Cosmorama Pittorico/Anno I - n. 36/Arca di S. Agostino

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Anno I - n. 36 - Bartolomeo Coleone Anno I - n. 36 - Nuova meteora
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ARCA DI S. AGOSTINO.

Nella chiesa cattedrale di Pavia sorge ora il monumento più magnifico della scoltura italiana del secolo XIV e contende coi più grandiosi delle altre età: è l’Arca di S. Agostino. Fu ordinata dai frati Agostiniani, ed elevata nel 1360 in una sagrestia della Basilica di S. Pietro in Ciel d’oro, in onore del vescovo d’Ipona, le sante ossa del quale vennero traslocate di Sardegna in quel tempio nel 722 per carità e pio zelo del Longobardo Re Luitprando: pensavano essi levarle dalla Confessione ove giacevano in un muro di mattoni, per collocarle in questo monumento, se non che quel pensiero fu impedito da alcuni frati più vecchi che si opposero, e l’arca restò soltanto siccome un Cenotafio.

Questo monumento del quale qui si offre disegnata la parte anteriore è di marmo bianco, in forma d’un quadrilungo a quattro piani, formati da cornici, statue, ornamenti diversi: è lungo metri 8,07, largo 1,68, alto 2,95.

Il primo piano posa sopra una base ornata a semplici intarsi in nero. Innanzi a ciascuno de’ quattro pilastrini che dividono i tre scompartimenti, è appostata una figura di tutto rilievo: ogni scompartimento poi è diviso in due nicchie formate da due snelle colonnette laterali a spirale, ed una in mezzo, sulle quali volge un arco: in ciascuna nicchia vi è di basso rilievo un Apostolo che reca scritto in caratteri gotici il proprio nome e un articolo del Credo. Le statue rappresentano le virtù teologali, cardinali, e la religione. Nel presente disegno si vedono le prime, cioè la Fede con un calice e una croce rovesciata, la Speranza che guarda al Cielo con una palma in mano, la Carità che ha nella destra un cuore, e colla sinistra regge due fanciulli alla poppa: l’ultima coi piedi sprofondati nello scoglio e la Religione con in mano un papiro ed una palma.

Sopra questa grandiosa base sorge la parte più ricca del monumento, destinata a feretro per la statua del santo. Quest’ordine è soffolto da otto colonne quadrate; quattro per lato, e su queste gira l’architrave diviso in tre archi per ciascun fianco, un solo largo ne’ due lati più stretti, e formano una specie di tempietto elegantissimo.

In mezzo a questo giace sur un letto coperto da un panneggiamento che ricade all’intorno, il corpo del santo Dottore tutto grande di naturale, vestito magnificamente in paramenti pontificali: sostiene colle mani un libro aperto sul petto, e rialza alquanto il capo e il fisa come chi legge. Circondano questo letto sei giovani arredati da diaconi, tre per lato; raccolti, devoti, con ambe le mani sollevano la sindone che vela il feretro. Fanno inoltre corteggio ed ossequio al padre quattro Santi. Il resto di questo tempietto è elegantissimo: ogni pilastro che è fregiato di ornati tutti variati e diversi, ha in giro ai lati quattro statue di tutto rilievo, e tutte rappresentano o frati, o Santi o allegorie: sopra i capitelli posano dodici statue sedenti in giro, e quelle che sono nel presente disegno offrono quattro martiri artisti. La volta è elegantissima, tutta a fregi ed a bassi rilievi.

Si leva sopra questo feretro il terzo ordine diviso al solito dai pilastri, innanzi a ciascuno dei quali è una statua, e ne’ campi che restano in mezzo tre bassi rilievi, ne’ due lati minori due. Le dodici statue che sono in giro rappresentano o vescovi o frati agostiniani diversamente arredati, siccome voleano i diversi ordini ai quali apparteneano. Ne’ bassi rilievi sono raffigurate alcune storie di varia composizione che si riferiscono alla vita del Patriarca Africano. Fra quelli che si vedono nella presente tavola, uno è S. Ambrogio che predica a’ credenti e a S. Agostino che l’ascolta, nel secondo il vescovo d’Ipona che conferisce con S. Sempliciano da un lato, e dall’altro ancora S. Agostino che assiso legge un libro, mentre un Angiolo gli porta dal Cielo l’opera di S. Paolo: nel terzo è il momento in cui il vescovo milanese veste al nuovo adepto affricano l’abito di Catecumeno.

