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318 giornata decima

nella sala la rimenarono. E quivi fattasi co’ figliuoli maravigliosa festa, essendo ogni uomo lietissimo di questa cosa, il sollazzo ed il festeggiar multiplicarono ed in piú giorni tirarono: e savissimo reputaron Gualtieri, come che troppo reputassero agre ed intollerabili l’esperienze prese della sua donna, e sopra tutti savissima tenner Griselda. Il conte da Panago si tornò dopo alquanti dí a Bologna, e Gualtieri, tolto Giannucolo dal suo lavorío, come suocero il pose in istato che egli onoratamente e con gran consolazione visse e finí la sua vecchiezza. Ed egli appresso, maritata altamente la sua figliuola, con Griselda, onorandola sempre quanto piú si potea, lungamente e consolato visse. Che si potrá dir qui, se non che anche nelle povere case piovono dal cielo de’ divini spiriti, come nelle reali di quegli che sarien piú degni di guardar porci che d’avere sopra uomini signoria? Chi avrebbe altri che Griselda potuto col viso non solamente asciutto ma lieto sofferir le rigide e mai piú non udite pruove da Gualtier fatte? Al quale non sarebbe forse stato male investito d’essersi abbattuto ad una che, quando fuor di casa l’avesse in camiscia cacciata, s’avesse sí ad uno altro fatto scuotere il pilliccione, che riuscito ne fosse una bella roba.


La novella di Dioneo era finita, ed assai le donne, chi d’una parte e chi d’altra tirando, chi biasimando una cosa e chi un’altra intorno ad essa lodandone, n’avevan favellato, quando il re, levato il viso verso il cielo e veggendo che il sole era giá basso all’ora di vespro, senza da seder levarsi, cosí cominciò a parlare:

Adorne donne, come io credo che voi conosciate, il senno de’ mortali non consiste solamente nell’avere a memoria le cose preterite o conoscere le presenti: ma per l’una e per l’altra di queste sapere antiveder le future è da’ solenni uomini senno grandissimo reputato. Noi, come voi sapete, domane saranno quindici dí, per dovere alcun diporto pigliare a sostentamento della nostra sanitá e della vita, cessando le malinconie ed i dolori e l’angosce le quali per la nostra cittá continuamente, poi che questo pistilenzioso tempo incominciò, si veggiono, uscimmo di Firenze; il che, secondo il mio giudicio, noi onestamente abbiam