Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi/Libro primo/21
Questo testo è completo. |
◄ | Libro primo - 20 | Libro primo - 22 | ► |
Il Pontefice, insospettito de’ Cerchi, come d’amici a’ Ghibellini, manda a Firenze un Cardinale a paciaro. Sua mala riuscita. Confino de’principali delle due parti (1300,... - giugno...).
Sedea in quel tempo nella sedia di San Piero papa Bonifazio VIII, il quale fu di grande ardire e alto ingegno, e guidava la Chiesa a suo modo, e abbassava chi non li consentia. Erano con lui sua mercatanti gli Spini, famiglia di Firenze ricca e potente: e per loro stava là Simone Gherardi, uomo pratico in simile esercizio; e con lui era uno figliuolo d’uno affinatore d’ariento, fiorentino, si chiamava il Nero Canbi, uomo astuto e di sottile ingegno, ma crudo e spiacevole. Il quale tanto aoperò col Papa per abassare lo stato de’ Cerchi e de’ loro sequaci, che mandò a Firenze messer frate Matteo d’Aquasparta, cardinale Portuense, per pacificare i Fiorentini. Ma niente fece, perché dalle parti non ebbe la commessione volea, e però sdegnato si partì di Firenze.
Andando una vilia di San Giovanni l’Arti a offerere, come era usanza, e essendo i consoli innanzi, furono manomessi da certi grandi, e battuti, dicendo loro: "Noi siamo quelli che demo la sconfitta in Campaldino; e voi ci avete rimossi degli ufici e onori della nostra città". I Signori, sdegnati, ebbono consiglio da più cittadini, e io Dino fui uno di quelli. E confinorono alcuni di ciascuna parte: cioè, per la parte de’ Donati, messer Corso e Sinibaldo Donati, messer Rosso e messer Rossellino della Tosa, messer Giachinotto e messer Pazino de’ Pazi, messer Geri Spini, messer Porco Manieri, e loro consorti, al Castel della Pieve; e per la parte de’ Cerchi, messer Gentile e messer Torrigiano e Carbone de’ Cerchi, Guido Cavalcanti, Baschiera della Tosa, Baldinaccio Adimari, Naldo Gherardini, e de’ loro consorti, a Sarezano, i quali ubidirono e andorono a’ confini.
Quelli della parte de’ Donati non si voleano partire, mostrando che tra loro era congiura. I rettori li voleano condannare. E se non avessono ubidito e avessono presa l’arme, quel dì avrebbono vinta la terra; però che i Lucchesi, di conscienzia del Cardinale, veniano in loro aiuto con grande esercito d’uomini.
Vedendo i Signori che i Lucchesi veniano, scrissono loro, non fussono arditi entrare su loro terreno; e io mi trovai a scrivere la lettera: e alle villate si comandò pigliassono i passi. E per studio di Bartolo di messer Iacopo de’ Bardi tanto si procurò, che ubidirono.
Molto si palesò allora la volontà dcl Cardinale, che la pace, che egli cercava, era per abbassare la parte de’ Cerchi e inalzare la parte de’ Donati. La quale volontà, per molti intesa, dispiacque assai. E però si levò uno di non molto senno, il quale con uno balestro saettò uno quadrello alla finestra del vescovado (dove era il Cardinale), il quale si ficcò nell’asse: e per paura si partì di quindi, e andò a stare oltrarno a casa messer Tommaso per più sicurtà.
I Signori, per rimediare allo sdegno avea ricevuto, gli presentorono fiorini MM nuovi. E io gliel portai in una coppa d’ariento, e dissi: "Messere, non li disdegnate perché siano pochi, perché sanza i consigli palesi non si può dare più moneta". Rispose gli avea cari; e molto li guardò, e non li volle.