Cristoforo Colombo (de Lorgues)/Libro III/Capitolo III
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Traduzione di Tullio Dandolo (1857)
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CAPITOLO TERZO.
§ I.
Perchè il lettore sappia in quali circostanze l’Ammiraglio ripigliava le redini del governo, consideriamo di volo i fatti accaduti alla Spagnuola durante la sua assenza, dal 10 marzo 1496 al 30 agosto 1498.
Nell’abbandonar l’isola l’Ammiraglio aveva promesso ai coloni che avrebbe loro mandato pronti soccorsi. Le tre caravelle condotte da Pier Alonzo Niño erano, per verità, cariche di viveri; ma così a motivo delle connivenze della marina per la loro fornitura, come per la poca cura posta a conservarli durante il viaggio, la maggior parte delle provvigioni andò perduta; sicchè questo primo soccorso era quasi illusorio. Da quel tempo fino al giorno in cui l’Ammiraglio, troppo inquieto sulla sorte di Hispaniola per aspettar l’intero armamento delle sei caravelle destinate alla sua terza spedizione, aveva fatto partire, sotto gli ordini di Pedro Coronel, le due prime che furono pronte, erano passati quattordici mesi1 senza che gl’infelici abitanti della colonia avessero ricevuto alcuna notizia dalla metropoli: si credevano dimenticati, e accagionavano l’Ammiraglio del loro abbandono: le loro vesti, i loro utensili erano logori; e avendo solo un picciol numero di muratori e falegnami, non potevano fabbricare oggetti di prima necessità. L’umiliazione si aggiungeva alle privazioni ed alla noia. Gl’idalghi vanitosi e ciurmadori, e i cadetti venuti per raccoglier oro, indispettivano vedendosi acconciati come lazzeri, mal coperti di cenci d’ogni colore, e ridotti finalmente a vestire tessuti di scorza d’albero e di cotone fabbricati dagl’isolani. La loro irritazione si era convertita in odio. Di tutti i loro disinganni accagionavano l’Ammiraglio, quel cianciatore genovese e bigotto, che punto non si curava de’ nobili figli della Castiglia, e maledicevano i Re, perchè gli avevano posti sotto il governo di questo straniero. Attirati alla Spagnuola dall’attrattiva dell’oro, la loro speranza era svanita, non ostante la scoperta delle ricche miniere d’Hayna, perché l’Adelantado non permetteva loro di lavorarvi.
Questo divieto di lavorar nelle miniere, mentre l’Ammiraglio metteva sì grande ardore a scoprirne, merita di essere spiegato.
Vedendo Cristoforo Colombo che gl’ingordi oziosi e infingardi, da cui fu seguito nel suo secondo viaggio, erano corsi tutti alla Spagnuola come sopra una preda, che vi tiranneggiavano gl’Indiani, rubando loro il poco oro che avevano, e violando tutte le leggi del Cristianesimo e dell’umanità, ripugnò di averli cooperatori, e che mani impure fossero per contaminare quell’oro che voleva offrire a Gesù Cristo, e con cui sperava un giorno di riscattare il suo sepolcro. Egli desiderava che braccia innocenti cavassero dalle viscere della terra quel puro omaggio della fede. Come nell’antica legge, per la costruzione del Tabernacolo e degli ornamenti del gran sacerdote, dovevano essere scelti operai animati dallo spirito della sapienza2, così il rivelatore del globo voleva che solamente veri cristiani conseguissero l’onore di cooperare a quell’atto di pietà cattolica.
Anche prima dell’arrivo degli Europei, gl’indigeni attribuivano all’oro un certo valore; viaggiavano per procurarsene; lo compravano col mezzo di scambi, e adempievano certe cerimonie superstizioso per iscoprire i luoghi ove si trovava in maggior copia: ne’ venti giorni che precedevano que’ loro lavori, si separavano dalle mogli3, vivevano casti e s’imponevano digiuni4. Quest’uso fu messo a profitto dell’Ammiraglio: dichiarò agl’infingardi affamati d’oro, venuti ad Ispaniola per isbramarsi, che sarebbe vergogna a’ cristiani di far meno degl’indigeni pagani, tralasciando di porre la loro ricerca sotto la protezione di Dio. Soggiunse che, affine di rendere doppiamente utili le loro fatiche, essi dovevano, prima di porre mano alle miniere, cessare dalle loro violenze, dismettere la loro vita dissoluta, confessare le loro colpe, porsi in istato di grazia, vivere nella continenza, e far penitenza; che, così riconciliati con Dio, le loro fatiche sarebbero benedette, ed otterrebbero più abbondantemente anche i beni temporali5. Cristoforo Colombo non concedette licenza di lavorar nelle miniere altro che a quelli la cui regolarità di costumi era attestata dai sacerdoti della colonia.
