Esame della proposta di relazione finale

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SENATO DELLA REPUBBLICA CAMERA DEI DEPUTATI

XIII LEGISLATURA


COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA SUL DISSESTO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DEI CONSORZI AGRARI



RESOCONTO STENOGRAFICO 52a SEDUTA MERCOLEDI' 21 FEBBRAIO 2001


Presidenza del presidente Melchiorre CIRAMI


I lavori hanno inizio alle ore 14,10

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Presidenza del presidente CIRAMI

SULLA PUBBLICITA' DEI LAVORI

PRESIDENTE. Propongo che sia attivato, ai sensi dell'articolo 12, comma 2, del Regolamento interno, il collegamento audiovisivo a circuito chiuso. Non facendosi osservazioni, il collegamento è attivato.

SUI LAVORI DELLA COMMISSIONE

PRESIDENTE. Vi informo che l'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, riunitosi mercoledì 11 febbraio, ha stabilito il seguente calendario dei lavori: mercoledì 21 febbraio, alle ore 14, inizio dell'esame della proposta di relazione finale; martedì 27 febbraio, alle ore 16, seguito dell'esame della proposta di relazione finale; mercoledì 28 febbraio, alle ore 9,30, seguito dell'esame della proposta di relazione e votazione della stessa.

Esame della proposta di relazione finale

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, prima di svolgere brevemente alcune considerazioni sulla impostazione metodologica seguita nella redazione della proposta di relazione finale, propongo di chiudere con oggi la discussione generale in modo da lasciare un lasso di tempo sufficiente per la presentazione di emendamenti o proposte modificative.

Chiedo altresì di essere autorizzato a dare per letta la relazione già distribuita e chiedo che faccia parte integrante del resoconto stenografico della seduta odierna. Avverto che, per mero errore materiale, a pagina 215 della proposta di relazione è per due volte indicata la cifra di 2.150 milioni anziché 2.150 miliardi. Comunico altresì che a pagina 36, ultimo capoverso del paragrafo 2.2, la parola "doveva" va sostituita con le parole "avrebbe dovuto" e deve ritenersi soppresso l'avverbio "anche".

Vi informo infine che solo in data 15 febbraio il Ministero del lavoro ha trasmesso un elenco aggiornato della situazione giuridica dei consorzi agrari: tale elenco sarà inserito all'interno del capitolo XII che tratta di questa materia, in sede di coordinamento formale.

Detto questo, desidero aggiungere un ringraziamento non soltanto formale, ma sostanziale all'intero Ufficio di segreteria che ha collaborato in questa laboriosissima e complessa attività d'indagine, e in special modo al segretario che lo ha coordinato. Un altro particolare ringraziamento va a tutti i collaboratori che con noi hanno condiviso questa fatica, sia a quelli a tempo pieno, il dottor Rosario Basile, il capitano Cosimo Tripoli e il tenente Giovanni Panebianco, che a quelli a tempo parziale che hanno fornito contributi di natura tecnico-giuridica ai gruppi di lavoro.

L'iter di questa proposta di relazione si snoda dettagliatamente sui principi ispiratori della ricerca che abbiamo condotto, una ricerca complessa e articolata sia per la grande mole di documenti consultati sia per i contributi di testimonianza delle persone che al tempo hanno vissuto questa vicenda, dall'interno e dall'esterno. Alcune testimonianze a volte sono rimaste imprecise, a volte sono state al limite della reticenza nel senso che non ci hanno consentito di scendere al fondo delle questioni anche di natura politica che hanno determinato il dissesto della Federconsorzi e di comprendere a pieno la conduzione e l'esito di questo dissesto.

Devo innanzitutto rilevare una prima contraddizione tra i temi di indagine proposti con la legge istitutiva (temi ampliati nel testo approvato definitivamente dal Senato) e la compressione del tempo a disposizione per svolgere questa ricerca. Il tempo a disposizione infatti è stato a mio modo di vedere sincopato dal fatto che ad una prima proroga, legittimamente richiesta e sottoscritta da tutti i Gruppi, non ha fatto seguito una seconda proroga nei termini richiesti dalla Commissione, ma il termine è stato ristretto alla data del 28 febbraio 2001, prossima a scadere. Ciò non ha consentito, e non per inerzia della Commissione né per negligenza, ma obiettivamente per la complessità dell'analisi dei documenti, l'approfondimento di alcuni temi che restano semplicemente abbozzati. Di tutto ciò diamo atto nella parte finale della relazione con un capitolo apposito e diamo atto altresì che sono state rilevate peculiarità (sulle quali non intendo esprimere alcun giudizio) presentate così come obiettivamente riscontrate, lasciando a chi ne avesse voglia di approfondirle.

