Cap. V

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IV VI
Dello mostro che nacque in Roma e dello legato dello papa lo quale fu cacciato de Bologna.

...una citate, da priesso a Bologna vinti miglia: Ferrara hao nome. De questa Ferrara so’ cacciati alquanti citadini nuobili, li quali se chiamano quelli da Fontana. E questo avenne perché venniero Ferrara a Veneziani. Ora ne soco signori in luoco loro li marchesi da Este. Questi de Fontana pregaro lo legato che li tornassi in loro casa per anni tre. Li marchesi de Ferrara respusero allo legato fiorini quattordici milia per anno, acciò che non tornassino quelli li quali vennuta avevano la loro patria a Veneziani. Po’ li quattro anni dello tributo, lo anno settimo dello sio dominio, lo legato non li pareva essere signore se non aveva la signoria libera. Fece una oste generale e sì·lla mannao sopra Ferrara. Ferrara ène una longa terra, miglio uno, e iace sopra la ripa de uno nobile e granne fiume lo quale hao nome Po. Da l’aitro lato li stao un aitro vraccio de Po. Questa citate, como ditto ène, è signoriata dalli marchesi da Este, li quali so’ nuobili uomini, moito amati dalli tiranni de Lommardia. L’oste dello legato fu potentissima. De colpo abbe tutto lo contado de Ferrara. Puoi passao lo Po e fece uno ponte de lename a soa posta. Puoi toize lo borgo de Ferrara, lo quale vao invierzo Venezia. Poca cosa era da fare. La terra era perduta. Per acqua e per terra staieva assediata. Erance da fare uno bottone. Lo capitanio dell’oste era lo conte de Armeniac, lo quale sparlava contra li baroni de Romagna e dicevali traditori, lo quale per grannezza soa non curava de fare quella guardia la quale aveva de bisuogno. Anco ce fu lo puopolo de Bologna, lo quale non stava volentieri fore de casa. Anco ce fu la moita sollaria, li quali non erano pacati, ca·lle pache che se·lli mannavano non se·lli daievano. Anco ce fu li signori de Romagna. Lo legato li teneva moito poveri. Nulla provisione li daieva. Quanno ademannavano alcuna grazia, responneva: «Bene. Faciemus». Vedi que doveano penzare quelli che suoglio essere signori e non haco cobelle! Drento in questa Ferrara ionzero da doi milia varvute. Lo marchese Rainaldo non demorao. Su nell’ora della terza essìo de Ferrara e deose sopra l’oste. L’oste pranzava. Ora vedese occidere de iente, vedese fuire, vedese strilla e pianto. Lo conte Armeniac fu presone e revennuto LXXX milia fiorini. Li signori de Romagna se lassaro prennere de loro spontanea voluntate. La moita iente fu morta e presa. Moita robba fu guadagnata. Senza defesa fu guadagnato uno esmesurato trabocco lo quale aveva nome asino. Lo puopolo de Bologna se recuverao in su lo ponte. Lo ponte era legato de stroppe. Cadde in fiume. Quanta iente morìo bene puoi sapere. Alcune perzone fuoro che se appennicaro alle funi delle mole e per l’acqua campavano. Venne uno con una accetta e tagliao quella fune. Tutta quella iente, la quale campava, annegao in Po. Vedi se figlio fu de demonio quello omo! Vinti milia perzone pericolaro nella rotta. Lo carroccio tame a Bologna tornao. Quanno la novella fu ionta a Bologna, lo pianto fu grannissimo e·lla tristezze granne. Lo legato non se dubitao niente. In prima scrisse lettere a missore Malatesta, lo quale colli aitri tiranni era lassato. La sentenzia della lettera era: perché se era rebellato alla Chiesia romana? Missore Malatesta rescrisse una lettera. Aitro non conteneva se non questo: «Bene. Faciemus». Po’ questo lo legato se apparecchiava de fare un’aitra oste moito più pericolosa. Fece venire da sio paiese cinqueciento iannetti vestuti de giallo con longhe gamme, con garavellotti in mano. Puoi mise coite grannissime per cogliere moneta, per l’oste fare. Quanno lo puopolo de Bologna se sentìo agravato sì per le coite sì per la iente morta, forte ne mormorava. Uno dottore de leie — missore Brandelisio delli Gozadini abbe nome — su nella piazza dello Communo se mosse con una spada in mano. Leva puopolo e caccia dello palazzo della Biada lo menescalco dello legato e occise alquanti e derobao. Ora fu puosto lo assedio allo bello e nobile castiello dello legato, dello quale de sopra ditto ène. Lo assedio stette dìe quinnici. L’acqua li fu toita, perché lo curzo li fu rotto. Dentro era fodero de pane, vino, carne inzalata e moite cose. Li Bolognesi traboccavano lo sterco dentro dello castiello e valestravano. Vedenno lo legato che tutto lo munno se·lli era rebellato, fu sollicito de campare soa perzona. Là trasse lo vescovo de Fiorenza. Lo legato se mise in mano de Fiorentini. Li Fiorentini lo trassero fòra allo castiello. Canto le mura ne iva la strada la quale vao alla porta de Fiorenza. Tutto lo puopolo de Bologna li gridava e facevanolli le ficora e dicevanolli villania. Le peccatrice li facevano le ficora e sì·lli gridavano dicennoli moita iniuria. Bene se aizavano li panni dereto e mostravanolli lo primo delli Decretali e lo sesto delle Clementine. Moita onta li fecero. Ben lo àbberano manicato a dienti se non fussi stato in balìa de Fiorentini. Lo legato fece la via delle Alpe con povera compagnia e con poche some. Ionze a Pisa, da Pisa in Avignone. Bolognesi derobaro tutta iente de Lengua de oca. Moiti ne occisero. Puoi deruparo a terra quello nobile castiello de che ditto ène. Aitro non lassaro se non la chiesia. Fi’ dalli fonnamenti trassero le mura. Quanno questo fu, currevano anni Domini MCCCXXXIV, de mese La campana dello legato àbbero li Eremitani; la nobilissima cona dello aitare li frati predicatori de santo Domenico, la quale ène de alabastro, opera pisana, valore de X milia fiorini. La lampana cerchiata d’aoro, la quale ardeva nello coro dello legato, àbbero li frati menori. Anco àbbero tutta la carne secca, tanto potessino deluviare. In questo tiempo era in Bologna missore Ianni de Antrea, dottore de Decretali, omo de tanta escellenzia de senno, de scienzia e cortesia, che passava. Questo fu quello lo quale fece lo livro lo quale se dice la Novella.