Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi/Libro primo/13

Libro primo - Capitolo 13

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I Grandi congiurano in più modi a’ danni di Giano (1293 - 1294).

I potenti cittadini (i quali non tutti erano nobili di sangue, ma per altri accidenti erano detti Grandi) per sdegno del popolo, molti modi trovorono per abbatterlo. E mossono di Campagna un franco e ardito cavaliere, che avea nome messer Gian di Celona, potente più che leale, con alcune giuridizioni a lui date dallo imperadore. E venne in Toscana patteggiato co’ grandi di Firenze, e di volontà di papa Bonifazio VIII, nuovamente creato: ebbe carta e giuridizioni di terre guadagnasse; e tali vi posono il suggello, per frangere il popolo di Firenze, che furono messer Vieri de’ Cerchi e Nuto Marignolli, secondo disse messer Piero Cane da Milano procuratore del detto messer Gian di Celona. Molti ordini dierono per uccidere il detto Giano, dicendo: "Percosso il pastore, fiano disperse le pecore".

Un giorno ordinorono di farlo assassinare; poi se ne ritrassono per tema del popolo. Poi per ingegno trovoron modo farlo morire, con una sottile malizia; e disson: "Egli è giusto: mettianli innanzi le rie opere de’ beccai, che sono uomini malferaci e maldisposti". Tra’ quali era uno chiamato Pecora, gran beccaio, sostenuto da’ Tosinghi, il quale facea la sua arte con falsi modi e nocivi alla republica; era perseguitato dall’Arte, però che le sue malizie usava sanza timore; minacciava i rettori e gli uficiali, e profferevasi a mal fare con gran possa di uomini e d’arme.

Quelli della congiura fatta contro a Giano, essendo sopra rinnovare le leggi nella chiesa d’Ognissanti, dissono a Giano: "Vedi l’opere de’ beccai quanto multiplicano a mal fare?". E Giano rispose: "Perisca innanzi la città, che ciò si sostenga"; e procurava fare leggi sopra loro. E per simile diceano de’ giudici: "Vedi: i giudici minacciano i rettori al sindacato, e per paura traggono da loro le ingiuste grazie, e tengono le questioni sospese anni tre o quattro, e sentenzia di niuno piato si dà: e chi vuole perdere il piato di sua volontà, non può; tanto impigliano le ragioni e ’l pagamento, sanza ordine". Giano, giustamente crucciandosi sopra loro, dicea: "Faccinsi leggi, che siano freno a tanta malizia". E quando l’ebbono così acceso alla giustizia, segretamente mandavano a’ giudici e a’ beccai e agli altri artefici, dicendo che Giano li vituperava, e che facea leggi contro a loro.