Questo comando irritò nel più profondo del cuore gli alteri e stizzosi idalghi, che non avevano potuto imbarcarsi col commissario reale Aguado: avevano sperato, che, partito l’Ammiraglio, suo fratello l‘Adelantado, meno scrupoloso, fosse per concedere loro la facoltà di andare alle miniere; ma don Bartolomeo teneva mano ferma all’esecuzione degli ordini del vice-re.
La miseria faceva più amaro l’inganno; e il malcontento cresceva ogni giorno più. La negligenza calcolata degli ufficiali della marina otteneva così il suo scopo. Impedire che fosse vettovagliata la Spagnuola, era suscitare la ribellione, aggiungendo la forza del numero al suscitamento della miseria e della disperazione. Coll’inasprire gli spiriti, e coll’esasperare l’orgoglio castigliano, speravano di rendere impossibile il governo dell’Adelantado. Ma don Bartolomeo Colombo valeva poco meno di suo fratello: quanto più crescevano le noie e i pericoli, e tanto più mettea fuori energia ed operosità: ovunque si presentava, era certo di essere obbedito. Così, non ostante la penuria e il mal volere generale, era stata costrutta una fortezza vicino alle miniere d’Ilayna, chiamata San Cristoforo. Altra fortezza più vasta sorse sulla riva destra dell’Ozama, detta San Domingo: case in linee regolari furono costrutte sotto la protezione delle sue mura, e formarono una città diventata la sede del governo. Tuttociò era stato eseguito giusta le istruzioni dell’Ammiraglio portate da Cadice dal piloto Pier Alonzo Niño, che al suo ritorno aveva condotto in Castiglia i trecento prigionieri di guerra indiani, da lui bonariamente qualificati carico d’oro, pensando al prodotto della loro vendita.
Tutta la parte dell’isola visitata dagli Spagnuoli poteva essere considerata come sottomessa: ma la parte più occidentale, equidistante dall’Isabella e da San Domingo, per una estensione di foreste e di montagne di oltre sessanta leghe, conservava la sua indipendenza. Questo regno, su cui regnava il gran cacico Behechio, non attaccava, e nemmeno riconosceva l’autorità castigliana. Dopo il ratto del «Signore della casa d’oro,» la moglie di lui, la celebre Anacoana6 si era ritratta in casa di suo fratello Behechio, sul quale la sua buona grazia e la sua grande superiorità di spirito le davano un grande ascendente. L’immobilità del cacico veniva attribuita alla regina Anacoana, cui elevate inclinazioni disponevano favorevolmente a pro degli Spagnuoli. Nondimeno, don Bartolomeo non credette di dover difierire più oltre ad assoggettare questo regno, il solo che non avesse peranco riconosciuta la sovranità della Castiglia. Al vantaggio di non lasciare un tale esempio d’indipendenza dinanzi ai cacichi sottomessi, si univa l’occasione di occupare utilmente e di mantenere nella disciplina uomini che l’ozio corrompeva, e avversione alle fatiche manuali inaspriva. L’Adelantado mosse verso Xaragua pronto alla guerra, senza desiderarla, e sotto apparenze di una escursione topogralica. Behechio, sommamente suscettivo nel suo orgoglio, al primo sentore di quella visita raccolse in armi circa quarantamila uomini, che divisi in coorti, e protetti dallo spessore degli alberi, seguivano senza essere visti la marcia degli Spagnuoli. Ma in breve, pe’ consigli di sua sorella Anacoana, richiamo le sue genti.
§ II.
Anacoana non era solamente la prima poetessa dell’isola; ne formava altresì la poesia più soave: la sua persona, la sua vita, i suoi concetti avevano dell’incantevole: ell’era ispiratrice prima di essere ispirata, autrice di ballate, di poesie parlate e cantate con accompagnamento di danze e pantomime: il credito letterario di Anacoana rendeva nazionali i balli di sua invenzione; e tutti i sovrani dell’isola si trovavano tributari della sua coreografia: regina della lingua, del cerimoniale, de’ giuochi e de’ piaceri, ell’aveva messi alla moda i suoi acconciamenti, i suoi mobili e i fiori che preferiva: il suo palazzo era pieno di utensili eleganti, di frivolezze graziose, di strumenti fragili, piccoli capolavori dell’arte indigena; erano panieri di tessitura trasparente, stoviglie, per bere, cesellate o dipinte, stofie tinte di vivi colori, seggiole pieghevoli e leggere, letti aerei,ventagli non più visti, maschere ornate d’oro, e monili di conchiglie. Nè meno dell’eleganze Anacoana studiava le dolcezze della vita: aveva per la mensa tovaglie fine di cotone smaltate di fiori, e una certa qualità di tovaglioli di foglie odorose7.
