Vittorio Alfieri

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Della congiura di Catilina I
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PREFAZIONE DEL TRADUTTORE.




Per chi sa il Latino, sarà senza alcun dubbio assai meglio di leggere questo divino autore nel testo. Per chi non lo sa, e desidera pur di conoscerne non solamente i fatti narrati, ma anche alcun poco l’indole, la brevità, l’eleganza, il meno peggio sarà di cercarsi quel traduttore che dal testo si verrà meno a scostare, senza pure aver faccia di servilità. Ogni traduttore, che ne ha durata la pena, crederà d’esser quello, benchè non lo dica. Io, non più modesto d’un altro, ma forse alquanto più sincero, non asconderò al lettore questa mia segreta speranza, di essere pur quello. Certo, se io non credessi questa mia traduzione o migliore, o men cattiva che dir si voglia, delle finora conosciute, con tanta cura non la ricopierei. Confessandolo dunque col fatto, non mi vergognerò di anche confessarlo col detto. Io da giovinetto mi indussi ad imprendere questa traduzione pel trasporto che mi cagionava l’autore, e per la necessità che io mi sentiva di meglio imparare il Latino e l’Italiano ad un tempo. Successivamente poi, con molti anni d’intervallo, la sono andata limando, e rettificando, finchè a me e ad alcuni amici paresse cosa leggibile. Benchè io debolissimo latinante mi senta, e non mi ardisca francare della taccia che da molti dotti mi verrà forse data in più luoghi, del non aver ben inteso; mi confido pure, in risarcimento di tanti svantaggi, nel suffragio di quei pochi che sentendo le bellezze di Sallustio, pur converranno che io alcune volte inteso non l’abbia, ma però sempre sentito. E per quelli che gustar non ne possono le bellezze nel testo, sarò assai soddisfatto se troveranno qui brevità, chiarezza ed energia, che accattata non paja, ma originale. Se alcuno poi, o per maligno animo, o per altra cagione vorrà pormi a raffronto col testo; ci vedrà, spero, se non compensata l’insufficienza, continuamente almeno scusata da un’ostinata instancabile diligenza.

Firenze, 27 gennaio 1798.