Gira siccome corona del monumento l’ultimo ordine, di gusto germanico gotico moderno, e di molta eleganza. Si alternano ai due fianchi tre piramidi triangolari e quattro statue; ai lati più stretti, due piramidi con in mezzo una guglietta: ogni piramide orlata di una cresta a foglie tripartite, tiene nel vano a basso rilievo una storia spettante alla vita di sant’Agostino, ed in ispecie alle sue azioni e miracoli. In questo disegno si vedono in uno S. Agostino che libera del carcere un prigioniero che se gli inginocchia innanzi in atto di gratitudine. La carcere alta merlata è tutta traforata per entro, sicchè si vedono fino gli ingraticolati delle ferriate: seguita nel secondo il ritorno dello stesso prigioniero alla propria casa che è sur un colle; sull’indietro vedesi una chiesa. Nel terzo è la liberazione di un’indemoniata: questa sciagurata sta inginocchiata a terra innanzi al divo Presule che la benedice, e vedesi lo spirito maledetto uscirle di bocca. Ricopre finalmente il vacuo di mezzo, e forma la volta un ombracolo semplicissimo, sul quale certo doveva sorgere un ultimo finimento a cupola come ne comprovano l’esempio di tutti gli altri monumenti, e specialmente quelli della stessa scuola, come sono l’arca di S. Eustorgio e quella di Azzone Visconti a Milano, quella di Cansignorio a Verona e varie contemporanee delle altre parti d’Italia; non fu terminata.

Perchè poi riesca meglio di comprendere quanto sia la grandiosità di quest’Arca e quale la copia del lavoro, richiameremo che vi sono cinquanta bassirilievi, novantacinque statue, senza computare gli animali, ed in tutto quattrocento venti teste le quali hanno tutti gli occhi rimessi di metallo, meno quelle de’ bassi rilievi dell’ultimo piano.

Questo monumento segna un’epoca nella storia della scultura italiana, ed anzi appunto quella seconda dal principio del suo ristauramento. Infatti poichè la statuaria s’era tolta alla miseria a cui era scaduta nel medio evo, solo dopo il 1250 incominciava a creare opere le quali risentissero di quel bello che è solo e continuato retaggio della patria nostra, mercè gli studj di Nicola e Giovanni da Pisa, di Arnolfo di Lapo, del Cosmate. A questi succedettero con maggior lena Margaritone, Agostino e Agnolo Sanesi, finchè verso la metà del secolo XIV Andrea Pisano, Nino suo figlio, l’Orgagna, il Lanfrani, Pietro Paolo e Iacobello Veneziani, i Rossellini del Proconsolo, il Balduccio, Bonino da Campione ed altri migliorarono sì l’arte che la recarono ad una second’epoca di perfezionamento. Allora le statue alle quali prima non si aveva osato dare alcuna movenza, alcuna espressione ragionevole, presero migliori forme e attitudini, un andare più bello nelle pieghe dei panni, qualche buon’aria di teste; fu condotto talora il marmo con molto studio, sebbene non sempre con buon disegno. Lo stesso avvenne de’ mausolei, poichè se prima parvero ragguardevoli quelli del Cardinal Consalvo e del Savelli [p. 287 modifica]in Roma, di Cosmate, e l’arca di S. Domenico di Bologna, di Nicola da Pisa, li soverchiarono in breve per grandezza e copia di lavoro a Napoli, il Sarcofago di Roberto d’Angiò e quello di Maria Sancia d’Aragona del Massuccio, quello di Benedetto XI. in Perugia di Giovanni Pisano, quello di Guido Tarlato in Arezzo, dei fratelli Sanesi, quello del Duca di Calabria e della madre del Re Roberto, dello Stefani e di Massuccio secondo, e finalmente l’arca di S. Pietro martire del Balduccio a Milano.

