Audizioni Commissione d'inchiesta Federconsorzi/50
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SENATO DELLA REPUBBLICA------CAMERA DEI DEPUTATI
XIII LEGISLATURA
COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA
SUL DISSESTO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA
DEI CONSORZI AGRARI
RESOCONTO STENOGRAFICO
50 a SEDUTA
MERCOLEDI’ 6 DICEMBRE 2000
(Pomeridiana)
Presidenza del presidente Melchiorre CIRAMI
I lavori hanno inizio alle ore 14,10.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente)
Presidenza del Presidente CIRAMI
Audizione del dottor Umberto Apice e della dottoressa Giovanna De Virgiliis, componenti, nel 1991, del Collegio giudicante della procedura di concordato preventivo della Federconsorzi.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione del dottor Umberto Apice e della dottoressa Giovanna De Virgiliis, componenti, nel 1991, del Collegio giudicante della procedura di concordato preventivo della Federconsorzi.
Prima di dare la parola ai nostri ospiti, avverto che i lavori della Commissione si svolgono in forma pubblica, secondo quanto dispone l’articolo 7 della legge istitutiva, e che è dunque attivato, ai sensi dell’articolo 12, comma 2, del Regolamento interno, l’impianto audiovisivo a circuito chiuso. Qualora da parte delle persone ascoltate o dei colleghi lo si ritenga opportuno in relazione ad argomenti che si vogliono mantenere riservati, disattiverò l’impianto audiovisivo per il tempo necessario.
Preciso infine che dell’audizione odierna è redatto il Resoconto stenografico, che sarà sottoposto, ai sensi dell’articolo 12, comma 6, del Regolamento interno, alle persone ascoltate e ai colleghi che interverranno, perché provvedano a sottoscriverlo, apportando le correzioni di forma che riterranno in vista della pubblicazione negli atti parlamentari.
Nelle precedenti audizioni abbiamo ascoltato i magistrati Celotti, De Vitis e Severini che si sono occupati di alcune delle fasi del concordato preventivo. Ci risulta che voi avete partecipato ad una di queste fasi e vorremmo sapere in cosa è consistita la vostra partecipazione, cosa avete potuto fare nell’ambito dell’adozione dei provvedimenti proposti dal presidente Greco.
DE VIRGILIIS. Signor Presidente, se non erro il provvedimento di cui parla è quello principale e di esso non ricordo la data, ma deve risalire al primo semestre del 1991. Parlo per me, perché sono stata chiamata a comporre il Collegio che si è trovato a decidere sull’ammissione della Federconsorzi alla procedura di concordato preventivo. L’epoca è sicuramente quella che ho riferito, lo ricordo perché sono stata destinata alla sezione fallimentare nel dicembre 1990, quindi posso dire che rispetto a quel primo semestre quello in esame fu uno dei provvedimenti più consistenti, più rilevanti ai quali ho partecipato in camera di consiglio. Allora non sfuggiva a nessuno, non soltanto a chi era chiamato a comporre il Collegio, ma a tutti i giudici fallimentari, l’importanza che questa procedura avrebbe assunto se fosse continuata, ma fin dall’inizio le fu dedicata l’attenzione che meritava. Posso dire che all’epoca sicuramente sono entrata a far parte del Collegio e quindi posso riferire di una prassi della sezione, perché il più giovane della sezione di solito viene chiamato a comporre il Collegio per completare la terna di magistrati che devono decidere. All’epoca le camere di consiglio della sezione fallimentare si svolgevano in forma diffusa, cioè si parlava con tutti degli argomenti di maggior risalto e non vi erano tempi ben determinati per la camera di consiglio, quindi, per quanto riguarda la Federconsorzi, il procedimento si è protratto a lungo e non si è risolto nel solito quarto d’ora di camera di consiglio che porta normalmente alla decisione di un provvedimento di questo tipo. Mi riferisco naturalmente ai concordati minori per importanza che non richiedono lunghe discussioni. Il problema della Federconsorzi fu affrontato in maniera abbastanza approfondita, come meritava, e tutti quelli che hanno partecipato alla camera di consiglio si sono resi conto dell’importanza del problema.
