Dell'Oreficeria rispetto alla legislazione/III

III

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III.


La orientale e nomade famiglia patriarcale dei tempi biblici ebbe le armille, gli orecchini d’oro e d’argento, e usò gli anelli nuziali; come pure troviamo che le selvaggie tribù dell’America ambiscono di ornarsi di monili, fibule c gambaletti di materia preziosa cui per istinto corre appresso tutto il genere umano, e neppur la religione la ripudia, ma ne fa belli i tempi, gli altari, le celle sacrate e i simulacri degli Dei. Che se lo stoico e il moralista pensano che sarebbe per lo migliore l’astenersi da cotali gingilli, parendo agli occhi loro inutile vanità; nondimeno il genere umano non parendo inclinato a tanta rigidezza di dottrina, li terrà sempre in onore e se ne farà bello, massime quando il merito dell’arte contende con quello della materia. E se per improbabile ipotesi queste dottrine trionfassero e la stirpe umana divenisse un popolo di eremiti come quelli che dimorarono già nei monti della Tebaide, l’oro e l’argento cadendo a vil prezzo, cesserebbero anco dal servire ad uso di moneta. Ma ciò non essendo possibile, poichè l’uomo è tirato per indole alla ricerca [p. 9 modifica]della felicità e degli agi, i metalli preziosi staranno sempre fra le cose più desiderabili come quelli che sono adatti mirabilmente a mille fogge di utilità e d’ornamento, e perchè il pregio lo portano seco, non mica dato a capriccio dalla moda, o dai padroni del mondo. Essi infatti son corpi semplici quasi inalterabili se non per azione chimica, e se alterati è agevole ritrarli alla semplicità nativa, pognamo che le alterazioni vi stessero come atomi chimici impercettibili. La loro omogeneità è tale che nello stato primitivo si riscontrano sempre chimicamente eguali quantunque sieno stati tratti dalle più disparate parti della terra. Laonde pei caratteri singolari e identici sono riconosciuti senza stento, somministrano il comodo di certificare la loro bontà con una impronta dilicata sopra di essi, impronta che tardamente perdono per l’uso, onde è che si accomodano tanto bene all’officio di moneta. Hanno altresì, l’argento un suono chiaro sui generis, e l’oro un peso speciale relativamente alla massa, per mezzo delle quali proprietà porgono all’uomo la sicurezza di non essere tratto in inganno nel riceverli per poco d’attenzione ch’egli vi ponga. A buon diritto per tanto questi due metalli si meritarono quel pregio quasi costante che hanno universalmente, considerati come mercanzie, e se v’è qualche divario nell’ondeggiamento del prezzo dell’uno o dell’altro fra essi, ciò accade quando non si mantiene il solito equilibrio di abbondanza. Se adunque il pregio lo portano seco, non è a dire quanto fecero mala prova quei monarchi, i quali [p. 10 modifica]ostinandosi nella beata illusione di poter mutare con una legge anche il senso comune, colla stessa agevolezza onde si raggira una legione di soldati al comando del capitano, surrogarono nell’oro un prezzo fattizio al prezzo naturale, e mostrarono non fosse altro una maravigliosa semplicità. L’imagine del principe nella moneta nulla aggiunge o scema al valore della materia, ma ci avvisa di quello che ha per generale consentimento, e perciò moneta fu detta a monendo. Il conio nella moneta risparmia solamente il fastidio di pesarla e saggiarla; ma quanto al valore di quel metallo e di quella moneta, è indubitato che si determina dagli stessi principii che determinano il valore di qualunque altra merce del mondo.