Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi/Libro terzo/10
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Ardito disegno de’ fuorusciti per rientrare in Firenze; e come fallisce loro per colpa del Baschiera (luglio 1304).
Dimorando i detti in Perugia, per li usciti di Firenze si fe’ un franco pensiero: che fu, che celatamente invitorono tutti quelli di loro animo, che un giorno posto dovessono esser tutti con armata mano in certo luogo: e sìý segretamente menorono il trattato, che quelli che erano rimasi in Firenze niente ne sentirono. E messo in ordine, subito furono alla Lastra presso a Firenze a due miglia, con MCC uomini d’arme a cavallo, con sopraveste bianche: e furonvi Bolognesi, Romagnoli, Aretini, e altri amici, a cavallo e a piè.
Il grido fu grande per la città. I Neri temeano forte i loro adversari, e cominciavano a dire parole umili. E molti se ne nascosono ne’ munisteri, e molti si vestivano come frati per paura di loro nimici: ché altro riparo non aveano, perché non erano proveduti.
I Bianchi e Ghibellini stando alla Lastra, una notte molti loro amici della città gli andorono a confortare del venire presto. Il tenpo era di luglio, il dì di Santa Maria Maddalena a dì XXI, e il caldo grande. E la gente che vi dovea esser non v’era ancor tutta; però che i primi che vennono, si scopersono due dì innanzi.
Messer Tolosato degli Uberti co’ Pistolesi non era ancor giunto, perché non era il dì diputato. I Cavalcanti, i Gherardini, i Lucardesi, gli Scolari di Val di Pesa, non erano ancora scesi. Ma il Baschiera, che era quasi capitano, vinto più da volontà che da ragione, come giovane, vedendosi con bella gente e molto incalciato, credendosi guadagnare il pregio della vittoria, chinò giù co’ cavalieri alla terra, poi che scoperti si vedeano. E questo non dovean fare, perché la notte era loro più amica che ’I dì, sì per lo calore del dì, e sì perché gli amici sarebbono iti a loro di notte della terra, e sì perché ruppono il termine dato agli amici loro; i quali non si scopersono, perché non era l’ora determinata.
Vennono da San Gallo, e nel Cafaggio del Vescovo si schierarono, presso a San Marco, e con le insegne bianche spiegate, e con ghirlande d’ulivo, e con le spade ignude, gridando "pace", sanza fare violenzia o ruberia a alcuno. Molto fu bello ad vederli, con segno di pace, stando schierati. Il caldo era grande, sì che parea che l’aria ardesse. I loro scorridori a piè e a cavallo si strinsono alla città, e vennono alla porta degli Spadai, credendo il Baschiera avervi amici e entrarvi sanza contesa: e però non vennono ordinati, con le scure né con l’armi da vincere la porta. I serragli del borgo furono loro contesi: pur li ruppono, e fedirono e uccisono molti Gangalandesi erano quivi alla guardia. Giunsono alla porta, e per lo sportello molti entrarono nella città. Quelli dentro, che aveano loro promesso, non obtennono loro i patti; come furono i Pazi, i Magalotti, e messer Lambertuccio Frescobaldi, i quali erano co’ loro sdegnati, chi per oltraggi e onte ricevute, pel fuoco messo nella città e altre villanie loro fatte: anzi feciono loro contro, per mostrarsi non colpevoli; e più si sforzavano offenderli che gli altri; con balestra a tornio vennono saettando a Santa Reparata.
Ma niente valea, se non fusse stato uno fuoco che fu messo in uno palagio allato alla porta della città. Onde coloro che già erano entrati nella terra, dubitarono esser traditi e volsonsi indietro; e portoronsene lo sportello della porta, e giunsono alla schiera grossa, la quale non si movea: ma il fuoco forte crescea.
Così stando, il Baschiera sentì che quelli che lo dovean favoreggiare lo nimicavano; e però volse i cavalli e tornò indietro. E la speranza e l’allegrezza tornò loro in pianto: ché i loro adversarii vinti divennero vincitori, e presono cuore come lioni; e scorrendo li seguivano, ma con grande riguardo: e i pedoni, vinti dalla calura del sole, si gittavano per le vigne e per le case nascondendosi, e molti ne trafelarono.
Il Baschiera si gittò nel monasterio di San Domenico, e per forza ne trasse due sue nipoti che erano molto ricche, e menòllene seco. E però Iddio gliene fece male.
A casa Carlettino de’ Pazi rimasono molti gentili uomini per ricogliere i loro, e per danneggiare i loro nemici; che scorrevano loro dietro: e più non li seguitorono.
Poco lontano dalla terra scontrorono messer Tolosato degli Uberti, il quale co’ Pistolesi venìa per esser al dì nominato. Vollegli rivolgere, e non poté. Il perché con gran dolore se ne tornò in Pistoia; e ben conobbe che la giovaneza del Baschiera gli tolse la terra.
Molti degli usciti ne furono morti, che si trovorono nascosi; e molti poveri infermi uccisono, i quali traevano degli spedali. Bolognesi e Aretini furon presi assai, e tutti gl’inpiccarono. Ma quelli che eran maliziosi, l’altro giorno, levarono una falsa voce, dicendo che messer Corso Donati e messer Cante de’ Gabrielli d’Agobbio avean preso Arezo per tradimento: onde i loro nimici ne dubitorono tanto, che ne perderono il vigore e non s’ardirono a muovere.