Dall'Ippolito di Seneca
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DALL’«IPPOLITO» DI SENECA
O tu, gran madre degli Dei, Natura,
O reggitore dell’ignito Olimpo,
Che nel cielo volubile le sparse
Stelle e degli astri erranti il corso guidi,
Tu che nel rapido asse i poli aggiri,
Deh, perchè mai con sì perpetua cura
Muovi le vie del sommo ètera, in guisa
Ch’or la candida bruma i boschi spoglia,
Or tornan le frondose ombre agli arbusti,
Dell’estivo leone or la fiammante
Faccia matura il biondo grano, or mite
Le fervid’aure la stagion ritempra?
Perchè mai tu, che tante cose reggi,
E sotto a cui nel cielo ampio librate
Rotan le sfere luminose, lungi
Dal tuo pensier l’uman gregge abbandoni,
E al buon giovar, nuocere al reo non curi?
Mesce fortuna i casi umani, e cieca
Gitta i suoi doni, e i più malvagi esalta:
Vince l’empia libidine i più santi
Animi; per le reggie alto la frode
Troneggia; a’ turpi dispensar gli onori
Gode la plebe che leccando morde;
La severa virtù premio raccoglie
D’affanni; a’ casti la miseria, al sozzo
Drudo, felice nella colpa, il regno.
Oh gloria menzognera! Oh virtù vana!