Dei delitti e delle pene (1821)/XIV
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§ XIV.
Attentati, complici, impunità.
Perchè le leggi non puniscono l’intenzione, non è però che un delitto che cominci con qualche azione che manifesti la volontà di eseguirlo, non meriti una pena, benchè minore della dovuta all’esecuzione medesima del delitto. L’importanza di prevenire un attentato autorizza una pena: ma siccome tra l’attentato e l’esecuzione vi può essere un intervallo; così la pena maggiore riserbata al delitto consumato può dar luogo al pentimento. Lo stesso dicasi quando siano più complici di un delitto, e non tutti esecutori immediati; ma per una diversa ragione. Quando più uomini si uniscono in un rischio, quanto egli sarà più grande, tanto più cercheranno che sia uguale per tutti: sarà dunque più difficile trovare chi si contenti d’esserne l’esecutore, correndo un rischio maggiore degli altri complici. La sola eccezione sarebbe nel caso che all’esecutore fosse fissato un premio: avendo egli allora un compenso pel maggior rischio, la pena dovrebbe essere eguale. Tali riflessioni sembreran troppo metafisiche a chi non rifletterà essere utilissimo che le leggi procurino meno motivi di accordo che sia possibile tra i compagni di un delitto.
Alcuni tribunali offrono l’impunità a quel complice di grave delitto che paleserà i suoi compagni. Un tale spediente ha i suoi inconvenienti e i suoi vantaggi. Gl’inconvenienti sono, che la nazione autorizza il tradimento, detestabile ancora fra gli scellerati, perchè sono meno fatali ad una nazione i delitti di coraggio che quelli di viltà, perchè il primo non è frequente, perchè non aspetta che una forza benefica e direttrice che lo faccia cospirare al ben pubblico; e la seconda è più comune e contagiosa, e sempre più si concentra in se stessa. Di più, il tribunale fa vedere la propria incertezza, la debolezza della legge, che implora, l’aiuto di chi l’offende. I vantaggi sono il prevenire delitti importanti, e che essendone palesi gli effetti, ed occulti gli autori, intimoriscono il popolo; di più si contribuisce a mostrare, che chi manca di fede alle leggi, cioè al pubblico, è probabile che manchi al privato. Sembrerebbemi che una legge generale, che promettesse l’impunità al complice palesatore di qualunque delitto, fosse preferibile ad una speciale dichiarazione in un caso particolare, perchè così preverrebbe le unioni col reciproco timore che ciascun complice avrebbe di non espor che sè medesimo; il tribunale non renderebbe audaci gli scellerati, che veggono in un caso particolare chiesto il loro soccorso. Una tal legge però dovrebbe accompagnare l’impunità col bando del delatore...... Ma invano tormento me stesso per distruggere il rimorso che sento autorizzando le sacrosante leggi, il monumento della pubblica confidenza, la base della morale umana, al tradimento ed alla dissimulazione. Qual esempio alla nazione sarebbe poi, se si mancasse alla impunità promessa, e che per dotte cavillazoni si strascinasse al supplizio, ad onta della fede pubblica, chi ha corrisposto all’invito delle leggi! Non sono rari nelle nazioni tali esempi, e perciò rari non sono coloro che non hanno di una nazione altra idea che di una macchina complicata, di cui il più destro e il più potente ne muovono a loro talento gli ordigni: freddi ed insensibili a tutto ciò che forma la delizia delle anime tenere e sublimi, eccitano con imperturbabile sagacità i sentimenti più cari e le passioni più violenti, sì tosto che le veggono utili al loro fine, tasteggiando gli animi, come i musici gli stromenti.