Della congiura di Catilina/II
Questo testo è stato riletto e controllato. |
Traduzione dal latino di Vittorio Alfieri (1798)
◄ | I | III | ► |
I primi Re, (che così la più antica signoria nominossi) altri l’ingegno, altri la forza adopravano: viveano gli uomini allora senza cupidigia, contento ciascuno del suo. Ma dacchè Ciro nell’Asia, Sparta ed Atene fra’ Greci, cominciarono a soggiogare città e nazioni, a ritrarre cagioni di guerra dall’ambizione d’impero, ed a riporre nel massimo dominio la massima gloria; i pericoli e le vicende mostrarono, che più del brando poteva in guerra la mente. Che se i Re e capitani vincitori la stessa virtù nella pace che nella guerra serbassero, più ordinate e stabili le umane cose riuscirebbero; nè tuttora gl’imperj vedrebbersi e vicende e stato e signore cangiare. Le virtù che dan regno, facilmente il mantengono. Ma, se all’attività la inerzia, se alla moderatezza ed equità l’arbitrio e la prepotenza sottentrano, cangiasi con i costumi la sorte; che sempre dal men buono al migliore si trasferisce il dominio. Campi, mari, città, ogni cosa al valore obbedisce. Molti uomini pure infingardi, golosi, ignoranti, e rozzissimi quasi pellegrini pel mondo trapassano: a costoro, attendendo essi contro natura al corpo soltanto, l’anima un inutile incarco riesce. E la lor vita e la lor morte del tutto reputo eguali, poichè d’entrambe si tace. Quegli dunque a me sembra aver anima e vita, che nelle illustri imprese, nelle utili arti, fama ricerca. Ma ne son molte le vie, e Natura a ciascuno diverse le addita.