Conforta i principi cristiani a muover l'armi contro i Turchi

Gabriello Chiabrera

XVII secolo Indice:Opere (Chiabrera).djvu Corone di sonetti Letteratura Conforta i principi cristiani a muover l’armi contro i Turchi Intestazione 15 maggio 2023 75% Da definire

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LI

CONFORTA I PRINCIPI CRISTIANI A MUOVER L’ARMI
CONTRO I TURCHI.

Calcasi ognor da rie vestigia immonde
     Gerusalemme, e scellerate genti
     Sïon alberga, e da Pagani armenti
     4Turbansi del Giordan le nobil’onde:
Del gran Tabor sulle sacrate sponde
     Son fatti abitator lupi e serpenti,
     E d’Ottomano agl’idolatri accenti
     8Per forza ogni antro di Giudea risponde.
Di vero Altar non è rimasa pietra;
     O di miracol rimembranza, o Croce,
     11Che senza largo prezzo ivi s’adori:
Però d’atro cipresso orno la cetra
     Oscuramente, e in lamentevol voce
     14All’arme io chiamo, ed a pietate i cori.

LII

I gran destrier, che tra le schiere armate
     Urtar doveano, ed annitrir spumosi,
     Snervate in ozio, o per gli dì festosi
     4Or a fren gli tenete, or gli spronate;
E con morbida man briglie dorate
     Ite volgendo su gli arcion pomposi,
     Ed esperti a vibrar guardi amorosi,
     8Date battaglia alle bellezze amate.
Ma sian di ragni le corazze albergo,
     E su gli elmi d’acciâr la luce viva,
     11Delle gemme e dell’ôr polve deprede:
Che ambe le braccia rilegate al tergo,
     Vuole Ottoman dell’Ellesponto in riva
     14Per cotanta virtù darvi mercede.

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LIII

Fregiar d’Olanda, ed incresparsi i lini
     Al collo intorno, e di bei nastri ed ori
     Gravare i manti, e profumar d’odori
     4Con lungo studio, ed arricciarsi i crini,
È nostro pregio, e con dimessi inchini
     Gire adescando femminili amori;
     E condir mense, e negli estivi ardori,
     8Bacco tuffar per entro i geli alpini:
Ma che voti faretre a’ nostri scempi
     L’empio Ottomano; e che alle nobil genti
     11Flagelli il tergo, e che in acciar le stringa:
Ma che predi le Terre, e che arda ï Tempi,
     Guancia non è fra noi, giorni dolenti!
     14Guancia non è, che di rossor si tinga.

LIV

Eufrate, Gange, e dell’Aurora i regni,
     Ergono al ciel Macomettani Altari,
     E d’Orïente, e della Libia i mari
     4Chiamansi servi d’Ottomano ai legni:
Geme la Grecia, e mille strazj indegni
     Vien, che soffrir tra Musulmani impari,
     E san sfogar crudi ladroni avari
     8Sovra ogni nostra piaggia odj e disdegni.
Or quando l’aste su’ destrier ferrati
     Abbasseransi? e per la Fè sciorrete,
     11Quando l’insegne, o Cristiani armati?
Allor che schiavi con sudor trarrete
     Un remo? Ite codardi, ite malnati,
     14Gittate i brandi, che sì mal cingete.
     

LV

Verrà stagion, voi, che tra danze e canti
     Per estrema viltà vivete alteri,
     Verrà stagion, che gli Ottomani arcieri
     4Le patrie vostre lasceran fumanti.
Vedrete in forza di superbi amanti
     Passar l’egre consorti i giorni interi,
     E perchè sian contro Gesù guerrieri,
     8Sommo dolor! giannizzerar gl’infanti.
Allor tra ceppi dannercte ignudi
     L’ozio, che lusingando or si v’atterra;
     11Ma dopo il danno corso invan s’impara.
Or è da gonfiar trombe, or è da scudi
     Imbracciar forti, e da provarsi in guerra,
     14Se a’ vostri cor la libertade è cara.

