Audizione Pavan - Cattanro

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SENATO DELLA REPUBBLICA-------------------------------------------------CAMERA DEI DEPUTATI XIII LEGISLATURA


COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL DISSESTO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DEI CONSORZI AGRARI __________



RESOCONTO STENOGRAFICO 43a SEDUTA MARTEDI’ 7 NOVEMBRE 2000 __________


Presidenza del presidente Melchiorre CIRAMI


I lavori hanno inizio alle ore 12. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente) Presidenza del presidente CIRAMI

Comunicazioni del Presidente

PRESIDENTE. Come vi è noto, la legge di proroga, approvata definitivamente dal Senato dopo un faticoso iter parlamentare, prevede che la Commissione concluda i propri lavori entro il 28 febbraio 2001: tale ristretto termine comporta la necessità di sollecitare i collaboratori a trasmettere al più presto i risultati degli incarichi di consulenza loro affidati, obbliga ad intensificare l’attività istruttoria affidata ai gruppi di lavoro e a concludere entro il mese di dicembre le audizioni per poter poi redigere ed esaminare la relazione da presentare al Parlamento.

In relazione alla prima esigenza, ho avviato una serie di incontri con i collaboratori della Commissione al fine di verificare lo stato delle consulenze loro affidate. Il dottor Romanelli ha depositato ieri il suo contributo riguardante i crediti vantati dai consorzi agrari e dalla Federconsorzi nei confronti dello Stato e della Banca d’Italia, mentre gli altri collaboratori saranno in grado di trasmettere i loro elaborati al massimo entro la fine di dicembre.

Riguardo l’attività demandata ai gruppi di lavoro, vi informo che martedì 31 ottobre si è riunito il secondo gruppo di lavoro, coordinato dal senatore D’Alì, al fine di esaminare una nota di sintesi degli accertamenti condotti dagli ufficiali della Guardia di finanza, nostri consulenti, sull’attività di dismissione del patrimonio della Federconsorzi posta in essere da SGR. Il senatore Magnalbò mi ha informato che convocherà quanto prima il primo gruppo di lavoro, al fine di esaminare una bozza di ricostruzione delle vicende relative alla Federconsorzi antecedenti al commissariamento. Per quanto riguarda il terzo gruppo di lavoro, coordinato dal senatore Pasquini, sarebbe opportuno che venissero verificate le prime risultanze degli accertamenti condotti dai collaboratori incaricati di esaminare la documentazione inviata dai consorzi agrari e fosse valutata l’opportunità di procedere ad ispezioni presso alcuni consorzi.

Vi informo inoltre che, a seguito dell’autorizzazione concessa dall’Ufficio di Presidenza nell’ultima riunione, il dottor Marcucci ha incontrato il dottor De Santis, consulente della Coopers and Lybrand, e ha redatto un verbale dell’incontro, copie del quale sono a vostra disposizione.

Vi comunico infine che l’Ufficio di Presidenza, nella riunione del 25 ottobre 2000, ha predisposto il seguente calendario dei lavori per il mese di novembre: martedì 7 novembre 2000, alle ore 12, audizione dei dottori Giuseppe Pavan e Agostino Cattaneo; giovedì 9 novembre 2000, alle ore 14, seguito dell’audizione del dottor Silvio Pellizzoni; giovedì 16 novembre 2000, alle ore 14, audizione del dottor Ivo Greco; martedì 21 novembre 2000, alle ore 12, audizione della professoressa Maria Martellini.

Audizione del dottor Agostino Cattaneo e del dottor Giuseppe Pavan.

PRESIDENTE. La Commissione procede oggi all’audizione dei dottori Agostino Cattaneo e Giuseppe Pavan.

Prima di dare la parola ai nostri ospiti, che ringrazio per aver accolto con cortese disponibilità il nostro invito, avverto che i lavori della Commissione si svolgono in forma pubblica, secondo quanto dispone l’articolo 7 della legge istitutiva, e che è dunque attivato, ai sensi dell’articolo 12, comma 2, del Regolamento interno, l’impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Qualora da parte dei due auditi o dei colleghi lo si ritenga opportuno, in relazione ad argomenti che si vogliono ritenere riservati, disattiverò l’impianto audiovisivo per il tempo necessario.

Preciso infine che dell’audizione odierna è redatto il resoconto stenografico, che sarà sottoposto ai sensi dell’articolo 12, comma 6, del Regolamento interno, alle persone ascoltate e ai colleghi che interverranno, perché provvedano a sottoscriverlo, apportando le correzione di forma che riterranno in vista della pubblicazione negli atti parlamentari.

Alla Commissione risulta che i dottori Pavan e Cattaneo furono incaricati dalla Federconsorzi di eseguire un’indagine conoscitiva (economica, finanziaria e patrimoniale) del bilancio della Fedit chiuso al 31 dicembre 1988, per individuare le grandi "aree-problema" e le questioni specifiche da affrontare prioritariamente. Tale indagine si trasfuse in una relazione che è agli atti della Commissione.

Il dottor Cattaneo, secondo quanto affermato dal dottor Silvio Pellizzoni nel corso dell’audizione del 23 settembre 1999, ebbe anche il compito di valutare i debiti della Federconsorzi, di entità miliardaria, che furono, successivamente, cancellati.

Vi prego di riferirci preliminarmente: quale attività svolgevate nell’anno 1989; se operavate stabilmente in associazione; quali rapporti avevate con lo studio Metodo di Gianluca Ponzellini e con lo studio Provasoli; quali esperienze avevate maturato nell’analisi e nella revisione dei bilanci; quali rapporti avevate o avete con Silvio Pellizzoni.

CATTANEO. Per la precisione, mi chiamo Agostino Cattaneo Trissino da Lodi.

Le mie esperienze professionali sono le seguenti: per 15 anni, fino al 1987, ho lavorato in una società di revisione che oggi si chiama KPMG; dal 1987 fino alla fine del 1988 sono stato direttore generale della Casa editrice Einaudi di Torino; successivamente, ho svolto un breve periodo di attività professionale, essendo anche dottore commercialista iscritto all’ordine di Milano, che ha coinciso con il periodo della consulenza di cui trattiamo; successivamente a quella consulenza, che ho terminato nel marzo del 1990, e ad altre che ho svolto in quel periodo, dal maggio 1990 sono dirigente, con incarico di direttore generale, della società che si chiama GB Paravia-Bruno Mondadori editori, nata il primo gennaio di quest’anno, dal conferimento di due società, cioè la Edizioni Bruno Mondadori e la GB Paravia di Torino.

Per quanto riguarda i rapporti con lo studio Metodo e lo studio Provasoli: con il primo, ho collaborato circa un anno e mezzo, attorno al 1989-1990, come professionista, quindi svolgevo per loro attività di consulenza ed i lavori sulla Federconsorzi sono stati in parte fatturati dallo studio Metodo, ma li ho svolti personalmente; con lo studio Provasoli non ho avuto alcun rapporto di lavoro, se non che il professor Provasoli, docente di contabilità e bilancio all’Università Bocconi, è il mio direttore di istituto, ma non ho avuto con lui rapporti di tipo professionale.

Ho conosciuto il dottor Pellizzoni qualche mese prima dell’inizio della consulenza in Federconsorzi perché, sempre per lo studio Metodo, svolgevo attività di consulenza nella Fedital di Milano; l’ho conosciuto in quell’occasione, tramite il dottor Pavan qui presente.

PAVAN. Sono Giuseppe Pavan; ho una laurea in economia e commercio e una in giurisprudenza; sono iscritto come revisore dei conti dal 1977 e, successivamente, nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti.

Dal 1968 al 1988 sono stato manager di grandi gruppi italiani, come il gruppo SIR di Rovelli, il gruppo Max Meyer, il gruppo Bi-Invest Bonomi, il gruppo Bastogi, il gruppo Rizzoli "Corriere della sera". Contestualmente all’attività di manager ho sempre svolto attività di docenza presso la Scuola di direzione aziendale della Bocconi, sempre nell’area amministrazione e finanze.

Nel 1988 ho cessato l’attività di dirigente manager e ho iniziato l’attività professionale e l’attività di docenza come professore a contratto all’Università Cattolica di Milano, dove sono titolare di due corsi: uno di metodologie quantitative e uno di economia aziendale. Come attività di docenza, sono stato dal 1972 al 1988 docente dell’Area Finanza e Controllo della Scuola di Direzione Aziendale SDA della Bocconi. L’anno a cui facciamo riferimento è il 1989. La mia conoscenza con il dottor Pellizzoni risale alla fase iniziale della mia attività professionale, quando ero ospitato fisicamente nello studio del professor Angelo Provasoli di Milano, che è un amico dal tempo del liceo del dottor Pellizzoni. Quando quest’ultimo assunse l’incarico alla Fedital, chiese una consulenza e si rivolse per un consiglio allo studio Provasoli. Il professor Provasoli mi segnalò al dottor Pellizzoni; il mio primo incarico con lui fu alla Fedital, dove bisognava analizzare l’ultimo bilancio, quello del 1987, e preparare il bilancio del 1988. Affiancai il dottor Pellizzoni in questa attività ed anche nell’attività di analisi economico-finanziaria e strategica; pressappoco lo stesso incarico che ho poi avuto alla Fedit. Quando il dottor Pellizzoni accettò l’incarico alla direzione generale Fedit, mantenendo anche l’incarico di amministratore delegato alla Fedital, mi chiese di ripetere il medesimo intervento fatto alla Fedital anche alla Fedit. Naturalmente, considerando la dimensione della Fedit, chiedemmo - o lui chiese, non ricordo bene - aiuto allo studio Metodo sas di Milano, in modo che io potessi essere affiancato da un collega. Per tali motivi, il dottor Cattaneo ed io iniziammo come colleghi l’indagine conoscitiva sul bilancio Fedit del 1988. Attualmente svolgo attività di consulenza in economia aziendale e sempre per periodi brevi o a termine rivesto ruoli come top manager o come membro indipendente di Consigli di amministrazione. Da due anni, per esempio, sono presidente operativo di una società tessile che doveva essere risanata e ceduta, scioglierò questo incarico nel prossimo mese di aprile; è l’ultima delle mie attività di top manager. In precedenza ho fatto il top manager, quindi con un’assegnazione di incarico professionale con obiettivi precisi. L’ultima attività ha riguardato, come ho detto, un’industria tessile, in precedenza un’industria farmaceutica, la società connessa al casinò di San Vincent, la Barilla nel mondo alimentare e la Raggio di sole nel settore agricolo. Ho portato quindi la mia competenza specifica di manager anche come attività professionale. Penso di aver delineato il mio scenario professionale individuale.