Da quello che ricordo, certo ero la persona con minor esperienza del Collegio e non lo posso sottacere, ma non per questo mi sono resa meno conto dell’argomento in discussione, anche perché prima di essere destinata alla sezione fallimentare, ero stata per otto o nove anni presso la seconda sezione che si occupava della materia commerciale, quindi non mi sfuggivano certi argomenti né certe valutazioni anche se, dal punto di vista della materia fallimentare, ero meno esperta di altri giudici che in quel momento erano nella sezione. Certamente, senza togliere nulla a me stessa, devo dire che fra i tre componenti del Collegio, ero la meno esperta, ma questo non vuol dire che non mi sia occupata della questione con l’attenzione che meritava. Per quello che posso ricordare, fu compiuto allora un esame di tutti i requisiti richiesti per l’ammissione al concordato preventivo. Non si sono fatti discorsi che fossero diversi per questa situazione rispetto ad altre di minore importanza e questo era quello che doveva essere fatto. Mi sembrò, in definitiva, che si fece tutto quanto era necessario, si verificarono le condizioni soggettive, e la presenza del pubblico ministero fu assicurata dalla richiesta di parere (non posso ricordare se intervenne direttamente). La camera di consiglio si svolse ordinatamente, secondo le solite regole, salvo per il fatto che era costume, all’epoca, che avvenisse con tempi dilatati rispetto alle normali camere di consiglio.
Cosa posso ricordare di diverso? L’unica cosa sulla quale non sono certa è di aver letto il provvedimento appena fu steso, anche perché credo che nessun presidente estensore sia tenuto a mostrare o a far leggere il provvedimento agli altri componenti. Di norma il provvedimento viene letto dal presidente che lo deve firmare: se si è componenti del Collegio e il presidente è estensore, sarebbe molto scorretto e anche insolito chiedergli di leggere il provvedimento. Comunque, l’ho letto non so se nell’imminenza della sua emanazione o poco tempo dopo; non posso giurare di averlo letto prima della sua emanazione. Quello che ricordo è che mi colpì perché si atteggiava a provvedimento assolutamente normale, non molto diverso dai provvedimenti che si adottano nei normali procedimenti di concordato preventivo. Questa normalità si spiega considerando gli elementi caratterizzanti di questa fase e cioè con il fatto che la cognizione, in sede di concordato preventivo, è sommaria; siccome si parla di un giudizio di prevedibilità che il tribunale compie, non si può estendere l’esame oltre quello che in quel momento il tribunale ha a disposizione. Noi avevamo a disposizione tutti gli elementi per una decisione e di conseguenza fu normale anche il provvedimento. Lo lessi forse 20 giorni dopo, non mi sembrò educato chiedere al presidente di leggerlo prima della firma.
APICE. Confesso che non ho consultato gli atti, se sarà necessario lo farò. Rispondo quindi soltanto in base alla memoria che è piuttosto lacunosa, perché parliamo di fatti molto lontani nel tempo.
Il mio ruolo nella vicenda della procedura concorsuale della Federconsorzi, se ricordo bene, è limitato a due momenti. Partecipai al momento delibativo del decreto di ammissione alla procedura e poi successivamente, ma sempre in quel torno di tempo, cioè verso la fine di luglio, in assenza del presidente Greco, che era il giudice delegato, sono stato giudice delegato per qualche giorno prima della mia partenza per le ferie.
