Così parlò Zarathustra/Parte prima/Dei predicatori della morte.
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Dei predicatori della morte.
«V’hanno i predicatori della morte: e la terra è piena di tali cui è necessario professar l’abbandono della vita.
Piena è la terra di uomini inutili; guasta è la vita da coloro che son di troppo. Potessero essi colla speranza della «vita eterna» essere allontanati da questa vita!
«Gialli», così son chiamati i predicatori della morte: oppure «neri». Ma io voglio mostrarveli ancora sotto altri colori.
Ci sono i terribili, che portano in sè stessi una bestia feroce e non hanno altra scelta che o il godimento o la mutilazione di sè stessi. E anche i loro godimenti null’altro sono che uno strazio di sè stessi.
Neppur in parte umani son divenuti questi esseri terribili: possano predicar l’abbandono della vita e partirsene!
E v’hanno i tisici dell’anima: appena nati, costoro incominciano a morire e sono assetati di dottrine che celebrano la lassezza e la rassegnazione.
Essi amerebbero esser morti, e noi dovremmo cercar di confortarli nel loro desiderio! Guardiamoci bene dal ridestar tali morti e dal toccare queste ombre viventi.
Si avvengono in un ammalato, in un vecchio o in un cadavere, e tosto dicono: «ecco: la vita è confutata!».
Ma i confutati son essi: essi, il cui occhio non scorge che una sola faccia dell’esistenza.
Avvolti in una grossa nube di melanconia e amanti d’ogni triste caso che rechi la morte, essi attendono coi denti stretti.
Oppure cercano i dolciumi, si dilettano della propria stoltezza; si aggrappano al fuscello di paglia della lor vita e si fan beffe di star attaccati a un fuscello.
Dice la loro sapienza: «Uno stolto è chi si conserva in vita, ma quanto noi siamo stolti! E ciò è quanto v’è di più stolto nella vita!».
«La vita non è che sofferenza» — dicono gli altri, e non mentono; ma se così è, fate in modo, dunque, che per voi cessi questa vita! Fate in modo che per voi cessi una vita che non è che una sofferenza continua!
V’insegni la vostra virtù: «Tu devi uccider te stesso! Tu devi trascinar te stesso nel nulla!».
«La voluttà è peccato — dicono taluni di quelli che predicano la morte — facciamoci in disparte e non mettiamo al mondo dei figli!».
«Il partorire è peccato — dicono gli altri — A che prò partorire? Non si partoriscono che infelici!». Ed anche essi sono predicatori della morte.
«È necessaria la compassione, — dicono altri ancora. — Prendete quello ch’io possiedo! Prendete quello ch’io sono. Mi sentirò tanto meno legato alla vita!».
Se fossero pietosi da vero, costoro cercherebbero di render aspra la vita al lor prossimo. Esser cattivi — sarebbe la loro vera bontà.
Ma essi vogliono liberarsi dalla vita: che importa loro se con le lor catene e i lor doni vincolano gli altri più strettamente alla vita?
E anche voi, cui la vita è un lavoro selvaggio e un’inquietudine eterna, non siete forse voi pure assai stanchi della vita? Non siete forse maturi pel sermone della morte?
Oh, voi tutti cui è gradito il lavoro selvaggio e tutto ciò che è fervido e nuovo e strano, voi male adoperate: la vostra assiduità non è che una fuga, una volontà di dimenticare voi stessi. Se aveste maggior fede nella vita, vi prostituireste assai meno. Ma per attendere — anche in ozio! — vi manca il punto di appoggio interno.
In ogni luogo risuona la voce di coloro che predicano la morte; la terra è ripiena di coloro cui predicar la morte è necessario.
La morte o «la vita eterna» poi che per me è tutt’una cosa. Purché se ne vadano presto!».
Così parlò Zarathustra.