L’artista del monumento pavese vide questi miglioramenti e tutti li introdusse nell’opera propria: ragionevolezza nel concetto, nel collocamento degli Apostoli, del Feretro, dei Cherubini: ricchezza di ornati e di bassi rilievi, de’ quali i primi ne ha dovizia senza che soverchino, i secondi ben disposti e molti di bella composizione. Il marmo è condotto con molta fatica; perchè specialmente nelle piante e nelle parti architettoniche, si sono fatti trafori con molto studio e diligenza. La statua giacente del Santo è di buonissimo lavoro, e per la testa che ha vera intenzione di leggere, e per gli accessorj, buone tutte le piccole statue che ornano il monumento fatte con disegno e quasi tutte belle arie di teste; alcuni bassi rilievi e specialmente que’ della volta del feretro sono assai belli. Tutto insomma dimostra nell’artista uomo di genio, perito nello studio dei contemporanei, e, desideroso di migliorare l’arte propria. Io ho dato più lunga analisi e descrizione di questo monumento in un libro pubblicato in Pavia da Fusi nel 1833, sull’Arca di Sant’Agostino.

Ma di chi è mai ques’opera? i modesti scultori del trecento non usavano scrivervi il loro nome. Alcuni quindi congetturarono fosse di Agostino ed Agnolo Sanesi, e il Cicognara opera di Pietro Paolo e Jacobello veneziani. Ma il monumento parla per sè ove mancano le memorie: le opere di belle arti hanno uno stile e questo non falla. I Sanesi nel 1360 eran già morti: dal confronto di quest’opera poi con quelle dei due Veneziani si trova uno stile affatto diverso. Non è poi della scuola pisana, non del Lanfrani, non di Nino: non dell’Orgagna: cade sempre il sospetto dal confronto delle opere come provai nel libro accennato. Quest’opera tien solo lo stesso stile dell’arca di S. Eustorgio fatta dal Balduccio nel 1339 in Milano: ma nel 1368 il Balduccio era morto; l’artista dell’Arca di S. Agostino lo vinse di merito: dunque è uno scolaro che lo superò. Confrontati i monumenti di quel tempio si trovano dello stesso stile, quello di Azzone Visconti, quello di Bernabò Visconti in Milano, tutti però di Autori sconosciuti: ma uno della stessa mano per fortuna se ne trova a Verona, è la magnifica tomba di Can Signorio: quivi il Signor della Scala che si fece fare il sepolcro ancor vivente e certo chiamò l’artista che avea lavorato il più gran monumento in Lombardia, cioè l’arca di S. Agostino, scrisse forse per orgoglio il nome dello scultore; è Bonino da Campione, nome che vediam pure ricordato fra i primi consultati pel piano della cattedrale di Milano. Lo stesso Cicognara con una lettera che pubblicò da poi e riprodotta nella seconda edizione di quella mia memoria, acconsente a queste induzioni, e si ricrede dalla sua prima opinione. Quindi nel secolo decimo quarto, era in Milano una Scuola di scultura che forse si fondò col venire del Balduccio, ma crebbe e fece insigni monumenti in Lombardia, e in altre parli d’Italia. Se ne daranno talora i disegni e le storie nel Cosmorama. Intanto giovi avere pel primo offerto il più grande.

Chiusa la basilica di S.Pietro in Ciel d’oro l’Arca fu levata e scomposta: giacque per molti anni negletta; ora venne innalzata nella cattedrale di Pavia: gratitudine a chi ebbe pensiero tanto amico delle arti, ma l’architetto dimenticando che il cenotafio in origine era in terra, lo pose quasi a tabernacolo sopra un altare: quindi non dà l’effetto per cui fu creato, quindi tutta la parte più bella del santuario ove giace la statua del Santo è fuori di veduta. Però gli errori d’un Artista non debbono togliere al merito de’ Pavesi di avere di nuovo innalzato il monumento, poichè almeno ricomposto, è restituito allo studio ed all’onore delle arti italiane.

Defendente Sacchi


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Arca di S. Agostino

ARCA DI S. AGOSTINO.