Decameron/Giornata decima/Conclusione
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La novella di Dioneo era finita, ed assai le donne, chi d’una parte e chi d’altra tirando, chi biasimando una cosa e chi un’altra intorno ad essa lodandone, n’avevan favellato, quando il re, levato il viso verso il cielo e veggendo che il sole era giá basso all’ora di vespro, senza da seder levarsi, cosí cominciò a parlare:
Adorne donne, come io credo che voi conosciate, il senno de’ mortali non consiste solamente nell’avere a memoria le cose preterite o conoscere le presenti: ma per l’una e per l’altra di queste sapere antiveder le future è da’ solenni uomini senno grandissimo reputato. Noi, come voi sapete, domane saranno quindici dí, per dovere alcun diporto pigliare a sostentamento della nostra sanitá e della vita, cessando le malinconie ed i dolori e l’angosce le quali per la nostra cittá continuamente, poi che questo pistilenzioso tempo incominciò, si veggiono, uscimmo di Firenze; il che, secondo il mio giudicio, noi onestamente abbiam fatto, per ciò che, se io ho saputo ben riguardare, quantunque liete novelle e forse attrattive a concupiscenza dette ci sieno, e del continuo mangiato e bevuto bene, e sonato e cantato, cose tutte da incitare le deboli menti a cose meno oneste, niuno atto, niuna parola, niuna cosa né dalla vostra parte né dalla nostra ci ho conosciuta da biasimare: continua onestá, continua concordia, continua fraternal dimestichezza mi c’è paruta vedere e sentire, il che senza dubbio in onore e servigio di voi e di me m’è carissimo. E per ciò, acciò che per troppo lunga consuetudine alcuna cosa che in fastidio si convertisse, nascer non ne potesse, e perché alcuno la nostra troppo lunga dimoranza gavillar non potesse, ed avendo ciascun di noi la sua giornata avuta la sua parte dell’onore che in me ancora dimora, giudicherei, quando piacer fosse di voi, che convenevole cosa fosse omai il tornarci lá onde ci partimmo. Senza che, se voi ben riguardate, la nostra brigata, giá da piú altre saputa da torno, per maniera potrebbe multiplicare che ogni nostra consolazion ci torrebbe: e per ciò, se voi il mio consiglio approvate, io mi serverò la corona donatami per infino alla nostra partita, che intendo che sia domattina; ove voi altramenti diliberaste, io ho giá pronto cui per lo dí seguente ne debba incoronare. — I ragionamenti furon molti tra le donne e tra’ giovani, ma ultimamente presero per utile e per onesto il consiglio del re, e cosí di fare diliberarono come egli aveva ragionato; per la qual cosa esso, fattosi il siniscalco chiamare, con lui del modo che a tenere avesse nella seguente mattina parlò, e licenziata la brigata infino all’ora della cena, in piè si levò.
Le donne e gli altri, levatisi, non altramenti che usati si fossero, chi ad un diletto e chi ad uno altro si diede; e l’ora della cena venuta, con sommo piacere furono a quella, e dopo quella, a cantare ed a sonare ed a carolare cominciarono: e menando la Lauretta una danza, comandò il re alla Fiammetta che dicesse una canzone; la quale assai piacevolemente cosí incominciò a cantare:
S’Amor venisse senza gelosia, |
Come la Fiammetta ebbe la sua canzon finita, cosí Dioneo, che allato l’era, ridendo disse: — Madonna, voi fareste una gran cortesia a farlo conoscere a tutte, acciò che per ignoranza non vi fosse tolta la possessione, poi che cosí ve ne dovete adirare. — Appresso questa, se ne cantaron piú altre: e giá essendo la notte presso che mezza, come al re piacque, tutti s’andarono a riposare. E come il nuovo giorno apparve, levati, avendo giá il siniscalco via ogni lor cosa mandata, dietro alla guida del discreto re verso Firenze si ritornarono: ed i tre giovani, lasciate le sette donne in Santa Maria Novella, donde con loro partiti s’erano, da esse accommiatatisi, a loro altri piaceri attesero; ed esse, quando tempo lor parve, se ne tornarono alle lor case.