PRESIDENTE. La Federconsorzi vi conferì l’incarico di eseguire un’indagine conoscitiva sul bilancio del 1988. Esaurito l’incarico, avete prestato entrambi ulteriore, successiva attività di consulenza per conto della Fedit? Se sì, in quale veste? Ha riguardato i bilanci successivi? Se sì, quali? Essa si è tradotta in elaborati? In tal caso, dove sono? Avete forse affrontato il tema del consolidamento dei debiti?

CATTANEO. Dopo l’incarico ricevuto che ha prodotto la relazione da lei citata, ho proseguito una attività di consulenza, questa volta con lo studio Metodo, fino ai mesi di febbraio e marzo del 1990. Dopo ho lasciato e, come ho detto prima, ho cambiato attività, poiché sono passato dalla consulenza ad un’azienda. In quella circostanza, la mia consulenza si è concretizzata nella collaborazione con tre dirigenti amministrativi della Fedit e con il direttore amministrativo dottor Bambara - che, mi sembra, era appena arrivato - nell’impostazione del bilancio 1989. In quella veste, ho suggerito il modo di impostare il bilancio dal punto di vista formale, perché dal punto di vista sostanziale non fu effettuata alcun revisione contabile e quindi nessun accertamento dei numeri che erano sottesi ai documenti di quel bilancio. Finito il bilancio, la mia consulenza è cessata e non ho più avuto rapporti con la Fedit o con persone ad essa legate. Non è stato prodotto alcun elaborato, in quanto mi limitavo a venire a Roma per preparare gli schemi di bilancio con i tre dirigenti amministrativi che ho prima citato. La documentazione che fu preparata era relativa al bilancio della Fedit e suppongo che sia negli archivi della Fedit.

PAVAN. Ho iniziato la mia attività insieme al dottor Cattaneo, nei mesi di luglio e agosto 1989, in cui fu subito preparata la relazione, data l’urgenza della richiesta. Ho proseguito il rapporto con la Fedit fino al momento del commissariamento, quindi fino ai mesi di aprile e maggio 1991.

PRESIDENTE. La sua attività di consulenza si è tradotta in elaborati?

PAVAN. Era solo un’attività di consulenza. Sono stato spesso a Roma, dove il dottor Pellizzoni aveva creato vari gruppi di lavoro, sia interni sia esterni, sia nell’area amministrativa sia nell’area para-amministrativa (ad esempio, l’inventario del patrimonio immobiliare, quindi un aspetto trasversale alla contabilità). Assistevo questi gruppi di lavoro, offrendo il mio contributo professionale sia come esperto amministrativo e finanziario sia, soprattutto, come manager. Il filo conduttore era quello di portare la Federconsorzi alla certificazione del bilancio, il cui traguardo era il 1991-92. Ho assistito tecnicamente i dottori Bambara e Pellizzoni nel bilancio 1989 e nel bilancio 1990, che era il primo bilancio consolidato della Federconsorzi, che ha richiesto un lavoro massacrante di coordinamento e di assistenza al dottor Bambara. Abbiamo dovuto riunire tutti i direttori amministrativi di tutte le società controllate per spiegare loro che cosa era un bilancio consolidato e che cosa avrebbero dovuto fare affinché la Federconsorzi potesse poi realizzare il bilancio consolidato, che è stato fatto nel 1990, e anche che cosa avrebbero dovuto fare le direzioni amministrative per preparare i sistemi amministrativi alla certificazione che il Consiglio di amministrazione di Fedit si era posto come obiettivo con il bilancio del 1991-92. Questa è stata la mia attività, che tra l’altro è riportata dettagliatamente in tutti gli statini della mia consulenza. L’emolumento era a giornata e io giustificavo le mie presenze giornaliere e che cosa aveva fatto nelle giornate di presenza, le persone che avevo incontrato e i progetti a cui avevo partecipato.

Come lei sa, il dottor Pellizzoni aveva formato tutti questi gruppi di lavoro che avevano bisogno di informazioni amministrative, contabili, eccetera. Siccome il dottor Bambara era coinvolto, lo assistevo e lo supportavo in questo tipo di ruolo.

PRESIDENTE. Questo emolumento veniva rappresentato quasi come una diaria giornaliera?

PAVAN. Contrattualmente era una diaria giornaliera con degli statini di presenza che documentavano l’attività svolta, cioè che cosa avevo fatto.

PRESIDENTE. È in grado di darci una copia degli statini?

PAVAN. Penso che siano conservati nella contabilità della Federconsorzi. Gli statini erano intestati alla Federconsorzi ed allegati alle mie fatture, pertanto sono nella contabilità della Federconsorzi.

PRESIDENTE. La vostra relazione, che io ho in copia, porta sul frontespizio la dizione "bozza". Se non ho compreso male, vi fu affidato da Pellizzoni l’incarico di analizzare il profilo economico-finanziario ed economico-patrimoniale del bilancio del 1988. Perché suggeriste come sistemare progressivamente i bilanci successivi?

PAVAN. Per quella analisi abbiano impiegato un mese e mezzo, forse meno. Avevamo la richiesta del dottor Pellizzoni di completarlo prima del periodo feriale di agosto, perché voleva portarselo in vacanza. Quindi aveva la finalità di informare il direttore generale sui primi elementi che noi riuscivano a raccogliere in merito al bilancio 1988. Poi, siccome la Federconsorzi in quel periodo era senza direttore amministrativo ormai da sette o otto mesi, perché questi aveva dato le dimissioni all’inizio dell’anno, in più la direzione amministrativa aveva iniziato ad operare con il sistema informatico che mi sembra si chiamasse "Orchidea", che ha causato una serie enorme di complicazioni, su cui poi eventualmente possiamo anche intrattenerci, in quei due mesi noi abbiamo raccolto tutte le informazioni possibili, attraverso il personale che era allora presente, e quindi alcune valutazioni che noi avevamo fatto in questo tipo di rilevazione meritavano un approfondimento successivo.

Faccio una premessa: se si fosse partiti dalla pregiudiziale che la direzione amministrativa funzionava benissimo e che aveva dei grossi esperti di bilancio, leggendo il bilancio del 1988 si poteva anche dire che era stato politicamente orientato; ma noi, in quel mese e mezzo in cui abbiamo svolto il nostro lavoro e come risulta dalla parte finale della relazione, abbiamo rilevato carenze professionali e di uomini della direzione amministrativa che non potevano non dare luogo ad un bilancio tecnicamente mal fatto. C’erano delle cose inspiegabili da un punto di vista di tecnica di bilancio in quel bilancio del 1988, che poi si sono rivelate come il frutto di una carenza tecnica da parte della direzione amministrativa. Possiamo anche dire che la direzione amministrativa era lasciata abbastanza sola nella formulazione del bilancio, inoltre non esisteva la cultura che il bilancio è anche uno strumento informativo per gestire: era un obbligo dato dalla legge istitutiva della Federconsorzi che bisognava assolvere ogni anno e lo si faceva in qualche maniera.

Quindi, tutta una serie di affermazioni che noi abbiamo fatto in quella relazione, sempre usando il condizionale, era proprio perché ci sembrava impossibile che tecnicamente si potesse fare un bilancio così come noi l’avevamo rilevato. Da qui l’esigenza di programmare successivamente tutta una serie di interventi, anche perché, signor Presidente, il bilancio del 1988 noi l’avevamo esaminato nella prospettiva di arrivare al bilancio consolidato e alla certificazione di tutto il bilancio consolidato della Federconsorzi, non c’erano altre finalità. Il problema si poneva nei seguenti termini: diteci tecnicamente come è fatto il bilancio del 1988, analizzate le carenze e stimate quanto tempo ci vuole per arrivare alla certificazione del bilancio.

PRESIDENTE. Era questo l’obiettivo del dottor Pellizzoni?

PAVAN. Non solo di Pellizzoni, ma anche del Consiglio d’amministrazione che in più esternazioni diceva che per il 1989 ci sarebbe stato un bilancio certificato, tant’è vero che noi nella relazione raccomandiamo al dottor Pellizzoni di frenare i diversi amministratori che pubblicamente affermavano che nel 1989 il bilancio era certificabile.

