Della dissimulazione onesta/XV. L'ira è nimica della dissimulazione
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XV.
L'ira è nimica della dissimulazione
Il maggior naufragio della dissimulazione è nell’ira, che tra gli affetti è ’l piú manifesto, essendo un baleno che, acceso nel cuore, porta le fiamme nel viso, e con orribil luce fulmina dagli occhi; e di piú fa precipitar le parole, quasi con aborto de’ concetti che, di forma non intieri e di materia troppo grossa, manifestano quanto è nell’animo. Molta prudenza si richiede, per rinchiuder cosí gagliarda alterazione; e di chi è trascorso a tanto impeto, disse Platone: tanquam canis a pastore, ita denique revocatus ab ea quae in ipso est ratione mitescat. Era Achille in questa passione contra Agamennone, quando truculento intuens aspectu: - O vir (inquit) ex dolo totus atque imprudentia factus ac genitus, et quis tibi Graecorum posthac libens pareat? -. Ma l’ufficio della ragione, significata per Minerva scesa dal cielo, va temperando: - Non venit (inquit) a caelo, Achilles, ut te iratum in ultionem iniuriae acceptae erumpere videam, sed ut ira<cundia>m tuam compescam -. Sí che Omero, in questa occasione di Achille, spiega insieme quanto importi la dissimulazione. Da due potenti stimoli procede tanta licenza di parole nell’ira, cioè dal dispiacere e dal piacere, perché ella è appetito, con dolore, di far vendetta che si dimostri vendetta, per dispregio che crediamo fatto di noi, o d’alcuno de’ nostri, indegnamente, come disse Aristotile; ed a questo dolor segue il diletto, che nasce dalla speranza di vendicarsi, e perché l’animo è in atto di vendetta: e però Aristotele soggiunse: recte illud de ira dictum est quod, defluente melle dulcior, in virorum pectoribus gliscit. Dunque, da cosí fatto misto di amaro e di dolce, dee guardarsi chi non si vuol mostrar facilmente turbato, come sogliono parer gl’infermi, i poveri e gli amanti, e tutti quelli che si fan vincer dal disiderio. Importa il prevenir con la considerazione di quanto è maggior diletto vincer se stesso, in aspettar che passi la procella degli affetti, e per non deliberare nella confusione dellòa propria tempesta; ma nel sereno dell’animo che, ritirato ogni pensiero nell’altissima parte della mente, potrá sprezzar molte cose, o non curar di vederle.