Tempio del gusto sempre aperto all’invenzione, il palazzo di Anacoana imbalsamato di odori, popolato di uccelli domestici e di leggiadre fanciulle, risuonava spesso di suoni armoniosi. L’influenza di Anacoana sui principi dell’isola8, e la preponderanza delle sue idee, provano del resto che in mezzo agli sbozzi letterari ed alle ingegnose bagatelle che il suo gusto inventivo proteggeva, erano in lei sode ed alte doti. Presso popoli in cui il rispetto della consuetudine diventa una religione, il suo desiderio di cose nuove, e il riuscire che faceva in patrocinarle, indicava una perspicacia ed un’attidudine a dominare gli animi, che faceva prova di una irrecusabile superiorità: ell’era naturalmente attirata sulle vie dell’incivilimento: la sua fecondità di concetti sembrerà singolarmente ardita ove si pensi all’isolamento della sua intelligenza.
Noi non possiamo parlare di questa donna, che accoglieva in sè la individualità più notevole d’Haiti, senza rendere giustizia ai suoi talenti, alla sua grandezza relativa, alle simpatie che l’attiravano verso stranieri, già diventati argomento di inquietudine e di spavento pel rimanente de’ principi dell’isola: perfino il crudele calunniatore di Anacoana, Oviedo, è costretto di far la seguente confessione: «del resto, ell’era assai spiritosa, e sapeva mantenersi servita, riverita e temuta dalle sue genti 9: dopo la morte del fratello e del marito, rimase obbedita e venerata quanto o più di essi medesimi.» Un gesuita, scrivendo dietro note raccolte a San Domingo, si esprime così: «Essa era donna di un genio molto superiore al suo sesso ed alla sua nazione; lungi dall’avere i sentimenti di suo marito contro gli Spagnuoli, faceva bella stima di loro, e bramava averli vicini10.» ll protonotaro apostolico, Pietro Martire d’Anghiera, gli storiografi regi di Spagna, Herrera e Muñoz, fanno testimonianza del genio e dell’eminente superiorità di Anacoana11. Tutti gli scrittori, accordandosi sull’altezza ch’era in lei di pensare, riconoscono col dotto segretario del Senato di Venezia, Giambattista Ramusio, che accoppiava alla grazia, il genio, l’attrattiva, l’autorità12.
Quando don Bartolomeo fu giunto nella parte del regno di Xaragua, ove l’aspettava Behechio alla testa di ragguardevole schiera, il cacico gli dimandò a quale scopo entrava sul suo territorio. Avendolo l’Adelantado assicurato delle sue pacifiche intenzioni, il cacico spedì corrieri a sua sorella, per annunziarle la visita dell’Adelantado, e per darle in pari tempo agio di fare i suoi apparecchi di ricevimento. Quanto più si accostava l’Adelantado alla residenza reale, tanto più si facevano sentire gl’influssi della misteriosa regina. I cacichi degli stati per cui egli passava, spedivano viveri in copia, e venivano poscia essi medesimi a presentare i loro omaggi all’ospite del loro sovrano. Finalmente quando gli Spagnuoli furono vicini all’agreste capitale di Xaragua, una calca timida e curiosa venne ad incontrarli. Gl’impiegati e gli ufficiali della corte, nelle semplici assise delle loro dignità, precedevano leggiadre schiere di giovani donzelle, le quali si avanzavano in bell’ordine, ornate di fiori, cinta la fronte di fasce, e le mani armate di palme ondeggianti, cui intrecciavano in cadenza, formandone ad ora ad ora arcate, mazzi, fasci, e componendo danze al suono delle lor voci. ll delizioso rezzo di que’ profumati boschetti presso al lago di Xaragua, l’amenità di quella natura, e la singolarità di tal poetica accoglienza parevano avverare pegli Spagnuoli i sogni mitologici del secolo d’oro; solo che le muse erano più che nove, e le grazie più che tre. In presentarsi all’Adelantado, ciascuna di quelle ninfe, piegando alla sua volta il ginocchio, deponevagli appiedi un ramoscello, a segno di omaggio13.
