L’Errante

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Suor Nazarena Giorno di festa
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L’ERRANTE.

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Tutte le stazïoni e tutti i porti
videro quella che non è mai stanca
e sotto il nero velo è così bianca,
pallida in viso del pallor dei morti.
5Treni in corsa per monti e per radure
la rapiron tuonando e sibilando
nei giorni d’oro, nelle
calde e torbide notti senza stelle:
da treni in corsa vide essa le pure
10albe fiorire in cieli ignoti: e quando
s’addormentò sognando
sui cuscini, dal sogno all’improvviso

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scosse un urto, il secco urlar d’un nome
di paese straniero:
15e niuno era ad attenderla con riso
di gioja, ed ella non cercò nessuno;
ma, calma, discendendo, il velo nero
ricompose sul volto e sulle chiome.

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La tristezza di gelo ella conosce
20delle stanze d’albergo, ove la gente
passò col suo mistero e il suo pungente
destino a tergo, e le sue sorde angosce:
ove un ignoto visse la sua notte
ultima, forse — e rise e pianse amore
25fra baci senza fine,
e l’insonnia spiò fra le cortine,
e l’odio sibilò le rauche e rotte
parole, che di pietra fanno il cuore.
.... Da quale mano il fiore
30cadde che or, vizzo, sul tappeto giace?...
Chi morse ieri il candido guanciale?...

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... Non sa, non pensa. È stanca.
Solo vorrebbe riposare in pace.
E scioglie il velo e libera le trecce;
35ma fra le trecce v’è una ciocca bianca,
il viso è smorto come il capezzale.

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Malinconia delle città lontane
ove le sembra d’essere sperduta,
ove ogni cosa agli occhi, al cuore è muta,
40voce di folla e voce di campane!...
Malinconia di ferree tettoje
piene di fischi, di fumo, di gente,
di lacrime e di brividi
nella penombra dei tramonti lividi!...
45Creature che van verso le gioje
d’una casa o d’un sogno — e il sogno mente,
e un labbro v’è che mente
in quella casa!... Trepide partenze,
singhiozzi e gridi soffocati in gola,

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50baci, dolore, amore!...
Vana forma fra innumeri parvenze,
va l’Errabonda, e non si volge indietro;
ma quando parla col suo chiuso cuore
si curva, e trema d’esser troppo sola.

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55Oh, fermarsi un momento!... Oh, ritrovare
una casa fedele, un volto amato!...
Ma non può. Dietro a sè tutto ha spezzato.
Ella stessa distrusse il focolare.
E in fondo al cuore seppellì i suoi morti,
60e non v’accese lampada a vegliare;
ma fugge; chè una muta
ombra l’incalza, sol da lei veduta.
Cieli acque terre cimiteri ed orti
fuggon dinanzi al suo solingo errare,
65fuggono il monte e il mare,
così fuggir potesse anche il ricordo!...
Così strappar da te potessi, o bruna

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innominata, il senso
d’ambascia che ti preme, opaco e sordo,
70le viscere, se pensi un dolce nido
piccino agli occhi, ma pel cuore immenso,
e in esso, a notte, un dondolìo di cuna....