Veniamo al primo atto di questo mio interessamento alla vicenda Federconsorzi. Si trattava di decidere sull’ammissione della Federconsorzi al concordato preventivo. Il momento dell’ammissione alla procedura di concordato, così come per il fallimento, avviene in maniera molto sommaria, come prescrive la legge fallimentare, cioè i problemi, i nodi che stanno dietro una procedura concorsuale vengono rinviati alla discussione nella fase successiva, al contraddittorio e, nel caso del fallimento, al momento di decidere l’opposizione al fallimento, se c’è stata opposizione. Nel caso del concordato preventivo, viene rinviata la discussione approfondita del tema che riguarda quel dissesto al momento della omologazione, cioè quando c’è stata già l’ammissione alla procedura e si sono svolte tutte le formalità, tutti gli adempimenti e gli atti che portano il tribunale, anche a seguito dell’esame di eventuali opposizioni dei creditori, ad avere una visione completa di tutte le problematiche sottese. C’è dunque un primo momento che, come prescrive la legge, è molto sommario, di esame e di analisi della situazione. In pratica, per farvi capire come avvenivano le cose e forse come avvengono anche oggi presso tutti i tribunali, c’è una mattinata della settimana dedicata alle dichiarazioni di fallimento e all’esame delle domande di procedure concorsuali alternative. In quella mattinata i giudici, che pure hanno altri impegni in quanto giudici delegati o istruttori, si affacciano nella stanza del presidente dove si svolge una camera di consiglio fiume che dura per qualche ora o per tutta la mattinata. In quella sede, tutti i giudici che sono stati delegati all’istruttoria di domande di fallimento o di procedure concorsuali minori riferiscono molto sommariamente e brevemente sulle procedure. Anzi, per lo più, quando si tratta di dichiarazioni di fallimento, i relatori si limitano a dire che va dichiarato il fallimento di una certa impresa, la camera di consiglio si limita a prendere atto della dichiarazione e nomina il professionista e il giudice delegato a quella procedura. Questo perché in una mattinata ci sono varie decine di dichiarazioni di fallimento e qualche apertura di procedura concorsuale minore. Tutto avviene in una maniera molto sommaria, salvo che il relatore non abbia captato una particolare singolarità di una situazione e voglia mettere la camera di consiglio al corrente di tutti i problemi che ha colto in una certa vicenda.
In verità, vi devo confessare che non ricordo affatto se c’è stata una disamina sulle condizioni che potevano far ammettere la Federconsorzi al concordato preventivo. Ex post, dalla sentenza di omologazione, a firma del giudice Greco, ho saputo quali e quanti problemi si ponevano e come sono stati affrontati e risolti dalla stessa sentenza, che è diventata oggetto di studio sulle riviste del settore, proprio come esempio di sentenza di omologazione di concordato.
Per quello che ricordo io, il decreto di ammissione non dava luogo a particolari problemi, o forse mi sono allontanato dalla stanza; non so esattamente che cosa sia accaduto. Forse è stato ritenuto un decreto come tutti gli altri, cioè ammissivo della procedura, che intanto doveva ottenere il placito del voto di consenso dei creditori, e poi si sarebbe passati all’esame della convenienza, delle condizioni e di tutto quanto rende omologabile un concordato preventivo. Nel mio ricordo la prassi era questa (ricordiamo anche gli anni in cui vivevamo queste esperienze): si ammetteva con una certa larghezza il concordato preventivo, così come si ammettevano con una certa larghezza le amministrazioni controllate, salvo poi verificare in un secondo momento, insieme ai creditori e dopo il voto di questi, se veramente quella situazione era meritevole di una procedura alternativa al fallimento.
Quindi è probabile che non ci sia stata una grande discussione. Ora sento però che la dottoressa De Virgiliis ricorda che ci fu.
DE VIRGILIIS. Dilatata.
APICE. Sinceramente mi sfugge: potrebbe non esserci stata o potrei non averla colta. Potrebbero essere tanti i motivi. Comunque non mi sarei meravigliato se non ci fosse stata un’approfondita discussione perché questa era la prassi per tutte le procedure. Era il relatore a mettere al corrente la camera di consiglio di eventuali problemi di particolare natura che si evidenziavano, altrimenti si diceva: questo va dichiarato fallito, questo va ammesso al concordato, questo va ammesso all’amministrazione controllata. I problemi giuridici si rinviavano a dopo e intanto si facevano votare i creditori perché, se costoro votavano contro, il discorso era già finito, se invece votavano a favore, le problematiche giuridiche serie sarebbero state affrontate al momento dell’omologazione.