Dopo questi seduceuti gruppi, e in mezzo ad un coro di canefore appariva, come in mezzo ad un nugolo di fiori, l’illustre Anacoana, attorniata dalla sua corte, e portata a spalle in un palanchino aperto. In lei si personificava la molle poesia e il vivo splendore delle Antille. Sicura della sua potenza, e trasandando gli attributi esteriori della dominazione, Anacoana cingeva, invece del diadema reale, una corona di fiori; a monile, a braccialetti, a calzari, a cintura, non aveva che fiori14. La fascia d’un tessuto brillante che le avvolgeva le reni s’intrecciava pur essa di fiori. Sarebbesi detto, che, conformemente al suo nome fior d’oro, Anacoana era la Flora di quell’Eden. Appariva anco più bella che graziosa; perocchè, eccettuata sua cognata, Guanahattabenechena, senza pari nell’ammirazione e nei ricordi di quegl’isolani15, così prima come dopo quel tempo nessuna donna delle Antille, unqua pote sostenere il paragone colla regina Anacoana. La sua vista rapiva gli Spagnuoli. La regina discesa dalla lettiga, fece all’Adelantado la più graziosa riverenza, e lo condusse alle stanze che gli aveva fatto apprestare.
Don Bartolomeo passò due giorni da Behechio, ricolmo di cortesie e di onori; perocchè ebbe splendidi banchetti, lo spettacolo de’ più drammatici ludi ginnastici, ed anche una piccola guerra all’indiana: in mezzo alle quali distrazioni, in un’amichevole conferenza, recò molto astutamente il cacico a pagare un tributo ai Re Cattolici, in contraccambio della loro protezione. Siccome non si conoscevano miniere d’oro nello stato di Behechio, don Bartolomeo levò ogni difficoltà, accettando un tributo di viveri, cosa che non era punto grave al paese. L’Adelantado partì maravigliato di Anacoana, lasciandone la Corte favorevolmente impressionata e disposta verso de’ Castigliani.
§ III.
Continuando il suo viaggio, don Bartolomeo visitò le miniere di Cibao, passò in ispezione la Vega e l’Isabella; e riconobbe che la scarsità degli oggetti necessari, sopratutto l’insufficienza degli alimenti, erano state le cagioni delle malattie che decimavano i Castigliani. Per procacciare loro vettovaglie in copia senza gravar troppo gl’indigeni, accantonò le sue genti in piccoli drappelli nelle borgate meglio provvedute. Ma invece di alleviare agli Indiani questa forzata ospitalità, affezionarseli con buoni diportamenti e attirarli alla fede cristiana, i Castigliani giunsero a far loro abborrire il nome di cristiani.
Tutti gli sforzi del francescano Giovanni Borgognon, e del frate Romano Pane non erano riusciti che alla conversione di una sola famiglia, composta di sedici persone, il cui capo, chiamato Guaycavanù16, fu battezzato sotto nome di Giovanni Matteo. Il gran cacico Guarionex riceveva ospitalmente i Missionari, gli ascoltava con piacere; aveva anche imparato i nostri principali dommi, sapeva il Pater, e faceva recitare alle genti della sua casa il Credo; quando una specie di facchino, chiamato Barahona, cui aveva ospitato, credendolo un vero gentiluomo, sedusse e rapì una moglie di lui, la più amata tra tutte. Abborrendo il Cristianesimo a motivo di quel tristo cristiano, Guarionex non volle più udir parlare di una religione che non sapeva impedire la violazione delle più sante leggi.
Epperò scaduti da ogni speranza i Missionari si allontanarono dalla sua residenza.
L’ingiuria fatta al più gran cacico dell’isola fu vivamente sentita dai cacichi subalterni. I suoi vicini, i cui sudditi erano indegnamente malmenati, si rivolsero a Guarionex, che si trovava per nascita il più nobile, e il primo de’ sovrani d’Hispanìola, e lo strinsero a liberare il paese da que’ tiranni stranieri, allor appunto ch’erano dispersi, e di cagionevole salute. Guarionex, poco battagliero, e sopratutto poco sicuro sull’esito di una lotta contro gli Spagnuoli, che, oltre alle loro taglienti spade, portavano con sè la folgore, ed avevano per alleati cavalli indomiti e cani sanguinari, non approvava la guerra, e proponeva dilazioni. Ma i suoi cacichi inferiori, e i suoi ufficiali si erano infiammati di un sì patriotico ardore, che gli lasciarono la scelta di pigliar subito le armi o di venire considerato qual traditore al suo paese, indegno del suo popolo e spogliato della corona. Dovette cedere. Alla testa di quindicimila guerrieri, Guarionex moveva a raggiungere segretamente altre schiere ne’ boschi circondanti la Vega, allorchè l’Adelantado informato del complotto, riunì in fretta ai soldati validi i convalescenti, e con una marcia notturna andò a sorprendere il campo di Guarionex. La sua prontezza e la sua vigoria, del paro che l’abilità della sua tattica, ebbero in breve messo in rotta quell’esercito, comechè grosso. Don Bartolomeo riuscì ad impadronirsi de’ principali cacichi autori del complotto, e fra gli altri dello sciagurato Guarionex, che prima n’era stato disapprovatore, indi vittima.