Tutto ciò ha comportato una inspiegabile limitazione, laddove avrebbe dovuto esservi il desiderio finalmente di fare chiarezza, dopo inchieste rimaste - lasciatemelo dire - abortite nel passato (mi riferisco all'inchiesta della Commissione parlamentare sull'AIMA e all'indagine ministeriale voluta dal ministro Poli Bortone, che avrebbero dovuto essere approfondite), e di conoscere definitivamente la verità degli antefatti e dei fatti relativi al dissesto della Federconsorzi e alla definitiva liquidazione della stessa e del sistema dei consorzi agrari.

Come parlamentare e magistrato devo anche dire che è mancato il contributo dei vari uffici giudiziari che, attraverso varie inchieste, si sono occupati di questa materia. Mi riferisco specificamente alla Procura della Repubblica di Roma che ha inquisito gli amministratori della Federconsorzi, perché non c'è stato permesso di conoscere le motivazioni della richiesta del pubblico ministero di Roma di rinvio a giudizio: infatti tale richiesta contiene soltanto l'elenco dei capi di imputazione e le prove a base di quelle imputazioni, che poi dovranno essere valutate dal Tribunale, ma manca di qualunque motivazione dei fatti e anche degli elementi costitutivi dei reati addebitati agli amministratori. Né alcun contributo ci è arrivato dalla Procura della Repubblica di Perugia sotto il profilo della ricerca degli elementi di contestazione del reato. Mi riferisco in questo caso all'elemento oggettivo del prezzo posto a base della richiesta di cessio bonorum da parte della SGR e al cui prodest, cioè all'elemento soggettivo che avrebbe guidato gli autori imputati della commissione di questi assunti delitti. Devo dire che il giudice per le indagini preliminari che si è pronunciato sulla richiesta di rinvio a giudizio non ci ha dato neppure la soddisfazione di conoscere le argomentazioni per cui alcuni sono stati rinviati a giudizio e altri prosciolti, tutto è avvenuto senza che vi sia una motivazione credibile e sufficiente. Lo voglio dire perché resta inspiegabile, per esempio, il rinvio a giudizio del solo presidente Greco e non di tutti i componenti del Collegio fallimentare di Roma, pur avendo tutti i magistrati partecipato alla fase di ammissione al concordato e alla fase di omologazione dello stesso, e pur avendo essi dichiarato di non aver subìto prevaricazioni di sorta da parte del presidente Greco e di aver assunto collegialmente la decisione: resta dunque inspiegabile perché soltanto il presidente Greco sia stato inquisito a Perugia in mancanza di fatti particolari che ne facessero discendere soltanto in capo a lui una responsabilità del singolo rispetto alla composizione collegiale.

Passo ora ad illustrare brevemente le linee principali dei capitoli in cui si articola la relazione che contengono alcuni accenni alla normativa e ai ricorsi storici della Federconsorzi e dei consorzi agrari. Sono state esaminate le cause del dissesto della Federconsorzi ed abbiamo inteso individuare anche che cosa è residuato da tale dissesto.

È stato appurato che il dissesto non è stato determinato da una sola causa ma da una serie di concause, una delle quali fa riferimento alla disciplina normativa della Federconsorzi che a quel tempo, ma anche successivamente, molti hanno ritenuto essere di natura pubblicistica.

Si è poi passati ad esaminare il sistema dei controlli che, a nostro modo di vedere, dovevano essere esercitati sia dall'autorità politico-amministrativa – i vari Ministri che si sono succeduti nel tempo – sia dalle banche che avrebbero dovuto effettuare la verifica dei crediti. Abbiamo addirittura esaminato, e succintamente riportato nella relazione, le motivazioni delle linee di apertura di credito da parte di tutte le banche, di cui abbiamo registrato le risposte.

Le cause del dissesto sono state riferite non solo al sistema gestionale della Federconsorzi ma anche alla concezione di questa holding, chiusa nell'ambito del mercato agroalimentare quale organismo gestito in maniera assolutamente preponderante dalle associazioni di categoria, Coldiretti, Confagricoltura e, soltanto nella sua tarda evoluzione, Confcooperative, registrandosi però una presenza predominante della Coldiretti rispetto alle altre.