Questa fu la prima fase, però quello che ricordo che attanagliò la nostra attenzione e ci prese per qualche giorno, tant’è che il provvedimento rimaneva bloccato, quello che ci fece pensare (e ogni tanto ci consultavamo anche al di fuori della mattinata dedicata alla camera di consiglio) fu la nomina dell’organo della procedura, la nomina cioè del commissario giudiziale. Questa ci impegnò per molti giorni perché c’era una tesi secondo cui era opportuno, per quella procedura di straordinaria importanza economica, nominare un professionista "al di fuori della mischia", cioè un professionista che abitualmente non si occupava di procedure concorsuali. E io ricordo che osteggiai questa tesi perché ritenevo mortificante per gli altri professionisti, che quotidianamente lavoravano nel campo concorsuale, essere esclusi aprioristicamente proprio nella procedura più importante. Era invece la tesi caldeggiata dal dottor Greco. Passò qualche giorno e ricordo che una mattina il presidente Greco mi chiese: "Se tu dovessi scegliere qualcuno all’interno del gruppo che lavora quotidianamente con la sezione fallimentare, quali nomi faresti?". Io risposi che, solo a titolo esemplificativo, avrei potuto fare due nomi: quello del professor Picardi e quello del professor Pazzaglia. Mi rispose che ci voleva pensare e che ne avrebbe parlato con qualcun altro nel Collegio, di cui faceva parte la dottoressa Giovanna De Virgiliis. Non so se ha parlato con lei o con altri perché era nostra consuetudine, specialmente nelle questioni importanti, coinvolgere i giudici che non facevano a stretto rigore parte del Collegio. Non parlammo più di questo argomento. Seppi poi che il provvedimento era stato depositato ed esso prevedeva la nomina del professor Picardi, come commissario, e del professor Pazzaglia, come coadiutore.
Fu un esperimento nuovo: era infatti la prima volta che venivano nominati contestualmente due professionisti nel decreto di ammissione alla procedura perché di solito si nominava il commissario nel decreto di nomina e poi, magari dopo qualche giorno, veniva nominato un coadiutore. Tra l’altro, in questa occasione il coadiutore era a carattere generale; quindi, in pratica, con quel provvedimento abbiamo un po’ anticipato quello che sta diventando oggi il contenuto del progetto di riforma della legge fallimentare, in base al quale qualche volta si possono nominare non un curatore o un commissario ma due curatori e due commissari. In altre parole, con quell’espediente, il tribunale di Roma nominò due commissari: un commissario e un coadiutore a carattere generale.
Questo fu il mio primo approccio con la procedura.
Il secondo risale a qualche giorno dopo, verso la fine di luglio o comunque nell’imminenza della mia partenza per le ferie estive. Greco era già partito e io divenni giudice delegato, come mi pare fosse previsto sin dal primo momento, in caso di assenza del dottor Greco.
Di quei giorni in cui fui giudice delegato ricordo soltanto una telefonata del professor Picardi che mi annunciava una situazione di emergenza, ossia che i dipendenti della Federconsorzi stavano per proclamare uno sciopero o una manifestazione e qualcuno era salito su un tetto. Si sono succedute varie telefonate tra me e il professor Picardi per decidere come fronteggiare la situazione.
Poi o io partii o ritornò Greco - non ricordo - ma il mio ruolo nella vicenda Federconsorzi finì qui. Non ho più avuto modo di conoscere altri aspetti, né ho partecipato alla discussione per l’omologazione del concordato.
PRESIDENTE. Desidero porre una domanda proprio per quanto riguarda questo aspetto.
Vorrei sapere per quale motivo voi che avevate fatto parte del primo Collegio - cioè di quello che dispose l’ammissione al concordato - non abbiate poi partecipato ai Collegi successivi fino ad arrivare all’esito di questa vicenda, mi riferisco alla sentenza di omologazione del concordato medesimo?
APICE. Signor Presidente, questo rapporto d’interdipendenza non esiste, né c’è mai stato; da questo punto di vista l’organizzazione è del tutto casuale. Intendo dire che, alla data fissata per un’udienza collegiale in cui si discute una causa di omologazione, può essere presente un giudice o un altro, a seconda dell’anzianità di servizio, oppure più semplicemente perché in quel collegio viene a trovarsi quel giudice e non un altro.
