Dei delitti e delle pene (1821)/XXXV

§ XXXV.

../XXXIV ../XXXVI IncludiIntestazione 25 ottobre 2023 100% Da definire

XXXIV XXXVI
[p. 101 modifica]

§ XXXV.

Del Suicidio e dei Fuorusciti.

Il suicidio è un delitto che sembra non potere ammettere una pena propriamente detta; poichè ella non può cadere che o sugl’innocenti, o su di un corpo freddo ed insensibile. Se questa non fa alcuna impressione sui viventi, come non lo farebbe lo sferzare una statua, quella è ingiusta e tirannica, perchè la libertà politica degli uomini suppone necessariamente che le pene sieno meramente personali. Gli uomini amano troppo la vita, e tutto ciò che li circonda li conferma in questo amore. La seducente imagine del piacere, e la speranza, dolcissimo inganno de’ mortali, per cui trangugiano a gran sorsi il male misto in poche stille di contento, gli alletta troppo, perchè temer si debba che la necessaria impunità di un tal delitto abbia qualche influenza sugli uomini. Chi teme il dolore ubbidisce alle leggi; ma la morte ne estingue nel corpo tutte le sorgenti. Qual dunque sarà il motivo che tratterrà la mano disperata del suicida?

Chiunque si uccide fa minor male alla società, che colui che n’esce per sempre dai confini; perchè quegli vi lascia tutta la sua sostanza, ma questi trasporta se stesso con parte del suo avere. Anzi se la forza della società consiste nel numero de’ cittadini, col sottrarre se stesso, e darsi ad una vicina nazione, fa un doppio danno di quello che lo faccia chi [p. 102 modifica]semplicemente colla morte si toglie alla società. La questione dunque si riduce a sapere, se sia utile o dannoso alla nazione il lasciare una perpetua libertà di assentarsi a ciascun membro di essa.

Ogni legge che non sia armata, o che la natura delle circostanze renda insussistente, non deve promulgarsi: e come su gli animi regna l’opinione, che ubbidisce alle lente ed indirette impressioni del legislatore, che resiste alle dirette e violenti; così le leggi inutili, disprezzate dagli uomini, comunicano il loro avvilimento alle leggi anche più salutari, che sono risguardate più come un ostacolo da superarsi, che come il deposito del pubblico bene.

Anzi se, come fu detto, i nostri sentimenti sono limitati, quanta maggior venerazione gli uomini avranno per oggetti estranei alle leggi, tanto meno ne resterà alle leggi medesime. Da questo principio il saggio dispensatore della pubblica felicità può trarre alcune utili conseguenze, ch’esponendole mi allontanerebbero troppo dal mio soggetto, ch’è di provare l’inutilità di fare dello stato una prigione. Una tal legge è inutile, perchè a meno che scogli inaccessibili, mare innavigabile non dividano un paese da tutti gli altri, come chiudere tutti i punti della circonferenza di esso, e come custodire i custodi? Chi tutto trasporta non può, da che lo ha fatto, esserne punito. Un tal delitto, subito ch’è commesso, non può più punirsi, e il punirlo prima, è punire la volontà degli uomini, e non le azioni; egli è un comandare alla intenzione, parte liberissima [p. 103 modifica]dell’uomo indipendente dall’impero delle umane leggi. Il punire l’assente nelle sostanze lasciatevi, oltre la facile ed inevitabile collusione, che senza tiranneggiare i contratti non può esser tolta, arenerebbe ogni commercio da nazione a nazione. Il punirlo quando ritornasse il reo, sarebbe l’impedire che si ripari il male fatto alla società, col rendere tutte le assenze perpetue. La proibizione stessa di uscire da un paese ne aumenta il desiderio ai nazionali di sortirne, ed è un avvertimento ai forestieri di non introdurvisi.

Che dovremo pensare di un governo che non ha altro mezzo per trattenere gli uomini, naturalmente affezionati per le prime impressioni dell’infanzia alla loro patria, fuori che il timore? La più sicura maniera di fissare i cittadini nella patria è di aumentare il ben essere relativo di ciascheduno. Come devesi fare ogni sforzo perchè la bilancia del commercio sia in nostro favore, così è il massimo interesse del sovrano e della nazione che la somma della felicità, paragonata con quella delle nazioni circostanti, sia maggiore che altrove. I piaceri del lusso non sono i principali elementi di questa felicità, quantunque questo sia un rimedio necessario alla disuguaglianza, che cresce coi progressi di una nazione, senza di cui le ricchezze si addensarebbono in una sola mano1. [p. 104 modifica]

Ma il commercio, ed il passaggio dei piaceri del lusso ha questo inconveniente, che quantunque facciasi per il mezzo di molti, pure comincia in pochi, e termina in pochi, e solo pochissima parte ne gusta il maggior numero, talchè non impedisce il sentimento della miseria più cagionato dal paragone che dalla realità. Ma la sicurezza e la libertà limitata dalle sole leggi sono quelle che formano la base principale di questa felicità, colle quali i piaceri del lusso favoriscono la popolazione, e senza di quelle divengono lo stromento della tirannia. Siccome le fiere più generose e i liberissimi uccelli si [p. 105 modifica]allontanano nelle solitudini e nei boschi inaccessibili, ed abbandonano le fertili e ridenti campagne all’uomo insidiatore; così gli uomini fuggono i piaceri medesimi, quando la tirannia li distribuisce.

Egli è dunque dimostrato che la legge che imprigionia i sudditi nel loro paese, è inutile ed ingiusta: dunque lo sarà parimente la pena del suicidio; e perciò quantunque sia una colpa, che Dio punisce, perchè solo può punire anche dopo la morte, non è un delitto avanti gli uomini; perchè la pena invece di cadere sul reo medesimo, cade sulla di lui famiglia. Se alcuno mi opponesse, che una tal pena può nondimeno ritrarre un uomo determinato dall’uccidersi, io rispondo, che chi tranquillamente rinuncia al bene della vita, che odia l’esistenza quaggiù, talchè vi preferisca un’infelice eternità, dev’essere niente mosso dalla meno efficace e più lontana considerazione dei figli o dei parenti.

Note

  1. Dove i confini di un paese si aumentano in maggior ragione, che non la popolazione di esso, ivi il lusso favorisce il dispotismo, sì perchè quanto gli uomini sono più rari, tanto è minore l’industria, e quanto è minore l’industria, è tanto più grande la dipendenza della povertà dal fasto, ed è tanto più difficile e men temuta la riunione degli oppressi contro gli oppressori: sì perchè le adorazioni, gli uffici, le distinzioni, la sommissione, che rendono più sensibile la distanza tra il forte e il debole, si ottengono più facilmente dai pochi che dai molti, essendo gli uomini tanto più indipendenti, quanto meno osservati, e tanto meno osservati, quanto maggiore ne è il numero. Ma dove la popolazione cresce in maggior proporzione che non i confini, il lusso si oppone al dispotismo, perchè anima l’industria e l’attività degli uomini; e il bisogno offre troppi piaceri e comodi al ricco, perchè quelli di ostentazione, che aumentano l’opinione di dipendenza, abbiano ii maggior luogo. Quindi può osservarsi che negli stati vasti e deboli e spopolati, se altre cagioni non vi mettono ostacolo, il lusso di ostentazione prevale a quello di comodo; ma negli stati popolati più che vasti il lusso di comodo fa sempre sminuire quello di ostentazione.