Della congiura di Catilina/VI
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Traduzione dal latino di Vittorio Alfieri (1798)
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Roma (com’è fama) fondata era, e nei principj suoi governata dai Trojani sotto Enea fuggitivi e vaganti; ai quali si univano poi gli Aborigeni, uomini rozzi, da ogni legge e freno disciolti. Incredibile a narrarsi, come costoro diversi d’origine lingua e costumi coabitassero in pace. Ma, cresciuti poi in numero civiltà ed estensione, da una certa loro prosperità e potenza nasceva, come suole fra gli uomini, l’invidia altrui. Quindi i Re e i vicini popoli, con guerre a provocarli; pochi de’ loro amici a soccorrerli; i più, intimoriti, a scostarsi dai loro pericoli. Ma i Romani, in città ed in campo solleciti sempre, ad incoraggirsi l’un l’altro disposti, ad affrontare i nemici, a difender con l’armi la libertà la patria i sudditi. Superati poscia colla virtù i pericoli, ajutavano gli alleati ed amici; cui, più donando che ricevendo, guadagnavansi. Il loro capo chiamavano Re: ma legittimo era il suo impero. Prescegliavano i vecchi di robusto senno a trattare i pubblici affari; e alla eta loro, o alle paterne lor cure alludendo, Padri chiamavanli. Ma i Re, da principio custodi della libertà, e promotori della Repubblica, fattisi dappoi superbi e tiranni, Roma cangiava il governo; elesse ogni anno due capi, stimando in tal guisa frenar la licenza, per cui suole insolentire chi regge.