Per quanto riguarda quel caso in particolare mi sembra di ricordare che non facevo già più parte della sezione fallimentare.
PRESIDENTE. Potrebbero essere più preciso, a quale data si riferisce?
APICE. Credo di aver lasciato la sezione fallimentare nel luglio o nel settembre 1992, giacché presi possesso del mio incarico presso la Corte d’appello nel luglio 1992, ma per essere più preciso dovrei consultare gli atti. Tuttavia, sono quasi certo che quando fu emanata la sentenza di omologazione del concordato non facevo più parte della sezione fallimentare.
PRESIDENTE. Dottoressa De Virgilis, alla data del 23 luglio 1992, quale era la sua situazione?
DE VIRGILIIS. Signor Presidente, desidero innanzi tutto confermare quanto affermato dal dottor Apice; tuttora, infatti, il Collegio che si occupa dell’omologazione può essere formato anche da presidenti diversi, credo che, nella composizione del Collegio medesimo, resti ferma soltanto la figura del giudice relatore che è il giudice delegato, mentre gli altri componenti possono cambiare.
Per quanto mi riguarda aggiungo - non l’ho detto prima perché non volevo giustificare il fatto di essere non solo la più inesperta, ma anche la più impegnata su altri fronti - che in quel periodo, precisamente dal febbraio 1991 fino al 1995, feci parte del Collegio inquirente per i reati ministeriali; ciò equivale a dire che praticamente appena arrivata alla sezione fallimentare, dopo un mese, fui chiamata a svolgere un altro lavoro, di conseguenza la mia partecipazione all’attività della sezione non fu molto intensa.
Chiedo al Presidente la possibilità di secretare le dichiarazioni che rilascerò a seguire.
PRESIDENTE. Proseguiamo i nostri lavori in seduta segreta.
I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 14,35 alle ore 14,38.
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica.
Partecipaste alla adozione del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo in modo informato, o vi affidaste al presidente?
APICE. Debbo dire che al riguardo i miei ricordi sono veramente confusi; non ricordo assolutamente in che modo si addivenne all’idea di sottoporre a concordato preventivo e non a fallimento la Federconsorzi. Rammento, invece, le discussioni sulla nomina del professionista.
PRESIDENTE. A questo proposito, il presidente Greco, quando la mise al corrente dell’intenzione di nominare un professionista esterno, già aveva in mente qualcuno?
APICE. Sì.
PRESIDENTE. Può dirci chi fosse?
APICE. Il professor Libonati. Ricordo che osteggiai questa ipotesi, non perché avessi qualcosa contro la sua persona; al contrario, sul professor Libonati non avevo alcuna riserva, ne avevo invece sul criterio, sulla metodologia della scelta.
PRESIDENTE. Perché il professor Libonati era un esterno?
APICE. Sì, il presidente Greco sosteneva che fosse opportuno scegliere qualcuno al di fuori della mischia, un esterno, una persona che non avesse mai lavorato per la sezione fallimentare, per esempio il professor Libonati.
Ripeto, non avevo prevenzioni nei confronti del professor Libonati, non condividevo tuttavia l’idea che, rispetto ad una questione importante, venissero esclusi tutti quei soggetti che avevano dato ottima prova nella sezione fallimentare.
DE VIRGILIIS. Signor Presidente, al riguardo ricordo forse più elementi del collega Apice perché per me quello fu un periodo che definirei di imprinting. Ero appena arrivata ed era ovvio che volessi partecipare in maniera più intensa all’attività svolta dalla sezione fallimentare rispetto ad una persona che era invece alle battute finali in quel settore, e questo era proprio il caso del dottor Apice; stavo perciò molto attenta a quello che accadeva perché dovevo imparare tanti particolari sulla procedura di concordato preventivo ed è probabilmente per questa ragione che i miei ricordi sono più nitidi di quelli del collega.