Si trattava di un sistema chiuso perché politicamente era di supporto - dato assolutamente conosciuto da chiunque abbia seguito l'evoluzione della Federconsorzi e dei consorzi agrari e la pubblicistica in materia - all'attività dei partiti che nel tempo avevano dominato la scena politica italiana, tra i quali – non ho timore a dirlo – la Democrazia cristiana era in posizione predominante, senza però escludere gli altri che dalla Federconsorzi pure ricevevano benefici sotto il profilo delle contribuzioni e delle sponsorizzazioni. Su queste ultime non abbiamo trovato carte sufficienti e, quindi, non è stato possibile approfondire le ragioni che le determinavano, al di fuori dei fini istituzionali propri della Federconsorzi.

A questo argomento è stato dedicato un capitolo specifico ma non abbiamo avuto la possibilità di approfondirne l'esame poiché il materiale ad esso relativo è stato rinvenuto poco tempo fa. Pertanto, nella relazione abbiamo voluto elencare soltanto ciò che ufficialmente risultava indicato nei registri contabili della Federconsorzi, trascurando addirittura gli scritti apocrifi - voglio sottolinearlo - che pure erano contenuti all'interno di quei faldoni, in cui erano riportati elenchi di nominativi con accanto, quasi in codice, delle cifre (3, 5, 15), come se fossero riferite a milioni e non a centinaia di migliaia di lire. Non avendo svolto gli approfondimenti necessari sulla veridicità e la provenienza di tali scritti, abbiamo ritenuto, per correttezza, di non darne atto nella relazione al fine di evitare una sorta di impropria speculazione, soprattutto nell'attuale fase di campagna elettorale.

E' stata poi esaminata l'intera vicenda relativa al commissariamento che rappresenta lo snodo politico e del quale la Commissione ha potuto approfondire le motivazioni, per quanto le è stato possibile, grazie anche agli atti ritrovati e alle testimonianze di chi era presente a quel tempo.

Sembra di essere nel vero se si afferma che il commissariamento ha rappresentato una decisione autonoma del ministro Goria, sfatando così un pregiudizio in base al quale si pensava che il commissariamento fosse stato l'esito preordinato di un dissesto volto a concludersi prima con il commissariamento stesso e poi con la distruzione del sistema federconsortile, per rilanciarne poi un altro per fini propri.

Per quanto ci è stato possibile accertare, abbiamo assolutamente escluso questa ipotesi ed è stato possibile appurare che – mi dispiace dirlo – la decisione di commissariamento fu presa esclusivamente dal ministro Goria il quale addirittura non tenne conto dei suggerimenti tecnici che pure provenivano dal professor Capaldo che sconsigliò di applicare tale formula in mancanza di un piano da attuare dopo il commissariamento stesso. Tali consigli rimasero inascoltati e la decisione deluse persino chi - come il dottor Lobianco, allora presidente della Coldiretti - aveva prospettato il commissariamento come un momento di rilancio della Federconsorzi.

Ricordo che il dottor Lobianco utilizzò l'espressione "patto scellerato" riferendosi alla congiuntura che portò al commissariamento; egli rimase forse deluso dalla decisione autonoma di Goria relativa non solo al commissariamento in sé ma anche alla scelta di chi dovesse gestirlo. Infatti, al momento della nomina dei commissari, furono esclusi tutti quelli vicini alla Coldiretti e alla Confagricoltura. Da qui nacque poi l'illazione che Goria ebbe a coinvolgere anche l'allora presidente del Consiglio Andreotti. La sede in cui si decise il commissariamento non è la famosa riunione del 17 maggio 1991 presso la Presidenza del Consiglio; infatti, ci risulta espressamente dalle dichiarazioni rese dal Capo di gabinetto del ministro Goria, dottor Virgilio, che il commissariamento era stato deciso una settimana prima e, quindi, già da una settimana egli conservava lo schema dell'atto nel quale erano stati lasciati in bianco uno o più nomi dei commissari. Per inciso, il dottor Virgilio nel riferirsi al commissario ha sempre parlato al singolare ma, quando abbiamo acquisito il testo del decreto, abbiamo potuto constatare che l'intero atto era stato predisposto "al plurale".