Confidenti nella generosità del fratello dell’Ammiraglio, i sudditi di Guarionex, che certamente rimproveravano allora a sè medesimi la sua sorte, vennero a supplicare l’Adelantado di render ad essi il loro re. Questa dimanda non poteva essere accolta. Allora si raccolsero in numero di circa cinquemila, e si fecero presso alla dimora ov’era imprigionato il loro principe: non avevano ad armi che i loro gemiti, e passavano le notti e i giorni ad urlar di dolore coricati per terra: non potendo liberarlo, gli provavano almeno il loro attaccamento con quelle testimonianze di desolazione. Tocco delle loro lagrime, e forse importunato dai loro urli, non potendo risolversi ad incrudelire contra un’afflizione sì naturale, e punir di morte un succumbente così fatalmente sospinto a rovina, l’Adelantado per mutare improvvisamente in gioia la desolazione di quel popolo, rendettegli il suo monarca; accoppiando però la giustizia alla clemenza, condannò a morte i due cacichi ch’erano stati i primi promotori della ribellione, pose in libertà Guarionex, e cacciò prigione quel Barahona che lo aveva oltraggiato. La punizione inflitta al libertino spagnuolo, esempio inquietante per gli altri scioperati tiranni degli Indiani, pose in fermento la feccia dei coloni, e gli animò d’Odio violento contro ’ del punitore.
Poco dopo, messi di Behechio vennero a partecipare all’Adelantado che i tributi imposti erano pronti. Siccome il trasporto per la via di terra sarebbe riuscito una gravezza cento volte più dura del medesimo tributo, l’Adelantado mandò a prendere quelle provvigioni da una caravella, sulla quale s’imbarcò egli stesso, divisando stringere viemmeglio le buone relazioni già iniziate col re a Xaragua.
Don Bartolomeo fu accolto col cerimoniale della prima visita. Behechio e Anacoana mostrarono sincera soddisfazione in rivederlo. Egli fu ricolmo di cortesie, carezze, doni e feste. Anacoana, vaga di conoscere le maraviglie straniere, espresse il desiderio di salire la caravella, perocchè non aveva per anno veduta nave europea. Behechio fece incontanente armare due gran canotti scolpiti e colorati, uno per sua sorella e per le sue mogli, l’altro per se ed i suoi ufficiali. Ma don Bartolomeo avendo messo la scialuppa agli ordini della Regina, ella preferì d’imbarcarsivi coll’Adelantado.
ln quella che la scialuppa si avvicinò alla caravella, l’artiglieria fece i saluti usati pei sovrani. Al fragore delle ’artiglierie le indiane caddero come morte lungo le tavole. Anacoana si era istintivamente gettata contro il petto dell’Adelantado, il quale ve la strinse con un sentimento di affettuosa protezione. Assicurata da quell’atto, Anacoana si riebbe incontanente, e rise del proprio spavento: monto sulla caravella accompagnata dal fratello; e ne visitò tutte le parti con indicibile stupore. L’Adelantado fece a ciascuno doni preparati a lor intenzione, comandò alcune manovre, si allontanò dalla terra, indi tornò ove ancorava, e ricondusse la Regina sulla spiaggia nella sua scialuppa, al fragore delle salve di artiglieria, che allora, anzi che spaventarla, facevano pago il suo orgoglio.
Quando l’Adelantado salutò il cacico, Anacoana mostrò vivo dispiacere della sua partenza, si sforzò di rattenerlo, e non lo lasciò partire se prima non ebbe la sua promessa di far ritorno a Xaragua. Alcuni scrittori spagnuoli, che avevano interesse a calunniare questa nobil donna, piacquersi colorare maliziosamente le sue simpatie per l’Adelantado. Certamente, la bellezza, la nobiltà infusa di Anacoana, e l’attrattiva agreste della sua dimora, ove i suoi componimenti poetici e la sua coreografia infantilmente elegante presentavano graziose singolarità, avranno suscitato in don Bartolomeo un vivo interesse: Anacoana era la sola donna delle Antille che meritasse cattivarsi la sua attenzione: nondimeno egli non le si mostrò cortese che come si addice a gentiluomo. Quantunque fosse meno pio dell’Ammiraglio, don Bartolomeo aveva pari la fermezza dei principii, la regolarità de’ costumi, e accompagnava sempre col suo esempio l’autorità de’ suoi comandi.
§ IV.