LVI

Lungo tempo non ha; dolce a membrarsi!
     Che furo in grembo alla lor propria Teti,
     Orridi d’arme, i veleggianti abeti
     4Per tutto l’Oriente afflitti ed arsi:
I Turchi in Asia, e per la Libia sparsi
     Non son giganti, o del gran Marte atleti,
     Son stuol, che d’un tiranno aspri decreti
     8Spingono a morte, od a malgrado armarsi.
Percossa d’arco, che per lor si tende,
     Non è gran piaga, e le lor fronti invano
     11Elmi di torto lin copre e difende.
Ah! che se di lungh’aste empie la mano
     Europa, e di giust’ira il petto accende,
     14E da lei poco il trionfar lontano.

LVII

Azzappi, Alcansi, miserabil gente!
     E lor, che svelti non cresciuti ancora
     Dal sen del genitor traggono fuora
     4Delle patrie magion vita dolente,
Ignobil gregge, che alle prede ardente
     Di verace virtù nulla s’onora,
     Son quegli Eroi, dalle cui trombe ognora
     8Sfidare Europa, e minacciar si sente.
Ma s’ella un giorno de’ suoi Duci egregi
     Risveglia il cor, gli abbominevol schiavi,
     11Rapidi al gel della lor Scizia andranno:
Incliti cavalier, sangue di regi,
     Nati alla gloria fra gli allôr degli avi,
     14Qual alte palme da sperar non hanno?

LVIII

È ver che in Asia trionfando ha sparte
     Ottoman l’armi, e che l’Egitto ei frena,
     E che superbo alla superbia Armena
     4D’ubbidir paventando insegna l’arte:
È ver che Libia, è ver, che Europa in parte,
     Tragge a’ suoi duri gioghi aspra catena,
     E che quasi Nettun per ogni arena
     8Alzare antenne, e rilegar può sarte.
Ma di lui vinto fian le palme eterne,
     Nè voi sì glorïosi in vil periglio
     11Spiegar dovete l’onorata insegna:
Non assalta leon basse caverne,
     Ma fa d’orsi feroci il pian vermiglio,
     14E quinci altier per le foreste ei regna.

LIX

Tergete l’aste, e su per gli elmi, o franchi
     Guerrier d’Europa, raccendete i lampi,
     Che se dell’Asia trascorrete i campi,
     4Là fieno i Turchi a contrastar non stanchi:
Pur cinto ognun d’altera spada i fianchi
     Orme in quei regni infaticabil stampi,
     E d’ira in fronte minaccioso avvampi,
     8Nè per terror, nè per percosse imbianchi.
Tra perigli supremi alza vittoria
     Trofei sublimi, e dell’orribil morte
     11Nobil campion non sbigottisce al nome.
Su dunque all’armi, o generosi: gloria
     Nata vilmente non apprezza uom forte;
     14Ma con alto sudor s’orna le chiome.

LX

O se pure alla fin tromba d’onore
     Di magnanimo ardir vi empie le vene,
     Sì che per Dio le Palestine arene
     4Tocchiate un dì sulle spalmate prore,
Quanta vi cresceran forza e valore
     Di quel sacrato ciel l’aure serene?
     E gli alti alberghi, che Sïon sostiene,
     8Di quanto spirto han da colmarvi il core?
Mirarsi del Giordan l’onda da presso
     Fia sprone all’armi e del Cedronne il corso
     11Ecciterà l’insuperabil destre
Di voi ciascun quasi leon, che oppresso
     Da non usata fame inaspra il morso,
     14O tigre orbata per viaggio alpestre.

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LXI

I Guerrier sacri, a cui lodar le voci
     Qui ricerchiam più celebrate, e conte,
     Gravi il petto d’acciar, gravi la fronte
     4Ornaro il manto di purpuree Croci.
E quasi piuma di falcon veloci
     Corsero in armi all’usurpato Oronte,
     E fûr devoti di Sïon al monte
     8In guerreggiar, quasi leon feroci:
Commossi dall’ardor d’intrepid’ire,
     Sponendo a morte l’invincibil core,
     11Fransero i ferri, ed il furor degli empi:
Or se ad ognora il singolare ardire
     Con alti gridi incoroniam d’onore,
     14Con quale onor n’abbandoniam gli esempi?