Quando parlavo di reticenze mi riferivo proprio a questo tipo di cattivi ricordi o di "non ricordi" che i testimoni del tempo hanno consegnato alla Commissione nel corso delle loro audizioni.

Dopo il commissariamento, il ministro Goria ha inteso gestire due aspetti: da una parte, il rilancio del sistema consortile attraverso la proposizione di un patto alle banche creditrici che avrebbero dovuto trasformare in azioni bancarie, di pertinenza o per quota, i loro crediti nei confronti della Federconsorzi; dall'altra parte, la creazione di un'altra società, Agrisviluppo - che ritroveremo successivamente - che potesse rilanciare il sistema dei consorzi agrari.

Tutto è accaduto tra il 17 maggio e il novembre 1991, periodo in cui le banche non diedero assolutamente credito al ministro Goria, probabilmente deludendolo, in quanto provenendo dal Ministero del Tesoro ed essendo stato Presidente del Consiglio, confidava nel supporto delle banche dalle quali invece, a commissariamento avvenuto, non ha ricevuto l'appoggio necessario per poter avviare il suo programma. Inoltre, il ministro Goria non ebbe dalle banche sufficienti investimenti di natura finanziaria in grado di rilanciare il sistema dei consorzi agrari.

Da quel momento in poi, cioè dal novembre 1991, Goria non si interessò più all'avventura postcommissariale della Federconsorzi.

Si chiese quindi il concordato preventivo e la decisione fu di Goria e, implicitamente, del Presidente del Consiglio del tempo; risulta infatti dalla pubblicistica che Goria si incontrò con il presidente Andreotti al quale sottopose la richiesta di concordato preventivo, avendo egli già escluso la possibilità di richiedere la liquidazione coatta amministrativa, rimanendo quindi soccombente la proposta avanzata dal senatore Fabbri che invece insisteva per quest'ultima soluzione.

La Commissione ha tentato di approfondire la questione dell'ammissione della Federconsorzi al concordato e della sua omologazione per enucleare tutti i punti oscuri della vicenda, oscuri soprattutto perché sulla materia si è poi accentrata l'attenzione della magistratura.

L'ammissione al concordato non prevedeva particolari accertamenti da parte del Tribunale fallimentare e del giudice delegato e quindi non desta momenti di perplessità. Ciò che desta invece momenti di perplessità è stata la fase di omologazione del concordato. A seguito dell'esame che abbiamo condotto su tutto l'iter processuale che il Tribunale fallimentare avrebbe dovuto seguire per accedere all'omologazione, indipendentemente da quel che è avvenuto con SGR, e anche per espressa dichiarazione del presidente Greco, risulta che si passò un po' sopra, come forse usualmente avviene in questi casi, alle necessità di adempiere formalmente al dettato normativo della legge fallimentare. Si cercò di cedere a ragioni extra processuali, sottolineate dal presidente Greco, nel senso che si tenne conto delle pressioni dei lavoratori e dei sindacati che volevano chiudere questa vicenda con il concordato preventivo, per non rischiare di non avere soddisfatte le loro ragioni dal punto di vista occupazionale. Queste ragioni extra processuali potevano portare, a mio modo di vedere, anche a un sindacato disciplinare nei confronti del presidente Greco. Non ci pare però che potessero essere sufficienti per dimostrare una responsabilità per dolo del presidente Greco, anche perché non vi sono motivazioni aggiunte o indicazione di fatti diversi né nella richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del presidente Greco, né nel dispositivo relativo al rinvio a giudizio da parte del giudice per le indagini preliminari di Perugia.

Subito dopo il concordato si costituì una società di gestione, la SGR, che avanzò richiesta al Tribunale di acquistare tutti i beni per una somma complessiva di 2.150 miliardi. Qui si innesca un altro aspetto che abbiamo voluto approfondire, compiendo in sostanza il lavoro che doveva fare il Tribunale di Perugia a proposito dell'entità del prezzo, per stabilire se fosse un prezzo "vile" oppure no rispetto al valore, in astratto o in concreto considerato, del complesso dei beni della Federconsorzi. Abbiamo dunque svolto una ricerca, cui il secondo gruppo di lavoro si è dedicato per molti mesi, riesaminando tutti gli atti di vendita e seguendo i vari passaggi di vendita e siamo arrivati alla conclusione che l'operazione globale della SGR porta ad incassare, rispetto ai 2150 miliardi, più di 2500 miliardi, tenuto conto che più di 400 miliardi sono di spese fiscali e che la differenza rispetto ai 2.150 indicati inizialmente è superiore di 36 miliardi. Quindi abbiamo ritenuto che il prezzo non fosse "vile", ma che al contrario potesse soddisfare il 40 per cento dei crediti chirografari, perché non vanno considerati nel soddisfacimento dei crediti soltanto i 2.150 miliardi, ma anche le somme incassate dalla liquidazione a far data dal momento del commissariamento fino al novembre 1991, data di riferimento del patrimonio immobiliare per la liquidazione e quindi vanno sommate ai 2.150 miliardi le somme incassate prima dalla liquidazione e utilizzate per soddisfare pro-quota i vari creditori.

