle che maravegliosi effetti di continenza abbiano dimostrato, e quindi si conosce la virtù, la quale consiste ne le cose ardue e malagevole.
Ma se gli è vero quello diceva Eraclito che più faticoso sia resistere alla voluptà che alla iracondia, quante laudi fora convenevole dare a quelle donne che né le longhe peregrinazioni de’ mariti, né i mali portamenti de quelli, né i giusti sdegni hanno possuto svolgere a rumpere la data fede e violare il maritale consorzio? De le quali e ne le antiche e ne le moderne storie ne sono piene mille carte e de quali il nostro volgare poeta Francesco Petrarca ne ha trovato grandissimo numero da riporre nel Triumfo de la Pudicizia, dove quello degli uomini è pochissimo. Per la quale cosa volendo i Romani consecrare uno tempio alla pudicizia, elesseno una femina e non uomo che lo consecrasse, sì como quella che di continenza e onestà di vita trapassare iudicavano.
Il che parve Dio volesse farne intendere quando, doppo la creazione di Adam, disse: «Facciamo uno aiuto a l’uomo, cioè a la sua fragilità».
Questo eziandio ne dimostrano le leggi, le quali, vedendo rarissimo, anzi per dir meglio, niuno essere chi servi la fede al marital letto, non hanno con alcuna pena castigati gli adulteri, secondo quello volgarissimo detto: quello peccato in cui molti transcorreno passa impunito. Ma la rarità de le donne che attendeno a simile novelle fa che quando una per disaventura vi si incappa, tutto il mondo gli va dietro e grida: «Dalle, dalle, dalle».
E se tu vòi per conclusione un bello argumento de la donnesca onestà, considera la natura, che nulla cosa mai fa indarno, la quale per coprire quelle parti ne la donna che hanno aspetto men che onesto, ha fatto, como è visto per isperienza, che il femineo corpo, notando col ventre in giù, eziandio doppo la morte copre le parte vergognose, quantunque secondo il comune corso dovessero, come fanno gli uomini, con la schiena notare, essendo le parti da retro più gravi, e naturalmente le cose gravi dovendo tendere a l’in giù, se la natura amica de le donne non avesse a la onestà loro avuto riguardo.
Ma che bisogna cercar altro testimonio de la temperanza e pudicizia de le donne se non noi stessi, cioè gli uomini tutti, che credo niuno si ritrovi in cui sia qualche spirto e punto di gentilezza cui non aggia talor la vaghezza di qualche donna con alcuna scintilla d’amore scaldato il petto, e pare il più de le volte, con tutte nostre arte d’armeggiare, giostrare, ben parlare, andare ornati e mille altri studi per più piacergli, restiamo de’ nostri desideri scherniti.
Vedi la continenza di quelle eziandio che si possono dire ne’ mariti poco aventurate, perciò ch’io conosco molti che, non che sostenessero da alcuna esser pregati, ma per ogni minimo cenno fattogli da qualche succida, marcida, brozzolosa e stomacosa gaglioffa, lasciando le loro donne nobili, morbide e belle a casa, gli volaranno a dietro diece miglia como fa l’avoltoio a la carogna, non pertanto le valorose donne sosteneranno pazientemente li mali portamenti de’ mariti e vincendo con forte animo le iniurie a loro fatte, non solamente non faranno, como se dice, che quale asino dà calci in parete tale riceve, ma ancora con destro modo se levaranno da dosso le sollicitudini e stimoli datigli da loro amatori, quantunque infinita sia la schiera di coloro che, per parere più d’uomini, quando tra loro si ritrovano dicono le più gran buggie dil mondo, gloriandosi d’avere avuta or questa o quell’altra a’ suoi piaceri, cose tutte falsissime; e se per ogni volta che tali menzogne sono dette ne cascasse loro un dente di bocca, bisognarìa che la maggior parte alla lombarda mangiassero zuppe, perché io so certissimo le donne tutte, e tra l’altre le cortigiane (dico le nostre non quelle di Roma) non essere sì pieghevoli e inchinevoli come costoro estimano, avegna che molte, di nobiltà e de ingegno dotate quanto alla donnesca onestà si conviene, usino in parlare e ridere con gli uomini qualche piacevolezza, da la quale cosa non si dee fare argumento di catività, imperò che il male oprare vol silenzio e questa dimestichezza che in molti luoghi usasi, como che a tutte le donne non stia bene, a coloro massimamente è disdetta che per loro basso grado e tenue facultà gli è mistieri procacciarsi donde mantenere la famiglia sua.
Ma per non andare più longe vagando, dico conciosia che la donna (como è detto di sopra) è più prudente, necessario è ancora che sia più temperata e imperò ogni volta che qualche stimolo o qualche desiderio men che onesto si sveglia, la vergogna e il timore de l’infamia se gli para avanti dicendo: «Dove, stolta, vuo’ tu per un poco di piacere tutto l’onore già acquistato, quale più di la vita ti deve essere caro, arrischiar e in un punto perdere? Non fora men male, qualora tal cosa di te si sapesse, che fusti morta in fascie o vero così viva sotterrata? Ma como poi tu pensar che non si sappia mai? Certo se altri no ’l dichi, colui con cui di te farai il suo piacere, nol potrà tacere». Queste cose adunque considerando e in sé raccoltesi mettono il freno a l’appetito, ma l’uomo in tanti luoghi e quante volte la opportunità gli accade o che la lanza si drizi per potere correr uno aringo, non risparmia mai di far che messer Mazza entri in la valle oscura.