Mentre l’Adelantado recava sulla sua caravella tali provvigioni che dovevano alleviare la miseria della disseminata colonia, e permettere di riunirne nuovamente i membri, alcuni malcontenti si erano giovati della sua lontananza per tentare di distruggere la sua autorità, e impadronirsi dell’isola. Chi si fece lor capo era un antico servo dell’Ammiraglio, innalzato dal Vice-re alla dignità di gran-giudice della colonia, Francesco Roldano.
Dopo la partenza del commissario Giovanni Aguado, col quale aveva avuto segrete relazioni, Roldano mirava in in segreto a impadronirsi del governo. Aguado avendo in lui riconosciuta l’indole di un traditore, gli aveva palesati in confidenza i disegni degli uffici di marina, e sopratutto l’odio portato all’Ammiraglio da don Giovanni Fonseca, favorito del re Ferdinando. Egli sapeva che Pedro Margarit e i disertori collegati contro Colombo non avevano al loro ritorno in Ispagna ricevuto alcun castigo. Sicurato di protezione nel caso che gli riuscisse felicemente un qualche tentativo contro l’Ammiraglio suo benefattore, costui aveva, da quel momento, cominciato a procurarsi cavalli, armi, ed a formarsi un partito. Roldano pretendeva di essere la sola autorità dell’isola; non riconosceva quella dell’Adelantado, dicendo che per la Sua carica avanzava in potestà l’Ammiraglio, e che i Re non avevano ratificata la elezione che questi avea fatto del proprio luogotenente. Egli aveva saputo che Ferdinando, ad istigazione di Fonseca, si era adontato di quel titolo di adelantado dato dall’Ammiraglio a suo fratello don Bartolomeo. Per interessare alla sua causa gl’indigeni e far che abbracciassero le sue accuse contra l’Adelantado, si mostrò sopratutto indegnato che don Bartolomeo facesse trasportare in Castiglia Indiani del territorio della Concezione, presi coll’armi alla mano quando si sollevò il Guarionex: portossi quale lor difensore, dichiarando che nella sua qualità di grangiudice non poteva consentire a quel trasporto troppo contrario alle note intenzioni della Regina: in nome, pertanto, dell’umanità e del rispetto dovuto alle leggi, Roldano si sollevava contro un’autorità usurpata, ed una violazione del diritto naturale. Uomo non meno astuto che audace, prese qual pretesto della sollevazione la circostanza che don Diego Colombo aveva fatto entrare la caravella nel picciolo porto, invece di lasciarla, come dianzi, nella rada; lo che provava che non voleva che si potesse tornare in Ispagna: così il pretesto di tal ribellione non aveva nulla di nuovo; era, come quello di Bernal di Pisa, come quello di Pedro Margarit e de’ suoi aderenti, il desiderio di ripatriare.
Diffatti, reso consapevole della trama, don Diego Colombo aveva fatto entrare nel porto la caravella, per meglio assicurarne la guardia durante la notte. Affine di offrire un alimento alla vanità del giudice cospiratore, don Diego lo incaricò di condurre quaranta soldati nel distretto della Concezione, per mantenervi l’ordine: ma appena si sentì sostenuto da quegli armati; l’audacia pareggiò nel ribaldo l’ingratitudine, levò la maschera, assalì l’arsenale, lo pose a sacco, del paro che i magazzini regi, al grido di vivano i Re, e non uscì della città che per andare ad ingrossar la sua schiera nella campagna.
ll comandante del forte la Maddalena, che si trovava personalmente obbligato all’Ammiraglio, Diego di Escobar, si unì con Roldano, tentò di trascinare nella sua ribellione trenta uomini comandati dal capitano Garcia di Berrantes. Questo bravo ufficiale, indovinando la prossima sollevazione della sua compagnia, tentata dagli emissari di Roldano, la fece stare chiusa ne’ quartieri per preservarla da pericolosi contatti. Roldano andò risoluto al forte della Concezione, nella speranza di tirarne a sè la piccola guarnigione: ma il comandante Michele Balester, antico ufficiale fedele al dovere, gli vietò l’entrata, fece avvertito della ribellione l’Adelantado, e lo indusse a ritirarsi presso di lui alla Concezione; ben sapendo il debole presidio dell’Isabella, e il disegno di Roldano di assassinare don Bartolomeo, unico ostacolo alla sua ambizione. Fidando i ribelli nella impunità, perchè, dicevan essi, la nomina dell’Adelantado essendo di nessun valore, la sua autorità. non era che un’usurpazione, si diedero a saccheggiare senza pietà gl’indigeni, ed a rapinar anco i greggi del governo reale: in breve portarono la desolazione in tutti i distretti. I pochi coloni del1’isola, assaliti e malmenati dai loro compatrioti, che li volevano arruolare per violenza sotto la propria bandiera, cessarono le fatiche: gl’indigeni disperati per le rapine de’ predoni, cessarono anch’essi ogni coltura, di modo che il primo frutto della ribellione fu un addoppiamento di miseria. I ribelli si gettarono, come sopra una preda, sullo Stato di Xaragua, ove l’ospitalità di Anacoana profittava cotanto ai Castigliani.