Vorrei fare un intervento tecnico: perché un bilancio sia certificabile la società di certificazione chiede che sia in un certo senso certificato lo stato patrimoniale finale dell’anno precedente. Quindi, al limite, il 1989 tecnicamente non poteva essere certificato perché non era ancora certificato lo stato patrimoniale del 1988. Quindi non si poteva certificare il 1989 e per il 1990 si poteva certificare solamente se la società di certificazione avesse avuto un incarico formale dall’organo istituzionale. Quindi gli amministratori erano stati non dico improvvidi, quantomeno non tecnici nel dire che il bilancio della Federconsorzi era tecnicamente certificabile nel 1989.

PRESIDENTE. Nel vostro elaborato avete scritto che il bilancio della Federconsorzi relativo all’anno 1988 era, sotto il profilo formale, profondamente atipico. Poiché un bilancio non sembra poter essere classificato come tipico o atipico, ma rispettoso o non rispettoso delle norme civilistiche e tributarie, corretto o non corretto, veridico o non veridico, volete spiegare alla Commissione, con linguaggio giuridico e tecnico, come si doveva definire il bilancio da voi esaminato? La atipicità non è un argomento giuridico.

CATTANEO. Intanto credo di dover fare una premessa su questa relazione che fu commissionata come documento puramente interno dalla direzione generale della Federconsorzi, tanto che, come lei prima ha precisato, non è mai stata fatta una versione finale di questa relazione, perché per esempio gli estensori non l’hanno mai firmata. Questo è un aspetto ovviamente da tener presente anche nell’accezione che lei ci ha chiesto di spiegare perché allora si trattava di una relazione destinata al dottor Pellizzoni, fatta in un periodo molto breve su problemi molto complessi e che doveva dare una prima indicazione della situazione. Forse più che curare l’aspetto di definizione formale, allora pensammo alla sostanza dei problemi e quindi alcune definizioni che qui possono essere state usate non avevano neanche allora la pretesa di essere giuridicamente ineccepibili. Certo, se avessimo supposto allora come poi questa relazione sarebbe stata esaminata, probabilmente avremmo usato forme diverse.

PRESIDENTE. Il fine della mia domanda è capire in cosa consista questa "atipicità", indipendentemente dall’esattezza o meno dell’aggettivazione giuridica. Specificatamente, nella stesura del bilancio erano state violate delle norme oppure no?

CATTANEO. A pagina 4 noi dicevamo: "Sotto il profilo formale il bilancio va considerato profondamente "atipico" in quanto evidenzia le seguenti anomalie che dovranno essere corrette con il bilancio 1989".

La risposta alla sua domanda può essere rinvenuta nelle successive spiegazioni che confermavano cosa per noi significava essere "atipico".

Vorrei anche far rilevare che noi abbiamo premesso che la nostra valutazione si limitava al profilo formale perché - come ho detto - la relazione fu preparata semplicemente sulla base di incontri che noi avemmo con i responsabili amministrativi della Federconsorzi senza analizzare nulla della sostanza; semplicemente prendemmo atto delle loro dichiarazioni e, ovviamente, dei documenti che ci furono sottoposti.

La atipicità è descritta dalle anomalie indicate nella relazione da pagina 4 a pagina 6, punti da a) a f) e nel paragrafo "Sostanza e/o contenuto".

PAVAN. Noi parliamo di atipicità nel corso di tutta la relazione. Ad esempio, avevamo rilevato una frammistione patrimoniale tra le gestioni speciali e le gestioni patrimoniali della Federconsorzi. Noi non sapevamo se giuridicamente questo fosse corretto, cioè se i debiti e i crediti nei rapporti con l’Aima o con lo Stato, dal punto di vista contabile, rientrassero nel patrimonio della Federconsorzi.

Quindi, si trattava di un bilancio estremamente atipico rispetto ad un bilancio di un’azienda privata o pubblica. Era privatistico perché la legge istitutiva della Federconsorzi in tema di bilancio richiamava le norme del codice civile allora vigenti, che erano molto meno rigorose di quelle della famosa legge n. 127 del 1991 e concedevano una discrezionalità elevatissima agli amministratori nella valutazione di molte voci di bilancio. Ma quel che allora tecnicamente più mi impressionò era che questo bilancio comprendeva sia la gestione degli ammassi (e noi non capivamo ancora bene dal punto di vista patrimoniale se i crediti e i debiti fossero responsabilità della Federconsorzi o se questa avesse un rapporto di mandatario) sia soprattutto le gestioni statali, queste ultime rappresentate nei conti d’ordine, ma influenzanti anche le voci patrimoniali dell’azienda.

Dunque, sulla base di un mese e mezzo di lavoro avevamo parlato chiaramente di bilancio atipico; non parliamo poi dei rapporti con i Cap, in cui figuravano crediti commerciali e crediti finanziari, e una parte dei crediti erano soggetti ad interessi attivi e una parte no. Si trattava di un bilancio atipico proprio da un punto di vista tecnico.

PRESIDENTE. Tenuto conto di queste anomalie o di queste atipicità da voi riscontrate, fu poi da voi eseguita una nuova e corretta classificazione delle poste e fu elaborato un bilancio 1988 con i corretti risultati dell’esercizio?

PAVAN. Direi che a questa domanda si può rispondere confrontando il bilancio 1989 con quello 1988. In questo modo si possono osservare tutte le sistemazioni operate nel bilancio 1989.

Può sembrare un paradosso, per me che ho letto le dichiarazioni del dottor Bambara, del dottor Cigliana e del dottor Pellizzoni, ma, siccome la realtà Fedit è stata poi commissariata e liquidata, uno si aspetta che se gli amministratori manipolano il bilancio lo facciano gonfiando le attività per mascherare uno stato di disequilibrio economico e patrimoniale. Invece no, dopo aver compiuto l’esame, abbiamo riscontrato che c’erano delle passività che potevano essere considerate patrimonio netto. Questo riconferma ancora le carenze tecniche di bilancio.

Le faccio un esempio. Nella relazione diciamo che sono stati "buttati" 150 miliardi di imposte, perché nei conti economici si sono utilizzate delle voci che hanno determinato un imponibile fiscale quando una politica di bilancio più attenta avrebbe fatto risparmiare queste imposte.

PRESIDENTE. Secondo la vostra opinione, si trattava solo di carenze tecniche o erano degli espedienti?

PAVAN. Questo dubbio l’avevamo a luglio e agosto. Come ho premesso, se si parte dal presupposto che la direzione amministrativa e la sua struttura sono tecnicamente all’altezza della gestione amministrativa di un colosso come la Federconsorzi, che aveva 4 mila miliardi di fatturato - e considerata la realtà dei consorzi agrari si arrivava a quasi 10 mila miliardi - cioè uno dei più grossi gruppi italiani, si poteva pensare alla finalizzazione di queste carenze tecniche. Invece, nell’analisi successiva e nella preparazione del bilancio 1989 è emerso che si trattava proprio di carenze tecniche. Quando lei paga 150 miliardi di imposte semplicemente perché non utilizza dei fondi tassati e crea dei fondi che vanno tassati, allora si tratta proprio di una carenza tecnica e, direi, un abbandono tecnico della direzione amministrativa.

PRESIDENTE. Proprio date le dimensioni del gruppo, come è ipotizzabile che si tratti solo di una carenza tecnica?

PAVAN. Le faccio un esempio che noi indichiamo nelle ultime due pagine della relazione. Quando noi siamo intervenuti, prima del cosiddetto progetto "Orchidea" che accentrava nella direzione amministrativa tutte le funzioni amministrative classiche, gran parte dell’amministrazione dipendeva dalle direzioni commerciali. La fatturazione attiva e la gestione dei magazzini erano in mano alle direzioni commerciali.

Per esempio, l’inventario fisico di fine anno, come abbiamo documentato, era costituito da elaborati manuali mandati dalle direzioni commerciali in cui si indicavano le giacenze al 31 dicembre, con i prezzi medi di acquisto delle merci.

Quindi, la direzione amministrativa era un collettore di informazioni amministrative e finanziarie non accentrate che, in maniera acritica e atecnica, raccoglieva ed elaborava contabilmente tutti i dati extra contabili che le venivano forniti.

Quando siamo intervenuti era in corso questa fase di riorganizzazione della direzione amministrativa (che precedette anche l’ingresso del dottor Pellizzoni): le società di consulenza intervenute avevano tolto dalle direzioni commerciali tutte le funzioni amministrative e le avevano concentrate nella direzione amministrativa. Però, avevano trasferito le funzioni ma non il personale amministrativo valido, che era rimasto nelle direzioni commerciali.

Lo diciamo nelle considerazioni finali. Se lei mi permette, vorrei leggere qualche riga che può dare sostanza a quanto noi diciamo e che può dare un’idea delle nostre percezioni sull’organizzazione amministrativa. Alla pagina 44 della relazione, si legge: "Il lavoro da noi svolto ci ha permesso di percepire un profondo disagio nella Direzione Amministrativa, determinato dal contrasto tra quantità e complessità dei problemi da risolvere e quantità e qualità delle risorse umane disponibili.

Ricordiamo che gli Uffici Amministrativi sono stati negli ultimi due anni i soggetti passivi di tre importanti eventi non ancora assorbiti: l’esodo volontario incentivato, l’accentramento amministrativo, l’avviamento del software "Orchidea".

