Dei delitti e delle pene (1821)/XVIII
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§ XVIII.
Infamia.
L’infamia è un segno della pubblica disapprovazione, che priva il reo de’ pubblici voti, della confidenza della patria, e di quella quasi fraternità che la società inspira. Ella non è in arbitrio della legge. Bisogna dunque che l’infamia che infligge la legge, sia la stessa che quella che nasce da’ rapporti delle cose; la stessa che la morale universale, o la particolare dipendente dai sistemi particolari, legislatori delle volgari opinioni e di quella tal nazione, inspirano. Se l’una è differente dall’altra, o la legge perde la pubblica venerazione, o le idee della morale e della probità svaniscono ad onta delle declamazioni che mai non resistono agli esempi. Chi dichiara infami, azioni per se indifferenti, sminuisce l’infamia delle azioni che sono veramente tali.
Le pene corporali e dolorose non devono darsi a quei delitti che, fondati sull’orgoglio, traggono dal dolore istesso gloria ed alimento, ai quali convengono il ridicolo e l’infamia, pene che frenano l’orgoglio dei fanatici coll’orgoglio degli spettatori, e dalla tenacità delle quali appena con lenti ed ostinati sforzi la verità stessa si libera. Così forze opponendo a forze, ed opinioni ad opinioni, il saggio legislatore rompe l’ammirazione e la sorpresa del popolo cagionata da un falso principio, i ben dedotti conseguenti del quale sogliono velarne ai volgo l’originaria assurdità.
Le pene d’infamia non debbono essere nè troppo frequenti, nè cadere sopra un gran numero di persone in una volta: non il primo, perchè gli effetti reali e troppo frequenti delle cose di opinione indeboliscono la forza dell’opinione medesima; non il secondo, perchè l’infamia di molti si risolve nella infamia di nessuno.
Ecco la maniera di non confondere i rapporti e la natura invariabile delle cose, che non essendo limitata dal tempo, ed operando incessantemente, confonde e svolge tutti i limitati regolamenti che da lei si scostano. Non sono le sole arti di gusto e di piacere, che hanno per principio universale l’imitazione fedele della natura; ma la politica stessa, almeno la vera e la durevole, è soggetta a questa massima generale, poichè ella non è altro che l’arte di meglio dirigere e di rendere conspiranti i sentimenti immutabili degli uomini.