Ricordo innanzi tutto che mi colpì la normalità della situazione e questa non è una mia opinione personale, né - credo - del collega. Intendo dire che è tipico della procedura di concordato preventivo avere delle fasi di controllo successive all’ammissione; ad esempio è espressamente previsto dalla legge che il commissario, in virtù dei poteri a lui conferiti dall’articolo 173 della legge fallimentare, possa superare la fase del concordato addivenendo a quella del fallimento, redigendo una relazione nella quale si riferisce al tribunale tutto ciò che viene a deviare la procedura dal corso prevedibile al momento dell’ammissione e che fa scivolare e convertire immediatamente la procedura del concordato in fallimento.
Ricordo, invece, che quando venni a sapere che le scelte si stavano orientando sulla persona del professor Picardi tirai un sospiro di sollievo perché, anche se avevo poca esperienza nella sezione fallimentare, tuttavia ero consapevole che il professor Picardi tra le tante figure che avrebbero potuto essere prescelte era quello che dava maggiori garanzie e che, qualora si fossero ravvisate le condizioni, avrebbe immediatamente applicato quanto previsto dall’articolo 173 della legge fallimentare.
PRESIDENTE. Posso dedurre che non aveste la possibilità di esaminare la regolarità delle scritture contabili?
DE VIRGILIIS. Ho sentito solo la relazione, escludo la possibilità di aver messo le mani sui documenti.
APICE. Probabilmente fu così anche per me, ma corrispondeva alla prassi seguita sino a quel momento.
PRESIDENTE. Ci si riservava una seconda possibilità?
APICE. L’esame delle scritture veniva fatto solo dal giudice delegato all’istruttoria, secondo una prassi che risaliva ai quattro presidenti che avevano preceduto il presidente Greco. Il giudice delegato all’istruttoria nelle procedure minori era sempre il presidente della sezione. I presidenti della sezione istruivano le domande delle procedure minori per le amministrazioni controllate e il concordato preventivo. Era regola che il presidente relatore studiasse gli atti e comunicasse il risultato del suo esame. Non escludo neppure questa ipotesi, che probabilmente l’esame delle condizioni per l’ammissione al concordato fosse stata fatta in un giorno in cui non ero presente. E’ una ipotesi, perché non ho nessun ricordo di quella situazione. Il presidente Greco potrebbe averne discusso in una camera di consiglio allargata a tutti i presenti ed io forse in quel momento non c’ero. Poi, nel compilare il provvedimento e nel comporre il Collegio ha indicato me in quanto avevo inciso in maniera notevole nella scelta dei professionisti.
PRESIDENTE. Come si pervenne alla nomina a giudice delegato del presidente Greco?
APICE. Era automatico, secondo la prassi che ho indicato che risaliva agli anni Settanta, ai presidenti Del Vecchio, Castaldi e Palmisano.
PRESIDENTE. Se la prassi era che tutti i presidenti illustrassero in una prima fase le istanze di procedura concorsuale, non sembra che sempre i presidenti diventassero giudici delegati.
APICE. Per le procedure minori i giudici delegati erano sempre i presidenti.
PRESIDENTE. Nessun altro della sezione?
APICE. I presidenti non facevano i giudici delegati nei fallimenti ma erano quasi sempre i giudici delegati nelle procedure minori, secondo la prassi risalente agli anni Settanta.
PRESIDENTE. Dobbiamo riportarci a quel momento, alla prassi seguita fino a quel momento, poi le cose possono essere cambiate attraverso un sistema diverso, con i criteri della assegnazione automatica.
DE VIRGILIIS. Per quanto mi riguarda, ricoprendo all’epoca anche un altro incarico, non ho dovuto affrontare il problema dell’eventuale mia nomina a giudice delegato; dati gli impegni che mi costringevano a correre da un ufficio all’altro, non mi sono interessata del fatto e la decisione è stata presa senza il mio apporto.
APICE. Quanto ho detto fa salva qualche eccezione e trova conforto in un ricordo preciso: durante la mia permanenza presso il Tribunale fallimentare di Roma (circa 16 anni), io sono stato giudice delegato per centinaia di fallimenti, ma solo per due o tre concordati e forse per una sola amministrazione controllata.
PRESIDENTE. Vi ringrazio per il vostro intervento e dichiaro conclusa l’audizione.
Il seguito dell’indagine è rinviato ad altra seduta.
I lavori terminano alle ore 14,50