Se si scorre questa pagina del documento, si può avere un’idea del caos amministrativo di allora, emblematicamente rappresentato da una voce del bilancio 1989, che ho seguito tecnicamente con il dottor Bambara, in cui è infatti riscontrabile un elemento oggettivo di tale caos; risultano al 31 dicembre 1989, circa 350 miliardi di fatture da emettere. Nei mesi precedenti la fine dell’esercizio la merce era stata consegnata ai clienti ma, al 31 dicembre 1989, non erano ancora state emesse le fatture attive, proprio perché il sistema non era in grado di emetterle. Quando una società è costretta a rilevare, a livello di bilancio, 350 miliardi di fatture da emettere, di cui una parte di esse era forse già scaduta come pagamento, significa che il sistema amministrativo non funziona. Si può avere, quindi, qualsiasi sorpresa a livello di bilancio, sia nel bilancio che si chiude sia in quello successivo. Possiamo parlare se non di caos amministrativo, di carenza amministrativa, sia come quantità sia come qualità.

PRESIDENTE. Il bilancio 1988 è stato ricostruito o no? C’era o no l’obbligo di concluderlo in attivo? Il risultato reale e l’obiettivo vero del lavoro quali erano?

CATTANEO. A questa domanda non sono in grado di rispondere. Quando siamo arrivati, il bilancio 1988 era stato concluso e quando lo abbiamo esaminato era già stato approvato dall’assemblea dei soci.

Vorrei precisare, a complemento di quanto detto dal dottor Pavan, che mi trova concorde, che quando in una società manca quello che tecnicamente si chiama sistema di controllo interno, è difficile poi risalire alla volontà o meno del verificarsi di determinati errori. Se sono poi cause tecniche o di altro genere, è impossibile comprenderlo. Per quanto riguarda quello che è successo in quegli anni, anche se non conosco il precedente sistema amministrativo della Federconsorzi, so che nel 1989 il rimescolamento organizzativo aveva creato enormi problemi, tipo quello cui accennava il dottor Pavan, ma anche altri, per esempio le competenze di periodo che non si comprendevano ecc. La situazione amministrativa dal punto di vista tecnico era molto complessa e andava oltre i numerosi problemi esistenti in un simile bilancio che, come ha detto prima il dottor Pavan, era atipico anche per le nostre esperienze, che erano più legate a società industriali o commerciali.

PRESIDENTE. Quale era la condizione generale delle scritture contabili? Erano attendibili, erano complete, erano carenti, mancavano elementi?

CATTANEO. Le posso dare una risposta, ovviamente nei limiti del lavoro che ho svolto personalmente e ben undici anni fa. Le scritture contabili erano in una situazione molto precaria e fino a che punto fossero attendibili non sono in grado di dirlo. Bisognerebbe fare una revisione dei conti, che non credo sia stata fatta.

PRESIDENTE. Dottor Cattaneo, sarebbe preferibile usare i termini specifici. Accetto il termine "atipico" per quello che avete spiegato, ma qual è la verità sulle scritture contabili, così come lei le ha definite?

CATTANEO. Non posso esprimere giudizi non avendone gli elementi.

PRESIDENTE. Lei ha parlato di precarietà. In che cosa consisteva?

CATTANEO. Consisteva, come ha chiarito con esempi anche il dottor Pavan, in fatture non ancora emesse, in ratei…

PRESIDENTE. Per restare nel campo delle fatture non emesse, poteva esserci il sospetto che si trattasse di fatture da emettere per prodotti mai venduti?

CATTANEO. In quel momento, assolutamente no. Credo che fosse un problema derivante dal caos amministrativo esistente.

PRESIDENTE. Ma 350 miliardi non sono roba da poco. C’era una riserva di fatture che si pensava poi di emettere?

CATTANEO. Non credo, perché poi, di fatto, sono state emesse e quindi non penso che ci fosse alcun problema del genere. La consecutività dei bilanci è stata poi comunque assicurata dal bilancio 1990 e se fossero state emesse fatture a fronte di niente, nel 1990 sarebbero poi emerse. Credo invece che la fatturazione, se non ricordo male, funzionava sulla base di documenti di vario tipo che le direzioni commerciali inviavano. Se l’amministrazione non recepiva quei documenti, non fatturava, e se le direzioni commerciali, per vari motivi, tardavano a inviarle, le fatturazioni venivano emesse in ritardo. Mancava quello che, nel nostro linguaggio tecnico, si chiama un efficiente sistema di controllo interno. Questa mancanza porta spesso a scritture contabili problematiche, almeno questo mi dice la mia esperienza.

PAVAN. Signor Presidente, lei ha posto un problema tecnico, se il non evidenziare delle fatture da emettere possa creare un risultato economico diverso. La risposta è negativa, poiché se lei non avesse quelle fatture per 350 miliardi, le avrebbe come inventario contabile. Se lei vende una merce e la fa uscire dal magazzino con la data del 31 dicembre, non emette la fattura. Se lei invece considera che al 31 dicembre ci sono anche le merci che non ha fatturato, in termini economici questo tipo di problema non si crea. Poiché ho vissuto anche i bilanci posteriori, posso dare una risposta alle sue domande. Eravamo molto preoccupati per il magazzino perché, nelle nostre valutazioni, avevamo notato che la documentazione proveniente dalle direzioni commerciali non era contabile, ma indicava al 31 dicembre le merci esistenti in tutta Italia. Esistevano, infatti, decine e decine di magazzini sparsi in tutta Italia, quindi le merci erano in molti punti fisici. Se non si ha un sistema informatico di rilevazione, bisogna accettare i dati forniti. Quando il dottor Bambara, con un lavoro al di fuori dell’ordinario, è riuscito a fare un inventario fisico alla fine del 1989, non riscontrammo grandi differenze contabili. Erano infatti irrilevanti. Quello che noi rilevavamo come magazzini contabili alla fine del 1988, veniva poi confermato dal magazzino fisico, in quanto c’erano differenze accettabili. Questa verifica ci preoccupava moltissimo perché se qualcuno vuole gestire in maniera disonesta, per esempio se un commerciale vuole vendere senza fattura, bisogna avere un sistema amministrativo efficace che lo blocchi. Però se non c’è, quando si fa l’inventario fisico la merce venduta senza fattura risulta mancante. L’inventario fisico che abbiamo fatto nel 1989 ci ha tranquillizzati anche sull’attendibilità dell’inventario fisico del 1988.

DE CAROLIS. Quando nell’Ufficio di Presidenza si stabilì di procedere all’audizione odierna prima della chiusura di una fase istruttoria molto approfondita in alcuni aspetti, travagliata in altri, era comune l’esigenza - che del resto ha ribadito nei suoi interventi il Presidente - di accertare se la situazione contabile della Federconsorzi fosse quella che si evidenziava dai vostri atti contabili e dalla stessa relazione, oppure quella che poi ha portato a soluzioni drastiche e così clamorose.

Ho ascoltato attentamente la serie di risposte e ho la sensazione, per non dire la certezza, che alcune risultanze contabili della vostra relazione - lo dico con tutto il rispetto - siano un po’ ad usum delphini, anche perché in quel momento era prevalente la tendenza a non diffondere notizie allarmistiche sulla Federconsorzi, perché tutto sommato c’era qualcuno che pensava che anche per la Federconsorzi la provvidenza, così prodiga per chi ci crede, avrebbe provveduto a risolvere tantissimi problemi.

Io insisto ancora su un quesito ricorrente: i bilanci che voi avete esaminato come esperti scelti, tra l’altro, da uno studio molto quotato non solamente a livello lombardo ma in tutta Italia, quei bilanci erano corrispondenti alla realtà oppure, come credo, tenevano conto dell’esigenza, che io ho detto, di nascondere quella che era la realtà reale della Federconsorzi?

PRESIDENTE. Vorrei avvertire che noi abbiamo l’esigenza di avere il massimo della chiarezza e dell’onestà intellettuale da parte dei nostri ospiti. Inoltre, se dovessero ritenere di dover dare riservatezza alle loro dichiarazioni, possiamo interrompere il collegamento esterno.

PAVAN. Senatore De Carolis, parto con una battuta: era un bilancio autolesionistico, perché leggendo il bilancio del 1988, ma anche del 1989, così come del 1990, il patrimonio netto della società avrebbe potuto essere evidenziato in maniera maggiore. Se il dubbio sollevato dal senatore De Carolis fosse vero e cioè che sia stato fatto il tentativo di mascherare la reale situazione patrimoniale e finanziaria della società, allora quei bilanci sono autolesionistici, perché non si sono gonfiati i valori delle attività e non si è fatto emergere un enorme fondo rischi, costituito dalla famosa posta di 350-360 miliardi che era stata apportata nei debiti. Allora, se io voglio far apparire il bilancio più roseo di quello che è, prendo questa riserva, che considero occulta, e la porto a patrimonio netto per cui quest’ultimo non è più di 46 miliardi ma è di circa 500 miliardi. Inoltre, alla fine del 1988, sulla base di quello che è poi risultato chiaro negli anni ‘89 e ‘90 erano a disposizione anche molti fondi del passivo che avevano cessato la loro funzione originaria e quindi erano disponibili come patrimonio.

Pertanto, se la finalità era quella di mascherare uno stato di difficoltà, ripeto che il bilancio era autolesionistico. Con questo non so se ho risposto alla domanda. Potremmo anche andare a vedere le singole poste, ma se lei, senatore, mette a confronto come ulteriore esempio il bilancio del 1989 con il bilancio del 1988, tecnicamente gli amministratori hanno fatto emergere mi sembra circa 300 miliardi di fondi che avevano esaurito le loro finalità specifiche e che non sono stati portati a coprire perdite del 1989, ma hanno concorso ad incrementare il rischio crediti verso i consorzi agrari nel frattempo emerso. Si tratta di una scelta che avrebbe potuto forse essere fatta prima, come ho letto con molto interesse nella relazione dei periti a difesa e - mi si passi il termine - ad accusa. Altro esempio: i crediti verso i Cap erano esigibili o no? Noi ci siamo posti l’interrogativo in questa relazione scrivendo che avremmo approfondito il quesito successivamente in quanto c’erano talmente tanti fondi che avevano forse esaurito la loro finalità originaria e che avrebbero potuto essere convertiti in rischi su crediti. Quindi era un bilancio, dal punto di vista da lei sollevato, masochistico o autolesionistico, perché dava una situazione peggiore di quella che in realtà era la Federconsorzi nel 1988.

DE CAROLIS. Dottor Pavan, io ho vissuto in Parlamento quella fase degli anni 1988-1989 ed ero alla Commissione agricoltura della Camera; il presidente era l’onorevole Bruni, espressione della Coldiretti ed è una cosa nota ormai da più parti che la Coldiretti in quel periodo, ma anche antecedentemente, eleggesse un congruo numero di parlamentari di una forza politica che aveva un peso non secondario nel Parlamento del nostro Paese. Allora le considerazioni che sto svolgendo tengono conto di questa circostanza, anche perché, nelle audizioni che abbiamo svolto, sia il presidente del Consiglio di un anno dopo, Andreotti, sia il sottosegretario alla presidenza Cristofori, hanno evidenziato, hanno teso a sottolineare la situazione deficitaria della Federconsorzi che si protraeva da anni. Tra le tante reticenze su questo aspetto nessuno è stato reticente: nessuno ha detto che la Federconsorzi era stata commissariata per il fatto che ci fosse stato, per esempio, un colpo di testa di qualcuno. Quindi sono convinto, me lo perdonerà, che anche da parte vostra ci sia stato un tentativo di mascherare quella che era la vera realtà.

PAVAN. Siamo nel campo delle opinioni personali. Io parto dal presupposto che la Federconsorzi mi ha attirato anche come studioso, perché aveva quello che, in termini moderni, si chiama corporate governance, cioè un sistema di governo che era sbagliato ab origine. Quando lei ha una Federconsorzi i cui soci sono i consorzi agrari, che poi determinano la politica della controllante, di chi li finanzia, già in quel caso lei ha un sistema che non può funzionare. Andando al dunque: la perdita della Federconsorzi, come è emersa poi nei bilanci del 1989 e del 1990, era dei consorzi agrari, non della stessa Federconsorzi. Il sistema della Federconsorzi aveva un ruolo fondamentale. Lascio poi a lei la valutazione politica se questo avesse una finalizzazione, ma la Federconsorzi, per la legge istitutiva, era tra l’altro una grande centrale acquisti che acquistava e poi vendeva ai consorzi agrari e che istituzionalmente li doveva finanziare attraverso gli accordi con l’Aima e con lo Stato, in cui lo Stato riconosceva i finanziamenti e anche i proventi di questo tipo di servizi. Presa a sé stante, la Federconsorzi era un complesso sano, nel senso che era in equilibrio sia economico, sia patrimoniale.

La testimonianza di questo - e mi dispiace che eventualmente gli esperti non abbiano letto il bilancio 1986-1987 come ciascuno di noi può leggere - è data da un fondo, che tecnicamente si dovrebbe chiamare utili non distribuiti, ma che nel bilancio è denominato fondo organizzazione. Ebbene, in sede assembleare, la Federconsorzi utilizzava questo fondo con una rinuncia ad una parte dei crediti nei confronti di tutti quei consorzi agrari che non avevano ancora redatto il bilancio ma che presumibilmente avrebbero rilevato un patrimonio netto negativo. Quindi, per evitare la probabile messa di questi consorzi in liquidazione coatta amministrativa, la Federconsorzi rinunciava formalmente a propri crediti in sede assembleare, ipotesi peraltro prevista dal codice civile anche per le società private.

Lei può leggere, nei bilanci del 1986 e del 1987, che si tratta di ammontari di circa 100 miliardi. Quindi si può misurare la perdita che generavano i consorzi agrari in questa copertura delle perdite ad opera della Federconsorzi, che rinunciava ad una parte dei crediti che aveva nei confronti dei consorzi stessi. Queste praticamente erano delle riserve trasparenti che venivano utilizzate in sede assembleare su proposta del Consiglio di amministrazione per coprire i patrimoni netti negativi presunti dei consorzi agrari meno efficienti.

Che poi ci sia l’anomalia che chi approvava questa distribuzione erano gli stessi beneficiati, questo fa parte della contraddizione che c’è nella legge istitutiva della Fedit e dei consorzi agrari. Quindi, l’emorragia patrimoniale ed economica era data dai consorzi agrari; peraltro questo era emerso già nella prima fase di analisi e precisamente nel primo studio fatto dal dottor Pellizzoni, che riportava una lista di tutti i consorzi agrari che dovevano essere messi in liquidazione coatta amministrativa; forse il Ministero dell’agricoltura non aveva probabilmente il potere politico per farlo.

L’emorragia della Federconsorzi è quindi determinata dai consorzi agrari. Non so se ho risposto alla sua domanda, anche se forse ho messo in crisi la sua convinzione.

PRESIDENTE. Professor Pavan, vorrei capire se non c’è contraddizione in quanto lei sta dicendo, se si tiene conto che nei confronti dei Cap sono stati rilevati crediti per ingenti importi, successivamente eliminati con i fondi intervento organizzazione. Questo non è in contraddizione con quanto lei sta dicendo?

PAVAN. Il fondo organizzazione di cui parla, alla fine del 1988, consisteva in 78 miliardi, ma se lei risale ai bilanci precedenti osserverà che ammontava a qualche centinaio di miliardi. Quindi, qualunque lettore preparato tecnicamente poteva osservare che attingere a questo fondo, sui bilanci 1985, 1986 e 1987, poteva essere considerato quello che, in un’azienda privata, è la rinuncia a dei crediti. Se la Fedit non avesse rinunciato a tali crediti, che erano delle sopravvenienze attive per i Cap, questi, che non erano solvibili, sarebbero andati in liquidazione coatta amministrativa, perché avrebbero avuto un patrimonio netto negativo. Questa era la finalità del fondo organizzazione.

Tra l’altro, la Federconsorzi rispondeva a quel concetto di mutualità allargata prevista dalla legge istitutiva, con la finalità di sostenere anche i consorzi agrari che andavano in patrimonio netto negativo. Che poi il patrimonio netto negativo di quei Cap fosse fisiologico, questo era da approfondire, e noi non l’abbiamo mai fatto, ma che tale fondo dimostrasse le perdite dei Cap è pacifico.

Per rispondere alla sua domanda, vorrei completare il mio intervento con una nota tecnica. Fino al bilancio 1988 si attingeva da questo fondo, che poi si è ridotto a 78 miliardi. Se lei analizza il bilancio 1989, dove c’è un accantonamento per rischi su crediti di tantissimi miliardi, potrà osservare che gli amministratori, secondo me in maniera tecnicamente corretta, hanno riscontrato quali consorzi agrari avrebbero registrato patrimoni netti negativi. Tradizionalmente la Federconsorzi, quando un consorzio agrario andava in liquidazione coatta, postergava sistematicamente i propri crediti, mettendosi all’ultimo posto per il recupero dei propri crediti. Nel 1989 si è fatta la sommatoria dei presunti patrimoni netti negativi dei consorzi agrari, ipotizzando che, se questi fossero andati in liquidazione coatta amministrativa, la Federconsorzi avrebbe perso almeno questa parte dei crediti, credo 180 miliardi, che a memoria dovrebbe costituire la perdita dei consorzi agrari nel 1988-1989, cioè di un biennio.

Mentre prima queste perdite venivano coperte attingendo da questo fondo organizzazione, dopo si è lasciato che una parte dei consorzi agrari andasse in liquidazione coatta amministrativa (mi sembra che il Ministero dell’agricoltura ne abbia messi 7 o 8) e la Federconsorzi si è sobbarcata il rischio sui crediti, come se li avesse postergati. Nel 1989 aveva portato a perdita - lo ricordo molto bene - tutti i crediti che aveva nei confronti dei consorzi agrari che erano stati commissariati; quindi aveva azzerato i crediti con un atto di transazione, perché queste perdite fossero riconosciute fiscalmente.

Con questo penso di aver risposto alla sua domanda.

CATTANEO. Voglio solo precisare al senatore che non credo che la nostra relazione abbia voluto sottacere volontariamente degli aspetti. Come ho detto, noi siamo dei tecnici e, nei limiti del breve spazio di lavoro che abbiamo svolto, credo che la relazione che ne è nata sia piuttosto pesante dal punto di vista delle osservazioni svolte. Quindi, mi sembra un po’ ingenerosa la critica che lei ci faceva.

Per carità, ognuno può avere le sue opinioni, però se lei ha letto - come non dubito abbia fatto - attentamente la relazione, questa di cose ne mette in evidenza. Non credo siano molte le relazioni così.

Magari non si è analizzato tutto, questo è un altro discorso, ma - ripeto - si trattava di una relazione redatta sulla base del lavoro di un mese e con la pratica impossibilità di verificare le poste di bilancio, ma si trattava semplicemente di prendere atto di quel che ci veniva detto e di qualche documentazione.

PRESIDENTE. Nel 1989 non è avvenuta alcuna concreta normalizzazione di bilancio, se non la rilevazione dei costi riferiti ad anni precedenti e collocati contabilmente nella voce "costi anni precedenti" da acclarare, che sono andati ad influenzare il conto economico.

Con la normalizzazione dei bilanci del 1990 e del 1991 è stata rilevata una perdita di oltre 2.400 miliardi. Questo come si spiega?

PAVAN. Non ho letto la relazione dei commissari del 1991 e dunque mi baso sulle testimonianze che ho letto.

Certo, se i primi commissari hanno mandato in perdita, e questa è un’altra atipicità del rapporto fra il Ministero dell’agricoltura e la Federconsorzi, tutto il credito che la Federconsorzi vantava nei confronti del Ministero dell’agricoltura e dello Stato in genere (credo si trattasse di circa mille miliardi), oppure hanno considerato persi tutti i crediti che la Federconsorzi aveva nei confronti dei Cap, quella era una perdita di liquidazione, non una perdita di gestione. Da tecnico, posso affermare che il patrimonio netto corrente della Federconsorzi, nel momento in cui è stata commissariata, era positivo, con più di 500 miliardi, e la società non era in stato di insolvenza. Possiamo capire cosa significhi stato di insolvenza dopo il commissariamento. Prima del commissariamento il sistema bancario erogava con normalità, anche se dava qualche segno di nervosismo; possiamo capire per quali ragioni il sistema bancario erogava, ma la perdita del 1990, quando ci fu il primo bilancio consolidato, che quindi ha compreso non solo le perdite della Federconsorzi ma anche quelle di tutte le società collegate, è evidenziabile in maniera trasparente, e ciò accade nell’ultimo bilancio prima del commissariamento. A parte il risultato finale, che è più o meno in pareggio, la lettura del bilancio 1990, attraverso le poste straordinarie, permette di determinare esattamente la perdita della Federconsorzi, che è una perdita derivante dai consorzi agrari. Insisto su questo punto. La perdita del 1990 della Federconsorzi è relativa ai consorzi agrari. E’ la prima volta che sento quella cifra che lei ha letto, ma se lei è in fase di liquidazione e azzera una serie di crediti perché li considera non esigibili, ritengo che siano criteri di liquidazione discutibili. Sto cercando di capire come i commissari sono arrivati a 2400 miliardi, visto che nel bilancio 1990, che unanimemente è considerato veritiero, trasparente e conforme alle leggi in vigore, si può leggere benissimo che la perdita era determinata dai consorzi agrari.

DE CAROLIS. Ho sentito parlare in generale di un sistema creditizio tranquillo, ma nel suo ultimo intervento lei ha parlato di un certo nervosismo del sistema bancario. La prego di approfondire questo aspetto, che rappresenta una novità, poiché sembrava di essere in un paradiso, in attesa di eventi miracolistici.

PRESIDENTE. Torneremo in seguito sul sistema creditizio, ma vorrei prima concludere l’argomento che stavamo esaminando.

Nel 1990, il "rischio sui crediti" era di circa 300 miliardi. Nel luglio 1991, si parlava di 1.350 miliardi, conseguentemente l’attivo era formato da crediti per lo più inesistenti.

PAVAN. Credo che questa sia un’affermazione dei commissari. I criteri di bilancio del 1990 indicavano che, se si aveva un credito verso un consorzio agrario, si analizzava il bilancio, anche preventivo, di questo. Credo che la Federconsorzi abbia chiuso il bilancio del 1990 prima che i consorzi agrari chiudessero formalmente i loro bilanci di quell’anno. La Federconsorzi aveva i bilanci 1989 dei consorzi agrari e i presumibili risultati veri dei consorzi agrari nell’esercizio 1990. Il criterio che si legge nel bilancio è il seguente. Se io ho un credito di 100 verso un consorzio agrario e il consorzio agrario ha un patrimonio netto positivo, il mio credito è valido; infatti, non c’è nessun amministratore che, di fronte ad una società che risulta formalmente debitrice e che ha un patrimonio netto positivo, annulli tale credito con un rischio sui crediti. Se invece il patrimonio netto formale o presunto del Cap era negativo, come le ho detto, la Federconsorzi considerava la postergazione di questo credito ed accantonava a rischio crediti i crediti che aveva con il consorzio agrario, per un ammontare pari al patrimonio netto negativo. In altre parole, se il consorzio agrario va in liquidazione, copre tutti i debiti con l’attivo ad eccezione di una parte, di quelli della Federconsorzi. Vorrei richiamare l’attenzione su un aspetto. Se io valuto l’attivo e il passivo di un’azienda in funzionamento, uso un certo criterio; se valuto un’azienda in liquidazione, dopo che il sistema bancario ha chiuso completamente i rubinetti, i clienti non pagano e i fornitori spariscono, è chiaro che prudentemente faccio un bilancio di liquidazione. Tecnicamente non si può confrontare un bilancio di liquidazione con un bilancio di un’azienda in funzionamento. I criteri di valutazione sono completamente diversi.


CATTANEO. Su quest’ultimo punto, non posso che confermare dal punto di vista tecnico quello che ha sottolineato il dottor Pavan, ma vorrei far rilevare che il bilancio 1989 - dopo quell’anno, come ho detto in apertura, la mia consulenza è finita - era molto più ricco di informazioni rispetto a quelli precedenti. Si introdusse per la prima volta un sistema di note esplicative che prima non era previsto. E’ un fattore tecnico, ma una cosa è leggere un conto economico dei profitti e delle perdite, come allora si chiamava, vedendo solo il risultato finale, un’altra è analizzarne le sue varie componenti. Se osserviamo il conto economico 1989, si notano alcune componenti straordinarie piuttosto rilevanti e che hanno portato poi al pareggio contabile. C’era, quindi, un problema di gestione ordinaria e di gestione straordinaria. Dal punto di vista di gestione della società, ovviamente, non è la stessa cosa. Se si è arrivati poi al pareggio contabile, è un altro discorso, ma il fatto è talmente evidente e non sottaciuto che basta leggere le note e il conto economico per intenderlo.

PRESIDENTE. Dall’analisi che voi avete potuto fare, avete riscontrato l’esistenza di una gestione riservata? Fu da voi esaminata, postulata o individuata una contabilità parallela a quella ufficiale? Vi invito a rispondere a questa domanda anche in prospettiva di una secretazione degli atti, ma ho bisogno di ricevere risposte precise, chiare ed intellettualmente oneste.

CATTANEO. Per quanto mi riguarda, la risposta è negativa.

PAVAN. Anche la mia risposta è negativa e posso portare alcune esemplificazioni, perché ricordo benissimo la situazione, dal momento che in questi giorni sono andato a rivedere gli atti in vista dell’audizione odierna. Si pensava che ci fosse un amministratore occulto nelle Confederazioni sindacali degli agricoltori e ci siamo preoccupati di verificare i rapporti patrimoniali tra le associazioni (in particolare, Coldiretti e Confagricoltura) e la Federconsorzi. Andava verificato se tutti i contributi concessi alle associazioni fossero formalmente corretti. Lo erano, così come lo era anche il cosiddetto contributo straordinario, che era composto di due contributi, uno era deliberato dall’assemblea delle associazioni all’inizio dell’anno e poi, in funzione, penso, del bilancio delle associazioni, era richiesto un contributo straordinario. Abbiamo trovato le delibere del Consiglio di amministrazione o del Comitato esecutivo, non ricordo, e quindi l’erogazione formale.

Signor Presidente, mi associo alla risposta del dottor Cattaneo, visto come funzionava l’amministrazione, nel senso che gli inventari fisici venivano dati solamente a fine anno, per cui nessuno poteva, fino al bilancio credo del 1990, dire che l’inventario fisico era anche il risultato di cessioni di beni non registrati in termini contabili. Una fonte normale per l’azienda privata di creare la cosiddetta amministrazione riservata o in nero, come si dice, è quella di sottofatturare o sovrafatturare che significa sia in quantità, sia in prezzo, questa è la fonte normale, però si devono avere in mano i magazzini e la fatturazione, mentre invece la fatturazione e i magazzini erano in mano alle direzioni commerciali fino ad un anno prima.

PRESIDENTE. L’eventuale gestione riservata, secondo quello che lei mi sta dicendo, ipotizza un’amministrazione accorta, mentre un’amministrazione caotica o atipica, per come lei l’ha rilevata, non avrebbe consentito di fare questo?

PAVAN. Oppure l’avrebbe divulgata e non sarebbe più stata riservata perché, se a determinare le fatturazioni ed i risultati di magazzino sono le direzioni commerciali, bisognerebbe anche dire che il nero lo facevano le direzioni commerciali e non la direzione amministrativa.

CATTANEO. Ho risposto molto decisamente alla sua domanda se io fossi al corrente, confermo quindi la mia assoluta decisione di risposta. Poi, che ci fossero non posso escluderlo del tutto. Quello che dice il dottor Pavan può essere anche vero, cioè che una certa confusione amministrativa in genere non facilita queste cose, sulla base delle mie esperienze professionali. Però lei ha chiesto se noi eravamo al corrente e io ho risposto di no, dopodiché mi fermo.

PRESIDENTE. Avete avuto modo di accorgervi di qualche cosa ?

CATTANEO. La risposta è sempre quella: non ho avuto sospetti, non ho avuto modo di accorgermi e nessuno me lo ha detto.

PAVAN. Signor Presidente, ho esaminato in questi giorni il perché noi dicevamo che le gestioni statali sono fuori, come mai sono fuori, perché sono nei conti d’ordine. Nella domanda che lei mi pone, tecnicamente, i fondi statali sarebbero stati un magnifico strumento per creare una contabilità separata, perché si trattava di gestioni che risalivano agli anni ’40, ’50, periodo in cui si incassava dopo il sì della Corte dei conti e questi incassi venivano portati dentro a discrezione tecnica di chi li gestiva, nel senso che, siccome non avevano rilevanza contabile, acquistavano tale rilevanza nel momento in cui l’organo statale rimborsava le spese degli ammassi degli anni ’40, ’50 e ’60. Se si fosse voluto fare una gestione riservata, quella sarebbe stata la fonte extracontabile primaria.

PRESIDENTE. Dal punto di vista finanziario, qual era la condizione della Federconsorzi e in che modo avrebbe potuto far fronte all’indebitamento già maturato? Questo nel periodo in cui voi avete avuto in osservazione i fatti della Federconsorzi.

PAVAN. In quel periodo il sistema bancario faceva a gara per finanziare la Federconsorzi, tanto è vero che c’era un gruppo di banche estere e credo che fosse quello l’anno in cui hanno erogato i 256 miliardi. Francamente ho letto gli atti: non credo neanche che le banche pensassero che ci fosse la garanzia diretta o indiretta dello Stato sui debiti della Federconsorzi, non lo credo assolutamente. Mi meraviglierei del fatto che 50 banche estere non abbiano fatto un audit legale per vedere se il garante della Federconsorzi era lo Stato, mi sembrerebbe una cosa assurda. La Federconsorzi aveva un giro di affari di 4.500 miliardi, in cui tutti gli anni incassava per 4.500 miliardi e per tale cifra acquistava. Il sistema dei consorzi agrari giungeva a 10.000 miliardi. Il sistema bancario che finanziava la Federconsorzi, poi, escluse le banche locali, era lo stesso che finanziava i consorzi agrari.

Io ho letto il resoconto stenografico dell’audizione del dottor Cigliana che mi trova in disaccordo tecnico: non è che la banca guarda il patrimonio netto della Federconsorzi, vede 46 miliardi per cui non dà una lira, perché in questa maniera non dovrebbe mai finanziare una società di servizi. Una banca va a vedere tra l’altro qual è il patrimonio netto reale, quindi i fondi cosiddetti di riserva; e se ci fosse stato un analista bancario li avrebbe aggiunti al patrimonio netto della società. Se lei prende il nostro bilancio del 1988, tutti i fondi che nel 1989 noi abbiamo recuperato assommano a 207 miliardi, con l’aggiunta di 159 miliardi si arriva a 366 miliardi che sono stati recuperati tra i componenti positivi di reddito nel bilancio del 1989: essi esistevano nel 1988, come fondi, possiamo dire, a disposizione della società, cioè erano patrimonio netto. Quindi il sistema bancario si è cautelato concedendo sempre finanziamenti a breve termine che, formalmente, potevano essere revocati nel giro di 48 ore. Questo era il deterrente che le banche hanno esercitato nei confronti degli amministratori della Federconsorzi. Loro finanziavano, ma il finanziamento poteva essere revocato in qualsiasi momento. Però nel 1988 le banche avevano liquidità eccedente. Adesso non ricordo, ma mi sembra che il dottor Bambara abbia documentato quale fosse l’utilizzo degli affidamenti dati dalle banche nel 1988: la Fedit utilizzava una minima parte dell’affidamento dato dal sistema bancario.

PRESIDENTE. Avete avuto modo di suggerire o impostare un’operazione eventualmente di consolidamento dei debiti nei confronti delle banche?

CATTANEO. Non sono in grado di rispondere, nel senso che non ha assolutamente riguardato la mia consulenza.

PAVAN. Al di là del rapporto fatto, siccome ho vissuto nella Federconsorzi fino al commissariamento, il nervosismo cui accennava il senatore De Carolis io l’ho letto nel resoconto stenografico dell’audizione del dottor Cigliana. Ho letto però che il Credito Italiano alla vigilia del commissariamento aveva già deliberato 260 miliardi di finanziamento alla Federconsorzi, che mi sembra poi il dottor Barucci abbia revocato.

Diciamo che, per quanto ho vissuto io la dialettica all’interno, il problema del consolidamento dei crediti delle banche passava attraverso il disegno di un risanamento della Federconsorzi, perché tutte le banche non avevano garanzie. Non si poteva dare una garanzia ad una banca, sarebbe stato assurdo perché tutte le banche avrebbero chiesto garanzie. Quindi, in attesa del progetto di risanamento che io ho letto, il progetto Mc Kinsey redatto nel 1989 diceva che le banche potevano consolidare i loro crediti, quindi i debiti bancari della Federconsorzi, per il periodo necessario affinchè la Federconsorzi stessa dismettesse le partecipazioni che non erano strumentali.

Quando si hanno tre società quotate in Borsa, che tra l’altro si valutano in bilancio a valore storico anziché a valore corrente come si è fatto nel 1990, e si aumenta l’indebitamento anziché cedere queste società, questo vuol anche dire che l’attivo di bilancio ha tutta una serie di beni che possono formare una garanzia reale per il sistema bancario in un disegno complessivo di risanamento, che doveva includere il risanamento dei consorzi agrari.

Presidente, insisto sul fatto che la Federconsorzi, anche sulla base del bilancio del 1990, non aveva un risultato economico in perdita se si tolgono le perdite verso i consorzi agrari, che nel 1989 e nel 1990 sono rappresentate dall’accantonamento per rischi su crediti dei consorzi agrari. L’entità di questo accantonamento è la sommatoria dei patrimoni netti negativi presunti dei consorzi agrari, perché i consorzi agrari per costituzione hanno patrimonio netto esiguo e le perdite di esercizio, se non azzerate da operazioni sui crediti verso Fedit, generavano un patrimonio netto negativo.

Per risanare il sistema Fedit bisognava però avere tempo. Da una parte il Ministero dell’agricoltura avrebbe dovuto mettere in liquidazione coatta amministrativa tutti i consorzi agrari che lo meritavano, per me rimane il mistero perché non avesse la forza politica per fare questo. Ciò avrebbe fermato un’emorragia di 200-300 miliardi l’anno nei confronti della Federconsorzi, che sono espressi nei bilanci 1989-1990 come perdite su crediti.

Nei bilanci precedenti queste sono state coperti con i famosi fondi organizzazione, perché era una riserva di utili della Fedit. Finita questa riserva, hanno pesato sul conto economico della Fedit stessa. In conclusione, sotto il profilo tecnico il commissariamento ha avuto l’effetto opposto di quello di dar tempo alle banche di consolidare i loro crediti.

PRESIDENTE. Leggo alcuni passi della vostra relazione: "voci del conto economico che (…) in parte occultano ciò che non può essere occultato (…) voci del passivo fuorvianti (…) commento al bilancio con altissimo grado di reticenza e di omissione"; in sintesi, è un bilancio "usato impropriamente per lunghissimi anni che va completamente scomposto e ricomposto nel contesto di una visione lucida e di un preciso disegno politico".

Fatta questa premessa, secondo voi: quale era stato per lunghissimi anni l’uso improprio? Quali fini erano stati perseguiti; quale era il nuovo "preciso disegno politico" che doveva ispirare il bilancio? Il bilancio non deve conformarsi soltanto alla legge?

PAVAN. Faccio una piccola premessa. Quella era una relazione per il dottor Pellizzoni, che non era un esperto di bilanci. Quindi la terminologia era mirata per attirare l’attenzione del dottor Pellizzoni su alcuni aspetti di bilancio. Si trattava di valutazioni e impressioni di un mese di lavoro, che andavano approfondite.

Io, che ho lavorato assieme al dottor Cattaneo in quel mese, sono andato a rivedere gli appunti. Quando lei trova in un bilancio - scusi se ritorno sull’argomento - che sono stati pagati 150 miliardi di imposte che avrebbero potuto non essere pagate, perché manovrando secondo il codice civile si sarebbero potuti evitare degli imponibili fiscali, è chiaro che questa è da considerare una pazzia dal punto di vista della tecnica di bilancio. Oppure, quando lei ha due o tre società quotate in Borsa che, se ha bisogno di creare dell’attivo in conto economico, potrebbe rivalutare ai prezzi medi di Borsa - come dettava il codice civile di allora - ed invece, per attenuare in maniera legittima quella che poteva essere la perdita corrente dell’esercizio, utilizza a conto economico fondi che aveva già accantonato precedentemente, regge la definizione che si occulta quel che si potrebbe non occultare e si evidenzia quel che, invece, non si dovrebbe.

Il bilancio era mal fatto dal punto di vista tecnico, nel senso che non aveva né capo né coda e quindi nessuna finalità politica o tecnica.

PRESIDENTE. Si dice al punto c) di pagina 5 della vostra relazione: "Voci del Conto Economico che in parte violano i dettami del c.c., in parte evidenziano risultati particolari che possono non essere evidenziati ed in parte occultano ciò che non può essere occultato".

Volevamo una spiegazione su questo. Quali erano queste parti del conto economico che violavano le norme del codice civile?

PAVAN. Noi l’abbiamo evidenziato dopo. Per esempio, anche se alcuni famosi studiosi obiettano, abbiamo rilevato alcuni aspetti circa l’aumento dei debiti verso i Cap e verso il sistema bancario.

Le faccio un esempio tecnico affinché lei possa capire meglio. Se lei per una vendita emette ricevuta bancaria ad un cliente, da pagarsi ad un mese presso una banca, per una determinata cifra, e lei prende questa ricevuta, la dà alla banca per l’incasso, quest’ultima mette all’incasso la cifra e gliela dà. Se lei invece chiede alla banca di anticipare quella cifra sulla base della ricevuta bancaria, tecnicamente nasce un debito verso la banca, perché quei soldi sono stati messi in cassa ed utilizzati.

Invece, nel bilancio di allora della Federconsorzi (siccome il codice civile era molto equivoco su questo punto e non c’erano ancora i principi contabili), circa 700 miliardi di crediti anticipati non apparivano nell’attivo patrimoniale ma figuravano nei conti d’ordine. I debiti corrispondenti verso le banche non erano indicati nel passivo di bilancio ma erano anch’essi iscritti nei conti d’ordine, per circa 700 miliardi.

A nostro parere in quel determinato momento si trattava di una violazione sostanziale del codice civile, anche se molti esperti sostengono che allora non si trattava di una violazione del codice civile e che non c’erano i principi contabili che regolamentassero questo aspetto.

Quando è stato fatto il bilancio 1989 si è mantenuto ancora questo criterio e si sono evidenziati tali valori ancora nei conti d’ordine. Quando è stato fatto il bilancio 1990, che era quello base da utilizzare come bilancio consolidato, in più era quello che la Coopers & Lybrand avrebbe dovuto certificare l’anno successivo, si sono portati nella struttura patrimoniale (passivo) questi debiti verso il sistema bancario, che nel frattempo erano aumentati a circa 1.000 miliardi e che erano precedentemente registrati nei conti d’ordine. La vecchia prassi già all’epoca del nostro intervento ci sembrava una violazione del codice civile perché era un debito verso il sistema bancario, ma nella prassi, prima che fossero stabiliti i princìpi contabili e prima che fosse emanata la nuova normativa sui bilanci, che però è del 1991, il codice civile non diceva nulla su questo debito, che poteva anche essere inserito nei conti d’ordine. L’esempio è eclatante. Desidero aggiungere che nella relazione ci sono altri esempi che possono esplicitare l’affermazione di sintesi citata dal Presidente. Ad esempio, a pagina 18, si legge: "Il valore del magazzino al 31 dicembre 1988 include lire 6 miliardi di macchine agricole inserite due volte per errore, ed una rettifica incrementativa di lire 42 miliardi per ’merci viaggianti’, di cui lire 32 miliardi frutto di uno storno di saldi ’dare’ di fornitori". Sono esempi di un conto economico che contiene errori e che, quindi, non risponde alle norme del codice civile.

PRESIDENTE. Parliamo di debiti. Nella contabilità risultavano debiti verso fornitori per 379 miliardi. Questi debiti, ad un certo punto, sono stati dichiarati prescritti. Abbiamo molte domande da porvi sull’argomento, alle quali, per motivi di tempo, potrete rispondere in seguito con una memoria scritta, da trasmettere alla segreteria della Commissione entro una settimana. Fu vostra l’idea di considerarli debiti prescritti? A quando risalivano? Come si erano formati? Chi erano i creditori? Erano effettivamente fornitori e di che cosa? Esaminaste la documentazione da cui risultava l’esistenza effettiva dei debiti? Dove si trovava la documentazione? Chi ne disponeva? Erano debiti fittizi o erano debiti reali? In tal caso: quale era la ragione per cui la posta era stata creata e quale funzione aveva? Chi ne era a conoscenza? Perché, secondo voi, erano una riserva? A che serviva? La storia di questi 379 miliardi che, di colpo, furono cancellati dal bilancio del 1990 ha creato molti dubbi e sospetti sulla loro natura, sulla loro provenienza, sul loro iter formativo. Inoltre, nessuno reclamò la cancellazione sotto la forma della prescrizione. Su questi argomenti, vorremmo ricevere risposte precise.

PAVAN. Quella posta era fra i debiti e non si muoveva da molti anni, come abbiamo rilevato nella relazione. Dal punto di vista tecnico, bisognerebbe bocciare in ragioneria chi l’ha inserita tra i debiti, ma era pur sempre un passivo. Adesso il codice civile, le tecniche ragionieristiche e i princìpi contabili prevedono che una cifra venga messa a debito quando il creditore è individuato, quando l’importo è certo e certa è la data in cui nasce l’obbligo. Se manca uno di questi tre elementi, bisogna inserire il debito nel fondo rischi. Quella posta, in termini ragionieristici, avrebbe dovuto essere inserita nel fondo rischi e oneri futuri. Ci si chiede: quando è stata costituita? Dieci anni prima, forse di più, come indichiamo nella relazione. Bisognerebbe controllare nei bilanci precedenti, quindi, come si era formata. Ricordo che abbiamo risalito tutte le contabilità, che erano addirittura manuali, per capirne la genesi e trovarne la chiave. Quando la Federconsorzi faceva i bandi d’ammasso, si chiedeva all’agricoltore di portare i propri prodotti ai punti d’ammasso. Il bando prevedeva quanto sarebbe stato pagato il prodotto, quale sarebbe stata l’integrazione da parte dell’Aima, quanto sarebbe stato riconosciuto dallo Stato. Ma per il rimborso dei costi di trasporto gli agricoltori dovevano presentare le pezze giustificative. Se sono un amministratore prudente e l’agricoltore, nel momento in cui mi porta la merce, non mi consegna i giustificativi di trasporto ma, in base al bando di concorso, ha il diritto di chiedermeli, nell’ambito del periodo dettato dal codice civile, devo inserire la cifra nel conto rischi. E’ stato invece considerata in forma di debito. La natura è una passività incerta. Non solo nel caso della Fedit è successo questo, ma anche in molte altre società, poiché in quei periodi mancava una definizione del codice civile e i princìpi contabili non differenziavano tra fondo rischi e debito. Vorrei fare un esempio al di fuori di questo ambito. Se un dipendente, alla fine dell’anno, viene licenziato o dà le dimissioni ed io devo corrispondere il TFR d’uscita, lo metto fra i debiti perché posso calcolare esattamente l’ammontare del debito. Se invece ad un fornitore che mi consegna la merce assicuro che gli pagherò le spese di trasporto solo dopo aver ricevuto le pezze giustificative, devo mettere la cifra nel fondo rischi e oneri futuri, poiché mancano elementi certi per considerarlo un debito in senso tecnico. Ci siamo posti il seguente problema. Se tale era l’origine di questi fondi ed era lontana nel tempo, gli amministratori, prudentemente, dovevano mettere come costo di conto economico negli anni di allora questi presunti costi di trasporto, e quindi inserirli correttamente tra i passivi del fondo rischi. Questa è la genesi della cifra in questione. Quando l’abbiamo compresa, come si poteva, in termini di consulenza, dire agli amministratori che quella cifra non esisteva più? Secondo il codice civile, un agricoltore, che aveva portato all’ammasso il proprio prodotto, dopo sette anni poteva dimostrare i costi sostenuti per il trasporto della merce. Il criterio della prescrizione decennale era una via prudente perché gli amministratori potessero portare tutto l’ammontare a sopravvenienze attive nei conti economici del 1989 e del 1990. Dopo aver consultato noti professionisti esterni che già davano un contributo alla Federconsorzi (studio fiscale Pagani), abbiamo chiesto, sotto il profilo fiscale, che trattamento avrebbero avuto quei 350 miliardi.

Da un punto di vista di prudenza degli amministratori, solamente la prescrizione civilistica poteva dare la certezza che questo era ormai un accantonamento non più esigibile da parte di eventuali fornitori.

Quindi l’amministrazione della Federconsorzi, ricostruita la sequenza temporale di formazione e iscrizione in contabilità dei 350 miliardi, ha potuto determinare le due tranche di importi prescritti, quindi nel 1989 è stata portata a conto economico tutta la parte che aveva oltre i 10 anni di iscrizione, mentre nel 1990 è stata presa la parte residua che nel 1989 non era ancora prescritta. Questo è, a mia memoria, l’accertamento che avevamo fatto e il comportamento che poi hanno avuto il direttore amministrativo e gli amministratori.

PRESIDENTE. Ringrazio i dottori Cattaneo e Pavan della collaborazione che ci hanno offerto, ma su quest’ultimo punto mi permetterò di far loro avere una serie di domande sulle quali gradiremmo una risposta più dettagliata, anche con una relazione scritta.

Ringrazio ancora i nostri ospiti e dichiaro conclusa l’audizione.

Avverto che la Commissione tornerà a riunirsi giovedì 9 novembre 2000, alle ore 14, per procedere al seguito dell’audizione del dottor Silvio Pellizzoni.

I lavori terminano alle ore 13,50.