Non solo. Non ci risulta essere pervenuta alcuna protesta o indicazione di mancato soddisfacimento di crediti fino a 20 milioni né che ci fossero creditori non soddisfatti nella misura del 40 per cento. Sarebbe bastato registrare tutto questo e sottolineare poi che, se il concordato, come viene ritenuto da qualcuno, fosse stato fatto in violazione di questo principio per dolo del giudice, avrebbe potuto essere revocato: in realtà nessuno lo ha mai fatto. A fare da base alla cessio bonorum c'è poi la famosa storia dell'atto-quadro, su cui abbiamo raccolto pareri giuridici sia dei nostri collaboratori sia di studiosi che in una memoria hanno espresso opinioni diverse di cui abbiamo dato atto in maniera obiettiva. Però, su un dato tutti accentrano la loro attenzione, cioè che si tratta certamente di un atto atipico la cui efficacia non è stata mai messa in dubbio, se non un'unica volta, e strumentalmente (come dice espressamente il giudice fallimentare e attuale giudice delegato, dottor Norelli), per ottenere la retrocessione dei crediti MAF, ceduti insieme alla cessio bonorum e la cui valutazione fu insignificante perché ritenuti fin dall'inizio e anche adesso, crediti virtuali. La conclusione del Tribunale di Perugia (ma su questo aspetto il Tribunale non ha fatto considerazioni) fu che i 1000 miliardi di crediti MAF non solo allora non erano esigibili, ma il Governo e le forze politiche avevano espresso parere contrario alla loro esigibilità. Vari decreti-legge o disegni di legge hanno cercato di rendere operativi e dunque esigibili questi crediti, ma da sempre sono stati ritenuti inesigibili e lo sono tuttora, tanto che l'attuale giudice delegato, in sintonia con il commissario giudiziale, ha ritenuto di poter utilizzare la cosiddetta cartolarizzazione dei crediti, cioè l'immissione sul mercato, in attesa che qualcuno li acquisti, di questi titoli ad un valore dimezzato per poterne ricavare al massimo 500 miliardi. E qui diventa inspiegabile un comportamento del Tribunale fallimentare: se i crediti lo Stato li paga attraverso la cartolarizzazione, evidentemente deve riconoscerli esigibili per intero e se li riconosce o se li avesse riconosciuti allora, non avremmo indagato sui motivi del dissesto, magari la Federconsorzi sarebbe andata anche peggio, ma avremmo avuto da parte dei consorzi e della stessa Federconsorzi questi soldi dovuti per gli ammassi e le cause del dissesto può darsi non si sarebbero maturate nel 1991 ma più tardi. Se, invece, non sono esigibili, non si vede come possano essere collocati sul mercato con la cartolarizzazione. Questa alternativa è da ritenere oggi, figuriamoci quanto potesse essere vera nel 1993, quando si sottopose alla firma l'atto-quadro. Quando poi fu emanato un atto di citazione nei confronti della SGR, il tribunale in un primo momento si dichiarò incompetente, mentre in sede di arbitrato si raggiunse la transazione in base alla quale la SGR restituì questi crediti che ad oggi sono rimasti assolutamente inesigibili.

Ho tracciato per grandi linee i principi ispiratori e la filosofia della bozza di relazione. Devo però aggiungere alcune osservazioni relative ai controlli.

