Confessioni d'un scettico/III
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III.
6 novembre 18....
«Auch ich war in Arkadien geboren;» potrei dire con Schiller; anch’io respirai nell’Arcadia della fede ed attossicai gli anni vergini della mia vita colle fraudi ascetiche del sentimento. Anzi, te lo confesso, la fede m’entrò con tanto impeto, vi si profondò con tanta tenacità d’entusiasmo che m’esaltai sopra me stesso. Era un’insania che mi si colorava colle sembianze del vero. Io la portai lungamente dentro di me; e quando alla fine la strappai dalla coscienza, a guisa di chi strappa la maschera dal volto dopo una notte fantastica d’orgia, l’anima mia, come fosse divelta dall’intimo suo, mi diè sangue per ogni vena, e lo strazio atroce sopravisse alla vittoria stessa della ragione.
Ti narrerò in un’altra lettera la tragedia che sostenni, le lagrime che versai, il dolore disperato d’un abbandono ch’io credeva impossibile. Ma, ripensando a quel mio passato ascetico, non ti nascondo che ora ne provo una quasi rabbia di pentimento. Ora non comprendo più quella battaglia che mi pare uno scherno della ragione; quelle lagrime mi paiono vili, e quella disperazione una stizza di fanciullo inesperto delle grandi vie che la scienza dischiude agl’intelletti maturati nel vero.
Perchè dunque la cappa di piombo della religione ci siede sul collo, e ci vieta di alzare fieramente la testa ed interrogare le cose come sono? perchè la servitù detestata del dogma ci logorò le potenze più fresche degli organi, fiaccandole per tanti secoli sotto la sferza papale? perchè quella codardìa d’intelletto che non osa affrontare i divini pericoli del vero scientifico? perchè l’inerzia disonesta che ci fa chiudere gli occhi alla nostra salute e ci fa così sbigottiti delle nostre stesse conquiste? perchè bestemmiamo la verità chiamandola triste, allettiamo speranze nell’oltretomba, e ci ribelliamo al fato reputandolo un giogo che ci schiaccia non una legge divina da riprodurre in noi stessi?
È un dramma pien di dolore ch’io ti narrerò come s’è prodotto dentro di me in quegli anni terribili e sacri nei quali mi si dischiudeva la ragione dall’orizzonte della fede. Addio.
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