Dalle dita al calcolatore/IX/1
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1. Il trionfo della matematica italiana
Secondo un aneddoto, un mercante tedesco del XV secolo avrebbe chiesto a un professore universitario dove mandare il proprio figlio a istruirsi nei calcoli. Il professore avrebbe risposto che questi poteva imparare le addizioni e le sottrazioni anche nelle università tedesche, ma per le moltiplicazioni e le divisioni avrebbe dovuto recarsi in Italia.
In effetti, nel Cinquecento, la fama dei matematici italiani raggiunge l’apice, anche per effetto di sfide memorabili fra matematici e di magistrali tiri mancini. Il matematico Scipio dal Ferro (1465-1526), professore all’Università di Bologna, scopre la soluzione dell’equazione di terzo grado e la confida al suo allievo Fior solo in punto di morte. Costui, forte della rivelazione, sfida il celebre matematico bresciano Nicolò Fontana detto Tartaglia (1500-1557). La sfida ha luogo nel 1541 circa. Ognuno propone all’avversario 30 questioni da risolvere, concernenti equazioni di terzo grado. Tartaglia trova il metodo per risolvere le equazioni di terzo grado otto giorni prima della gara. Il giorno stabilito egli risolve in due ore tutti i problemi che gli sono stati proposti, mentre il Fior è ancora alle prese con il primo. Entra in scena Gerolamo Cardano (1501-1576), medico, astrologo, giocatore, ma anche esperto di algebra e stimato professore a Bologna e a Milano. Convince Tartaglia a confidargli la formula, impegnandosi a tenerla segreta. Cardano ha per segretario il matematico Ferrari (1522-1565), che trova il metodo per risolvere le equazioni di quarto grado. Cardano spiazza l’uno e l’altro divulgando le due scoperte nel suo trattato Ars Magna (1545), e lascia ai due la magra soddisfazione di essere citati come gli ispiratori delle scoperte.
“Il successo dei matematici italiani produsse una enorme impressione. Era la prima volta che la scienza dei tempi nuovi superava le conquiste dell’antichità. Fino ad allora, nel corso di tutto il Medioevo, lo scopo che ci si poneva era quello di capire almeno le opere degli antichi. Ora invece, finalmente, si risolvevano questioni ove gli antichi non erano riusciti. E questo accadeva nel Cinquecento, cioè cent’anni prima dell’invenzione delle nuove branche della geometria analitica, del calcolo differenziale e del calcolo integrale, che avrebbero sancito la definitiva superiorità della nuova scienza rispetto a quella antica. Dopo di allora non vi fu matematico di vaglia che non tentasse di proseguire i successi degli Italiani e di risolvere in modo analogo, per mezzo di radicali, le equazioni di quinto, sesto grado e di grado superiore” (9b).