LXII

Forse aspettiam, che le Caucasee cime
     Lascino per pietà gli orridi Sciti,
     E contra l’armi d’Ottomano arditi
     4Rompano il giogo, onde Sïon s’opprime?
Ah! che la Croce riportar sublime
     Dobbiam pur noi di Palestina ai liti,
     Cui nel chiaro dell’aria appena usciti
     8Sacrosanta nel petto ella s’imprime:
Carmelo, Ebron, di Bettelem le mura
     Gridano ognor: Gerusalem cattiva
     11Ambe le palme lagrimevol tende:
E calpestata da ria gente impura
     Del celeste Giordan l’inclita riva
     14I nostri spirti alla bell’opra accende.

LXIII

Che largo sangue, o che sì gran sudori
     Possono in riva del Giordan versarsi,
     Che il sofferto martir debba uguagliarsi
     4Al pregio altier degli apprestati onori?
Oh di che palme, oh di che verdi allori
     Vedran la fronte i vincitori ornarsi!
     E quanti, oh quanti sovra lor cosparsi
     8Fien per amiche man nembi di fiori!
I cari nomi infino al cielo andranno
     Fra lieti canti, e le natie contrade
     11Rimbomberan del celebrato affanno.
L’aste, gli scudi, e le sanguigne spade,
     E gli stessi cimier si serberanno
     14Per maraviglia alla futura etade.

LXIV

Non sia guerrier, che del sacrato acciaro
     Per temenza di morte il sen disarmi,
     Quando a terra cader fra sì bell’armi
     4È quaggiù trïonfar del tempo avaro:
Per lui superbi s’ergeran di Paro
     Sovr’ampia base, e scolpiransi i marmi,
     Ove auree note d’ammirabil carmi
     8A’ secoli futuri il faran chiaro.
I vecchi infermi additeran quei pregi,
     Ma gli aspri cor della robusta etate
     11Sospirando n’andran l’alta memoria;
Ed ei nel ciel coi trïonfanti egregi
     Fiammeggiando di piaghe alme e beate
     14S’illustrerà di via più nobil gloria,

LXV

Chi funestò, non ammirata appieno
     Opra giammai, di Gabaon la valle,
     Di selci empiendo all’ampie nubi il seno
     4Per tempestarne agli Amorrei le spalle?
E chi nel corso, che giammai non falle,
     Strinse del Sole a’ gran destrieri il freno,
     Che spargean forti per l’etereo calle
     8Di focosi nitriti il ciel sereno?
Non fu del sommo Dio l’alta possanza,
     Che oltre il Giordano al peregrino Ebreo
     11Diè con invitta man palme supreme?
Riguardi in sua pietà nostra speranza,
     E fia l’empio Ottoman l’empio Amorreo,
     14Noi d’Abraam, noi d’Israelle il seme.

LXVI

Vide Israel, che del Giordano al fiume,
     Gran meraviglia, fu frenato il corso;
     E ch’ei restò, come al dettar del morso,
     4Nobil destriero ha di restar costume:
Vide, che tromba, e che fulgor di lume
     Porse al buon Gedeone alto soccorso,
     Quando il rio Madïan volgendo il dorso
     8Sbigottito a fuggir mise le piume.
Alla destra di Dio non è contesa:
     Egli solleva allo splendor celeste,
     11Egli deprime alla bassezza estrema:
Che sia giojosa, o sia dolente impresa,
     Vien da suo cenno: o coronate teste,
     14Chi per Dio sorge, di cader non tema.

LXVII

Poichè il fervido suon de’ miei lamenti
     Hanno d’Europa i cavalieri a scherno,
     E quasi nebbia sollevata il verno
     4Portanlo attorno, e ne fan giuoco i venti:
Musa, che sacra fra le stelle ardenti
     Spargi d’alta letizia il ciel superno,
     Sgombra tu col valor del canto eterno,
     8Deh sgombra il gel dell’indurate menti.
Veggano i re, cui della Croce il segno
     Sacrasi in fronte; e nella sorte infesta
     11Per lei son osi ad impetrar conforto:
Veggano se mirar senza disdegno
     Il superbo Ottoman, che la calpesta,
     14Sia quasi dir, ch’ella s’adori a torto.