La Commissione ha ascoltato i Ministri che si sono succeduti dal 1982 e al 1991, gli onorevoli Pandolfi e Mannino. Il ministro Pandolfi prese addirittura le distanze dalla Federconsorzi; è stato come se non volesse interessarsene se non in maniera formale nell'ambito della struttura ministeriale. Qualcuno, più vicino agli anni '90, come il ministro Mannino, percepì con lucidità quanto stava accadendo, tant'è che disse alla Commissione che non volle sottoscrivere il bilancio 1989-'90 se non con la formula della presa d'atto, in quanto quei bilanci paventavano che ci fossero delle non verità. Il termine "non verità" è un eufemismo perché abbiamo accertato che esistevano delle irregolarità contabili sulle quali la magistratura avrebbe dovuto porre maggiore attenzione. Infatti, attraverso l'esame dei bilanci, abbiamo riscontrato addirittura delle ipotesi di falso in bilancio e falso in rappresentazione dei crediti e dei debiti. La relazione contiene in allegato tutte le tabelle che sono quindi a disposizione di chi intende esaminarle.

Per quanto riguarda i debiti, rilevo che il dottor Pellizzoni, allora direttore generale, che avrebbe dovuto risanare l'impianto federconsortile, cassò di colpo dal bilancio 1989-'90 debiti per 350-370 miliardi con la motivazione della loro prescrizione. Lascio tutti riflettere su cosa si volesse intendere per debiti prescritti. Improvvisamente, quindi, si cancellarono dal bilancio 370 miliardi senza che nessuno se ne ebbe a dolere. Ritengo - ma non ne sono certo - che questi 370 miliardi nascondessero qualcos'altro o servissero per tutelare cose diverse da un debito effettivo.

Su questo punto la Commissione avrebbe potuto lavorare più a fondo se ne avesse avuto il tempo. Si trattava di verificare da quanto tempo stesse maturando questa posta di bilancio che poi il dottor Pellizzoni e il dottor Bambara cancellarono improvvisamente dal bilancio 1990.

Un'altra questione esaminata è quella relativa al rinvenimento occasionale da parte dell'avvocato Lettera (allora commissario governativo, poi rimosso e quindi sostituito dal generale Marrocco) nel caveau della Federconsorzi, di un castelletto di circa 800 miliardi di cambiali, alcune delle quali possono essere riferite al rinnovo di cambiali provenienti dai consorzi agrari; qualcuno invece ritiene che si trattasse di rapporti di fideiussione nei confronti della Federconsorzi.

Avremmo dovuto disporre di più tempo per analizzare compiutamente il percorso di queste cambiali, le motivazioni che sono alla loro base e a quale titolo sono finite nel caveau della Federconsorzi. Nessuno poi ha mai richiesto la loro distruzione, la riscossione o il rinnovo. Queste sono alcune particolarità da approfondire.

In merito al sistema dei controlli è stato accertato che quelli esercitati dal Ministero erano del tutto formali; non ci risulta, infatti, che i Ministri e gli uffici abbiano impartito direttive verbali o scritte o disposto ispezioni nei confronti dei consorzi agrari e della Federconsorzi.

Capisco che l'autorità politica si appoggia ovviamente alla struttura amministrativa, ma quando quest'ultima è di per sé deficitaria, il controllo è soltanto di tipo burocratico e, pur nella presa di coscienza della delicatezza del tema, non viene prestata la dovuta attenzione perché la struttura eserciti la funzione di controllo che le spetta, si viene a determinare una assenza di controlli amministrativi e questo è quanto accaduto nei confronti della Federconsorzi e dei consorzi agrari.

È stato detto inoltre che i controlli da parte del Ministero erano obbligatori in quanto previsti dalla legge istitutiva della Federconsorzi. Tali controlli, oltretutto, erano dovuti al fatto stesso che nei Collegi sindacali della Federconsorzi e dei consorzi agrari erano presenti i rappresentanti dei vari Dicasteri che avrebbero dovuto esercitarli.

In nessun bilancio abbiamo potuto rilevare una annotazione da parte del Collegio sindacale in merito all'operato e alla gestione dei vari consorzi agrari.

Inoltre, un controllo che è venuto a mancare è stato quello del sistema creditizio che ha affidato migliaia di miliardi alla Federconsorzi e ai consorzi agrari senza ricevere mai delle garanzie. A tal proposito vorrei citare due dati. A fronte di un castello di finanziamenti pari a 5.000 miliardi, le richieste di garanzia erano pari a 36 miliardi; questa era la proporzione. Le banche hanno giustificato questo dato sostenendo che allora si riteneva che lo Stato potesse intervenire e che per loro quel tipo di garanzia era sufficiente, anche perché le banche lucravano sugli interessi per i movimenti che la Federconsorzi e i consorzi agrari operavano presso i loro sportelli bancari.