Ma, poco stante, i ribellati, abbandonati a se medesimi, si trovarono impacciati della propria indipendenza, e si ruppero in quattro principali fazioni, guidate da Diego di Escobar, Pedro Riquelme, Adriano di Mogica e Pedro Gamez: i più agitati da vaghi timori, dopo la prima soddisfazione consentita ai malvagi istinti, prevedendo che quella violazione di tutti i doveri non potea durar sempre, avrebbero desiderato rientrare sotto la legge dell’ubbidienza, senza però soggiacere alla punizione dei loro misfatti.
Mentre passeggiavano le coste di Xaragua insiem coi loro vizi e le noie della sazietà, videro con timore spuntare tre vele all’orizzonte; erano le tre navi che l’Ammiraglio aveva distaccato dalla sua squadra alle Canarie, e mandate affrettatamente alla colonia, sotto gli ordini di Pedro di Arana, di Giovanni Antonio Colombo, e di Alonzo Sanchez di Carvaial.
Avendo le caravelle gettate le ancore, i ribelli si tennero perduti, credendo che una forza imponente venisse a punirli. Ma Roldano comprese addirittura che i sovraggiunti, da lungo tempo in mare, avevano senza dubbio sbagliata la strada, ed ignoravano i recenti misfatti: ardì condursi a loro quale incaricato dell’Adelantado di vigilare al paese, e asserendo la penuria di cui pativano i coloni, a chiedere armi e viveri per la sua gente: i tre capitani glieli concedettero di buon grado: così Roldano mise i suoi uomini in rapporto cogli equipaggi. I ribelli vantavano ai marinai la vita agiata e sensuale che menavano a Xaragua, e suggerivano loro la diserzione. Venuta, ma tardi, in luce la trama, fu vietato agli equipaggi di comunicare coi ribelli, e scendere a terra. Alonzo Sanchez di Carvaial, nella speranza di ricondurre al dovere il traditore Roldano, andò a conferire con lui: Roldano protestò de’ suoi buoni sentimenti per l’Ammiraglio, rispose che si era sollevato solamente contro l’Adelantado, e che aveva preparata una lettera pel suo antico signore, di cui aspettava con impazienza l’arrivo.
Riconoscendo i tre capitani riuniti in consiglio che i venti e le correnti potevano ritardare ancor lungamente l’arrivo delle tre caravelle a San Domingo, convennero di sbarcare, sotto gli ordini di Giovanni Antonio Colombo, i lavoratori al soldo reale, i quali se ne andrebbero per terra a San Domingo, affine di economizzare tempo e viveri. Ma, appena questi uomini, erano quaranta, perfettamente armati e muniti di provvigioni, furono scesi a terra, che si posero sotto la bandiera di Roldano, ad eccezione di sette, cui i malvagi consigli non poterono riuscire a distaccare dal loro dovere17. Nondimeno con questa piccola mano di brava gente, Giovanni Antonio Colombo, degno veramente del suo illustre parentado, osò andar a trovare Roldano e dimostrargli l’enormità dei suoi torti verso l’Ammiraglio suo benefattore, verso i Re suoi padroni, e verso la colonia di cui era gran-giudice. Cadendo infruttuosa la sua eloquenza, il cugino di Colombo risalì la caravella accompagnato dai sette uomini fedeli, e parti per San Domingo col cognato dell’Ammiraglio , il nobile Pedro de Arana, mentre Carvaial rimaneva alcuni altri giorni all’áncora volendo tentare un ultimo sforzo sui ribelli.
Alonzo Sanchez di Carvaial nascondeva non comune finezza sotto apparenze di semplicità militare. Lasciando da parte le ragioni del cuore e della coscienza, non parlando che sotto l’aspetto degli interessi materiali, mostrò al gran-giudice il cattivo stato della sua posizione; gli fece vedere, che, avendo i Re eletto don Bartolomeo adelantado delle Indie, la sua principale accusa andava in dileguo; che, giungendo l’Ammiraglio con tre caravelle, troverebbe negli equipaggi delle sei navi, e negli uomini di Michele Ballester, riuniti con quelli di Garcia Barrantes, una forza sufficiente per farsi obbedire; e ch’era molto meglio, poichè occupava la prima carica dell’isola, e disponeva in quel momento di un certo numero di partigiani, profittare di tale circostanza per ottenere il perdono a condizioni vantaggiose, anzichè correre i rischi troppo sfavorevoli di una battaglia, le cui conseguenze riuscirebbero funeste, qualunque ne fosse l’esito. Carvaial parlò in guisa da sembrare un opportuno intermediario per la causa di Roldano: fece comprendere a Roldano che in ogni caso, era molto importante per lui avvicinarsi a San Domingo, affine di trattare più facilmente al momento opportuno.
Ed infatti i ribelli, divisi in quattro schiere, si diressero separatamente sopra Bonao, ove l’intimo amico di Roldano, Pedro Riquelme, aveva nascosto la miglior parte delle sue rapine, e possedeva vasti dominii. Avendo Alonzo Sanchez di Carvaial fatto partire la sua caravella sotto gli ordini di un luogotenente, andò per terra a San Domingo, colla scorta di un drappello di ribelli, i quali volevano proteggere contra un attacco degl’indigeni un uomo che risguardavano siccome lor affezionato; ne lo abbandonarono che quando si trovarono giunti presso alla fortezza.
- ↑ «....Que pasados mas de catorce meses de su partida no habia cumplido la palabra de mandarles socorro.» — Muñoz, Historia del Nuevo Mundo, lib. VI, § 10.
- ↑ Exodi, cap. xxxv, v. 51, 55.
- ↑ Oviedo y Valdez, la Historia natural y general de las Indias, lib. V, cap. iii.
- ↑ Gli indigeni della costa di Veragua, vicino all’istmo di Panama, dicevano altresì, che essi scoprirebbero l’oro, osservando l’astinenza, e separandosi dalla compagnia delle donne. — Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. xciv.
- ↑ Tuttavia questa santità non era a grado di tutti. Poichè, quanto alle donne, alcuni dicevano che eglino ne erano separati più degli Indiani, perchè esse erano in Ispagna; e quanto ai digiuni, molti cristiani morivano di fame, e mangiavano sole radici ed altri cibi cattivi. Dicevano poi quanto alla confessione, che la Chiesa non ve li obbligava che una volta all’anno, a Pasqua; che Dio non domandava a loro di più, e tanto doveva bastare all’Ammiraglio. — Oviedo e Valdez, Storia generale e naturale delle Indie, lib. V. cap. iii. Traduzione di Giovanni Polenrs, cameriere di Francesco I.
- ↑ Uniformandosi all’ortografia generalmente adottata abbiamo nominato Anacoana questa celebre regina, ma il suo nome dovrebbe scriversi come si pronunciava Anacaona, che significava «fiore d’oro» nell’idioma indigeno, e componevasi delle due parole Ana «fiore» Caona, «oro fino.»
- ↑ Ramusio, Delle navigazioni e viaggi, Raccolte, vol. III, fol 9.
- ↑ Emile Nau, Storia dei Cacichi d’Haïti, opera composta a San Domingo e stampata a Porto Principe nel 1855, in 4.°
- ↑ Oviedo y Valdez, Storia naturale e generale delle Indie occidentali, lib. V, cap. iii. Traduzione di Giovanni Poleur.
- ↑ Le P. Charlevoix, Storia di San Domingo, lib. II, p. 147.
- ↑ «Questi due storiografi la chiamano: la insigne Anacoana... Muger prudente y entendida.... Famosa heroïna, etc.» : — Herrera, lib. III, cap. vi. — Muñoz, tomo I, lib. VI, § 6, § 10, § 11.
- ↑ Alla bellezza s’aggiungeva l’ingegno e piacevolezza, per le quali cose era di tanta autorità che la governava, etc.» — Ramusio, Delle navigazioni, viaggi. Raccolte, vol. III, fol. 9, verso.
- ↑ «Y alfin entregan sus ramos al Adelantado, dobladas las rodillas en señal de reverencia.» — Muñoz, Hisioria del Nuevo Mundo, lib. VI, § 6.
- ↑ «In testa, al collo e braccia havenda girlande di fiori rossi e bianchi odoratissimi.» — Ramusio, Delle navigazioni e viaggi, Raccolte, vol. III, fol. 9, verso.
- ↑ «Guanahattabenechenam aiunt parem nullam in universa iusula habuissc pulchritudine.» — Petri Martyris Anglerii, Oceaneœ Decadis tertiœ, liber nonus, fol. 68.
- ↑ «Entrò el primero como mas instruido, Guaycavanù, recibiendo con el bautismo el nombre de Juan Mateo.» : — Muñoz, Historia del Nuevo Mundo, lib. VI, § 8.
- ↑ «Colombo con solos seis o siete de quarenta que eran faé á reconvenir á Roldan.» — Muñoz, Historia del Nuevo Mundo, lib. Vl, § 40.