Capitolo XVII

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Platone - Critone (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (1925)
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[p. 71 modifica]Queste cose, mio caro amico, sappi bene ch’egli pare così a me di sentirle, come pare ai Coribanti di sentire i flauti; e dentro me ancora il suono di queste parole rimbomba sì, che mi fa a tutt’altro esser sordo1. Dunque, Critone, tu sai ora come penso; se mi vuoi contraddire, è fatica gittata la tua; ma, se credi di potere altro, di’.

Critone. Socrate, non ho che dire.

Socrate. Dunque, Critone, lascia stare: andiamo pure per questa via, che è quella per la quale ci mena Iddio2.

Note

  1. Socrate accentua il carattere d’ispirazione che ha anche la sua decisione ultima, di non fuggire. Come ai sacerdoti di Cibele, i Coribanti, dopo le danze orgiastiche a suono di cimbali e flauti, pareva ancora di sentire il suono di questi istrumenti, così a Socrate, dopo le parole delle Leggi, par sempre di sentire quei rimproveri e quei moniti. Tutta la sua vita è stata costantemente guidata da queste voci divine: la sua stessa saggezza e scienza gli è stata regolata da questa ispirazione, che non l’ha mai abbandonato.
  2. Morrà, com’è vissuto, in obbedienza a Dio. Si è sempre sentito «cosa degli Dei»: si abbandonerà al loro volere anche ora, e morrà serenamente.