La Banca d'Italia non ha affrontato il problema dal momento che il sistema non veniva messo in dubbio e ciò, quindi, non allertava il sistema bancario nazionale; di conseguenza la Banca d'Italia non poteva intervenire nel controllo di merito delle singole operazioni che le singole banche realizzavano nei confronti della Federconsorzi e dei consorzi agrari.

Del problema non si occupavano neanche le banche estere che furono indotte a concedere linee di credito anche sull'esempio delle banche italiane. Le banche estere si sono allertate quando è scattato il commissariamento perché solo in quel momento si sono chieste per quale motivo lo Stato non intervenisse; le banche straniere, infatti, erano convinte che la Federconsorzi fosse un ente pubblico. A quel punto le banche estere minacciarono ritorsioni sul piano internazionale nei confronti del sistema bancario italiano, ma improvvisamente furono tacitate attraverso un'operazione di postergazione dei loro crediti da parte delle altre banche creditrici sia dell'Agrifactoring, società finanziaria della Federconsorzi, sia della stessa Federconsorzi.

Questo è un capitolo che abbiamo specificamente voluto consegnare all'attenzione dei componenti della Commissione perché dettagliatamente indica il percorso per il quale le banche estere, ad un certo punto, si sono totalmente defilate rispetto al credito vantato nei confronti della Federconsorzi.

Mi pare di avere esposto il contenuto della proposta di relazione finale. Ad essa si aggiunge una appendice che riguarda la storia degli ammassi e di come sono stati trattati i decreti sugli ammassi, l'iter percorso da questi decreti, le resistenze in un primo momento espresse da parte della Corte dei Conti, le difficoltà che ancora oggi si incontrano perché i documenti che dovevano giustificare il pagamento di questi ammassi non si sono trovati. Questo è stato il percorso da noi seguito nel nostro lavoro. Leggendo la relazione ci si può accorgere che non ho volutamente espresso giudizi personali, non mi pareva opportuno e non mi pareva assolutamente legittima l'espressione di giudizi che fossero soltanto opera di chi vi parla, se non quelli che ho voluto riportare a titolo personale non come critiche ma come perplessità, in base alla mia formazione professionale, rispetto al comportamento delle varie magistrature penali che si sono occupate della vicenda e della magistratura civile fallimentare che ha dovuto occuparsi di questi fatti. Laddove i giudizi ci sono, sono presentati sotto forma dubitativa, per quanto fanno parte di un convincimento che ciascuno di noi personalmente si è fatto sulla vicenda o su altre vicende, lasciando al dibattito di assumere come propria la decisione finale sui vari aspetti del lavoro che abbiamo potuto fare nel breve tempo a disposizione. Alla Camera dei deputati qualcuno ha detto che abbiamo perso tempo; chi lo ha detto ha dovuto ricredersi di fronte al lavoro svolto, perché non si era reso conto di quanto fatto in questi due anni. Qualcuno ha anche detto che abbiamo lavorato per tre anni, confondendo la data di approvazione della legge istitutiva della Commissione, risalente al marzo 1998, con quella dell'effettivo insediamento della Commissione che risale al gennaio 1999. Magari avessimo avuto un anno di tempo in più, avremmo potuto dare un contributo maggiore al Parlamento. Il tempo a disposizione è stato impiegato da tutti i parlamentari, compatibilmente con i lavori di Camera e Senato, con vari incidenti di percorso, cioè le due crisi di Governo e le tre tornate elettorali che si sono succedute nel tempo. Mi rendo quindi conto che la presenza dei parlamentari ai lavori di questa Commissione ha dovuto necessariamente essere saltuaria, ma non per questo possono essere mosse critiche rispetto alla conoscenza acquisita da parte della Commissione.

Vi ringrazio e rimetto a voi la proposta di relazione per la possibilità di un approfondimento sulle conclusioni raggiunte. Come ho detto all'inizio, vorrei chiudere fin da oggi la discussione per avere il tempo sufficiente per l'eventuale presentazione di emendamenti che potranno essere esaminati nelle due sedute della settimana prossima prima della votazione finale. Non facendosi osservazioni, fisso fin da ora il termine per la presentazione degli emendamenti alle ore 16 di martedì 27 febbraio 2001.

Non facendosi osservazioni, do quindi per letta la seguente proposta di relazione finale: