Codice di Procedura Civile/Libro secondo

Libro secondo:Del processo di cognizione

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Libro secondo: DEL PROCESSO DI COGNIZIONE

Titolo I: DEL PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE

Capo I: DELL’INTRODUZIONE DELLA CAUSA

Sezione I: DELLA CITAZIONE E DELLA COSTITUZIONE DELLE PARTI

Art. 163 (Contenuto della citazione)

La domanda si propone mediante citazione a comparire a udienza fissa.
Il presidente del tribunale stabilisce al principio dell’anno giudiziario, con decreto approvato dal primo presidente della Corte di appello, i giorni della settimana e le ore delle udienze destinate esclusivamente alla prima comparizione delle parti.
L’atto di citazione deve contenere:
1) l’indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta;
2) il nome, il cognome, la residenza e il codice fiscale [1] dell’attore, il nome, il cognome, il codice fiscale [1], la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono. Se attore o convenuto è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l’indicazione dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio;
3) la determinazione della cosa oggetto della domanda;
4) l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni;
5) l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione;
6) il nome e il cognome del procuratore e l’indicazione della procura, qualora questa sia stata già rilasciata;
7) l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione; l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’articolo 166, ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, nell’udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell’articolo 168-bis, con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167 [2][3].
L’atto di citazione, sottoscritto a norma dell’art. 125, è consegnato dalla parte o dal procuratore all’ufficiale giudiziario, il quale lo notifica a norma degli artt. 137 e seguenti.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
[1] Le parole “il codice fiscale” aggiunte dall’art. 4, comma 8b, D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito in L. 22 febbraio 2010, n. 24.
[2] Comma così sostituito dall’art. 7, L. 26 novembre 1990, n. 353.
[3] Le parole «di cui agli articoli 38 e 167» hanno sostituito le parole «di cui all’art. 167» in base all’art. 46, comma 1, L. 18 giugno 2009, n. 69. La modifica si applica ai giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009 (art. 58, comma 1, legge citata).

Art. 163-bis (Termini per comparire)

Tra il giorno della notificazione della citazione e quello dell’udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non minori di novanta [1] giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di centocinquanta [1] giorni se si trova all’estero.
Nelle cause che richiedono pronta spedizione il presidente può, su istanza dell’attore e con decreto motivato in calce dell’atto originale e delle copie della citazione, abbreviare fino alla metà i termini indicati dal primo comma.
Se il termine assegnato dall’attore ecceda il minimo indicato dal primo comma, il convenuto, costituendosi prima della scadenza del termine minimo, può chiedere al presidente del tribunale che, sempre osservata la misura di quest’ultimo termine, l’udienza per la comparizione delle parti sia fissata con congruo anticipo su quella indicata dall’attore. Il presidente provvede con decreto, che deve essere comunicato dal cancelliere all’attore, almeno cinque giorni liberi prima dell’udienza fissata dal presidente.
[1] Le parole «sessanta» e «centoventi» sono state così sostituite dalla L. 263/2005 con decorrenza dall’1 marzo 2006.

Art. 164 (Nullità della citazione)

La citazione è nulla se è omesso o risulta assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti nei numeri 1) e 2) dell’articolo 163, se manca l’indicazione della data dell’udienza di comparizione, se è stato assegnato un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge ovvero se manca l’avvertimento previsto dal numero 7) dell’articolo 163.
Se il convenuto non si costituisce in giudizio, il giudice, rilevata la nullità della citazione ai sensi del primo comma, ne dispone d’ufficio la rinnovazione entro un termine perentorio. Questa sana i vizi e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione. Se la rinnovazione non viene eseguita, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue a norma dell’articolo 307, comma terzo.
La costituzione del convenuto sana i vizi della citazione e restano salvi gli effetti sostanziali e processuali di cui al secondo comma; tuttavia, se il convenuto deduce l’inosservanza dei termini a comparire o la mancanza dell’avvertimento previsto dal numero 7) dell’articolo 163, il giudice fissa una nuova udienza nel rispetto dei termini.
La citazione è altresì nulla se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito stabilito nel numero 3) dell’articolo 163 ovvero se manca l’esposizione dei fatti di cui al numero 4) dello stesso articolo.
Il giudice, rilevata la nullità ai sensi del comma precedente, fissa all’attore un termine perentorio per rinnovare la citazione o, se il convenuto si è costituito, per integrare la domanda. Restano ferme le decadenze maturate e salvi i diritti quesiti anteriormente alla rinnovazione o alla integrazione.
Nel caso di integrazione della domanda, il giudice fissa l’udienza ai sensi del secondo [1] comma dell’art. 183 e si applica l’articolo 167.
Articolo così sostituito dalla L. 26 novembre 1990, n. 167.
[1] La parola «ultimo» è stata sostituita da «secondo» dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, con decorrenza dall’1 marzo 2006.

Art. 165 (Costituzione dell’attore)

L’attore, entro dieci giorni dalla notificazione della citazione al convenuto, ovvero entro cinque giorni nel caso di abbreviazione di termini a norma del secondo comma dell’articolo 163-bis, deve costituirsi in giudizio a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, depositando in cancelleria la nota d’iscrizione a ruolo e il proprio fascicolo contenente l’originale della citazione, la procura e i documenti offerti in comunicazione. Se si costituisce personalmente, deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel comune ove ha sede il tribunale.
Se la citazione è notificata a più persone, l’originale della citazione deve essere inserito nel fascicolo entro dieci giorni dall’ultima notificazione.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.

Art. 166 (Costituzione del convenuto)

Il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione, o almeno dieci giorni prima nel caso di abbreviazione di termini a norma del secondo comma dell’articolo 163-bis, ovvero almeno venti giorni prima dell’udienza fissata a norma dell’articolo 168-bis, quinto comma, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all’articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione.
Articolo sostituito dall’art. 10, L. 26 novembre 1990, n. 353 e successivamente così modificato dall’art. 1, D.L. 7 ottobre 1994, n. 571.

Art. 167 (Comparsa di risposta)

Nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, indicare le proprie generalità e il codice fiscale [1], i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulare le conclusioni.
A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio [2]. Se è omesso o risulta assolutamente incerto l’oggetto o il titolo della domanda riconvenzionale, il giudice, rilevata la nullità, fissa al convenuto un termine perentorio per integrarla. Restano ferme le decadenze maturate e salvi i diritti acquisiti anteriormente alla integrazione.
Se intende chiamare un terzo in causa, deve farne dichiarazione nella stessa comparsa e provvedere ai sensi dell’articolo 269.
Articolo così sostituito dalla L. 26 novembre 1990, n. 353.
[1] Le parole «le proprie generalità e il codice fiscale,» sono state aggiunte dall’art. 4, comma 8c, D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito in L. 22 febbraio 2010, n. 24.
[2] Le parole «e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio» sono state aggiunte dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, con decorrenza dall’1 marzo 2006.

Art. 168 (Iscrizione della causa a ruolo e formazione del fascicolo d’ufficio)

All’atto della costituzione dell’attore, o, se questi non si è costituito, all’atto della costituzione del convenuto, su presentazione della nota d’iscrizione a ruolo, il cancelliere iscrive la causa nel ruolo generale.
Contemporaneamente il cancelliere forma il fascicolo d’ufficio, nel quale inserisce la nota d’iscrizione a ruolo, copia dell’atto di citazione, delle comparse e delle memorie in carta non bollata e, successivamente, i processi verbali d’udienza, i provvedimenti del giudice, gli atti di istruzione e la copia del dispositivo delle sentenze.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.

Art. 168-bis (Designazione del giudice istruttore)

Formato un fascicolo d’ufficio a norma dell’articolo precedente, il cancelliere lo presenta senza indugio al presidente del tribunale, il quale, con decreto scritto in calce della nota d’iscrizione al ruolo, designa il giudice istruttore davanti al quale le parti debbono comparire, se non creda di procedere egli stesso all’istruzione. Nei tribunali divisi in più sezioni il presidente assegna la causa ad una di esse, e il presidente di questa provvede nelle stesse forme alla designazione del giudice istruttore.
La designazione del giudice istruttore deve in ogni caso avvenire non oltre il secondo giorno successivo alla costituzione della parte più diligente.
Subito dopo la designazione del giudice istruttore il cancelliere iscrive la causa sul ruolo della sezione, su quello del giudice istruttore e gli trasmette il fascicolo [1].
Se nel giorno fissato per la comparizione il giudice istruttore designato non tiene udienza, la comparizione delle parti è d’ufficio rimandata all’udienza immediatamente successiva tenuta dal giudice designato [1].
Il giudice istruttore può differire, con decreto da emettere entro cinque giorni dalla presentazione del fascicolo, la data della prima udienza fino ad un massimo di quarantacinque giorni. In tal caso il cancelliere comunica alle parti costituite la nuova data della prima udienza [2].
[1] Comma così sostituito dall’art. 12, L. 26 novembre 1990, n. 353.
[2] Comma sostituito dall’art. 12, L. 26 novembre 1990, n. 353 e successivamente così modificato dall’art. 2, D.L. 7 ottobre 1994, n. 571.

Art. 169 (Ritiro dei fascicoli di parte)

Ciascuna parte può ottenere dal giudice istruttore l’autorizzazione di ritirare il proprio fascicolo dalla cancelleria; ma il fascicolo deve essere di nuovo depositato ogni volta che il giudice lo disponga.
Ciascuna parte ha la facoltà di ritirare il fascicolo all’atto della rimessione della causa al collegio a norma dell’articolo 189, ma deve restituirlo al più tardi al momento del deposito della comparsa conclusionale.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.

Art. 170 (Notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento)

Dopo la costituzione in giudizio tutte le notificazioni e le comunicazioni si fanno al procuratore costituito, salvo che la legge disponga altrimenti.
È sufficiente la consegna di una sola copia dell’atto, anche se il procuratore è costituito per più parti.
Le notificazioni e le comunicazioni alla parte che si è costituita personalmente si fanno nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto.
Le comparse e le memorie consentite dal giudice si comunicano mediante deposito in cancelleria oppure mediante notificazione o mediante scambio documentato con l’apposizione sull’originale, in calce o in margine, del visto della parte o del procuratore. [periodo soppresso] Il giudice può autorizzare per singoli atti, in qualunque stato e grado del giudizio, che lo scambio o la comunicazione di cui al presente comma possano avvenire anche a mezzo telefax o posta elettronica nel rispetto della normativa, anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi. La parte che vi procede in relazione ad un atto di impugnazione deve darne comunicazione alla cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata. A tal fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il numero di telefax o l’indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere le comunicazioni [1].
[1] Ultimo periodo soppresso dall’art. 25, comma 1e, L. 12 novembre 2011, n. 183.

Art. 171 (Ritardata costituzione delle parti)

Se nessuna delle parti si costituisce nei termini stabiliti, si applicano le disposizioni dell’articolo 307, primo e secondo comma.
Se una delle parti si è costituita entro il termine rispettivamente a lei assegnato, l’altra parte può costituirsi successivamente fino alla prima udienza, ma restano ferme per il convenuto le decadenze di cui all’articolo 167 [1].
La parte che non si costituisce neppure in tale udienza è dichiarata contumace con ordinanza del giudice istruttore, salva la disposizione dell’articolo 291.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
[1] Comma così sostituito dall’art. 13, L. 26 novembre 1990, n. 353.


Sezione II: DELLA DESIGNAZIONE DEL GIUDICE ISTRUTTORE

[abrogato] Art. 172 (Istanza per la designazione del giudice istruttore)

Nella citazione o nella comparsa di risposta le parti possono proporre istanza al presidente del tribunale affinché designi il giudice istruttore. L’istanza può anche essere proposta con separato ricorso.
Se l’istanza non è presentata entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto, il processo si estingue.
Articolo abrogato dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.

[abrogato] Art. 173 (Immutabilità del giudice istruttore)

Se è stata proposta l’istanza di cui all’articolo precedente, il cancelliere, decorso il termine per la costituzione del convenuto, presenta i fascicoli degli atti al presidente del tribunale, il quale designa un giudice del tribunale per procedere all’istruzione della causa, se non crede di procedervi egli stesso.
Nel decreto, col quale designa il giudice, il presidente fissa l’udienza in cui le parti debbono comparire davanti al giudice medesimo.
Se il tribunale è diviso in sezioni, il presidente può assegnare la causa a una di esse, demandando al presidente della sezione il provvedimento di cui ai due commi precedenti.
Il cancelliere comunica il decreto alle parti costituite almeno cinque giorni prima dell’udienza e provvede all’iscrizione della causa nel ruolo del giudice designato.
Articolo abrogato dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.

Art. 174 (Immutabilità del giudice istruttore)

Il giudice designato è investito di tutta l’istruzione della causa e della relazione al collegio.
Soltanto in caso di assoluto impedimento o di gravi esigenze di servizio può essere sostituito con decreto del presidente. La sostituzione può essere disposta, quando è indispensabile, anche per il compimento dei singoli atti.


Capo II: DELL’ISTRUZIONE DELLA CAUSA

Sezione I: DEI POTERI DEL GIUDICE ISTRUTTORE IN GENERALE

Art. 175 (Direzione del procedimento)

Il giudice istruttore esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento.
Egli fissa le udienze successive e i termini entro i quali le parti debbono compiere gli atti processuali.
Quando il giudice ha omesso di provvedere a norma del comma precedente, si applica la disposizione dell’articolo 289.

Art. 176 (Forma dei provvedimenti)

Tutti i provvedimenti del giudice istruttore, salvo che la legge disponga altrimenti, hanno la forma dell’ordinanza.
Le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi; quelle pronunciate fuori dell’udienza sono comunicate a cura del cancelliere entro i tre giorni successivi [periodo soppresso], anche a mezzo telefax o a mezzo di posta elettronica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi. A tal fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il numero di fax o l’indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di volere ricevere le comunicazioni [1].
[1] Parole soppresse dall’art. 25, comma 1f, L. 12 novembre 2011, n. 183.

Art. 177 (Effetti e revoca delle ordinanze)

Le ordinanze, comunque motivate, non possono mai pregiudicare la decisione della causa.
Salvo quanto disposto dal seguente comma, le ordinanze possono essere sempre modificate o revocate dal giudice che le ha pronunciate.
Non sono modificabili né revocabili dal giudice che le ha pronunciate:
1) le ordinanze pronunciate sull’accordo delle parti, in materia della quale queste possono disporre; esse sono tuttavia revocabili dal giudice istruttore o dal collegio, quando vi sia l’accordo di tutte le parti;
2) le ordinanze dichiarate espressamente non impugnabili dalla legge;
3) le ordinanze per le quali la legge predisponga uno speciale mezzo di reclamo [1];
[abrogato] 4) le ordinanze per le quali sia stato proposto reclamo a norma dell’articolo seguente [2].
[1] Numero così modificato dall’art. 14, L. 26 novembre 1990, n. 353.
[2] Numero abrogato dall’art. 89, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 178 (Controllo del collegio sulle ordinanze)

Le parti, senza bisogno di mezzi di impugnazione, possono proporre al collegio, quando la causa è rimessa a questo a norma dell’art. 189, tutte le questioni risolute dal giudice istruttore con ordinanza revocabile.
L’ordinanza del giudice istruttore, che non operi in funzione di giudice unico, quando dichiara l’estinzione del processo è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio [1].
Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni decorrente dalla pronuncia della ordinanza se avvenuta in udienza, o altrimenti decorrente dalla comunicazione dell’ordinanza medesima.
Il reclamo è presentato con semplice dichiarazione nel verbale d’udienza, o con ricorso al giudice istruttore.
Se il reclamo è presentato in udienza, il giudice assegna nella stessa udienza, ove le parti lo richiedono, il termine per la comunicazione di una memoria, e quello successivo per la comunicazione di una replica. Se il reclamo è proposto con ricorso, questo è comunicato a mezzo della cancelleria alle altre parti, insieme con decreto, in calce, del giudice istruttore, che assegna un termine per la comunicazione dell’eventuale memoria di risposta. Scaduti tali termini, il collegio provvede entro i quindici giorni successivi [2].
[abrogato] Scaduti i termini previsti dal comma precedente, il collegio, entro i quindici giorni successivi, provvede in camera di consiglio con ordinanza, alla quale si applicano le disposizioni dell’articolo 279 quarto comma, e dell’articolo 280 [3].
[abrogato] Il provvedimento del collegio è limitato all’ammissibilità e alla rilevanza del mezzo di prova, e pertanto le parti non possono sottoporgli conclusioni di merito, nè totali nè parziali. Tuttavia il collegio, su richiesta di parte o d’ufficio, può limitarsi a rimettere con l’ordinanza le parti al giudice istruttore per gli adempimenti previsti dagli articoli 189 e 190 [3].
[abrogato] L’esecuzione dell’ordinanza è sospesa durante il termine per proporre reclamo e durante il giudizio su questo, salvo che il giudice istruttore, nei casi d’urgenza, l’abbia dichiarata esecutiva nonostante reclamo [3].
[1] Comma così sostituito dall’art. 15, comma 1, L. 26 novembre 1990, n. 353.
[2] Comma così modificato dall’art. 15, comma 2, L. 26 novembre 1990, n. 353.
[3] Comma abrogato dall’art. 89, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 179 (Ordinanze di condanna a pene pecuniarie)

Se la legge non dispone altrimenti, le condanne a pene pecuniarie previste nel presente codice sono pronunciate con ordinanza del giudice istruttore.
L’ordinanza pronunciata in udienza in presenza dell’interessato e previa contestazione dell’addebito non è impugnabile; altrimenti il cancelliere la notifica al condannato, il quale, nel termine perentorio di tre giorni, può proporre reclamo con ricorso allo stesso giudice che l’ha pronunciata.
Questi, valutate le giustificazioni addotte, pronuncia sul reclamo con ordinanza non impugnabile.
Le ordinanze di condanna previste nel presente articolo costituiscono titolo esecutivo.


Sezione II: DELLA TRATTAZIONE DELLA CAUSA

Art. 180 (Forma di trattazione)

La trattazione della causa è orale. Della trattazione della causa si redige processo verbale.
Articolo così sostituito dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, con decorrenza dall’1 marzo 2006.

Art. 181 (Mancata comparizione delle parti)

Se nessuna delle parti compare alla prima udienza, il giudice fissa un’udienza successiva, di cui il cancelliere dà comunicazione alle parti costituite. Se nessuna delle parti compare alla nuova udienza, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo [1].
Se l’attore costituito non comparisce alla prima udienza, e il convenuto non chiede che si proceda in assenza di lui, il giudice fissa una nuova udienza, della quale il cancelliere dà comunicazione all’attore. Se questi non comparisce alla nuova udienza, il giudice, se il convenuto non chiede che si proceda in assenza di lui, ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
[1] Comma modificato dall’art. 16, L. 26 novembre 1990, n. 353 e successivamente così modificato dall’art. 4, comma 1 bis, D.L. 18 ottobre 1995, n. 432 e dall’art. 50 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112.

Art. 182 (Difetto di rappresentanza o di autorizzazione)

Il giudice istruttore verifica d’ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, quando occorre, le invita a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi.
Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione [1].
[1] Comma così sostituito dall’art. 46, comma 2, L. 18 giugno 2009, n. 69.

Art. 183 (Prima comparizione delle parti e trattazione della causa)

All’udienza fissata per la prima comparizione delle parti e la trattazione il giudice istruttore verifica d’ufficio la regolarità del contraddittorio e, quando occorre, pronuncia i provvedimenti previsti dall’articolo 102, secondo comma, dall’articolo 164, secondo, terzo e quinto comma, dall’articolo 167 secondo e terzo comma, dall’articolo 182 e dall’articolo 291, primo comma.
Quando pronunzia i provvedimenti di cui al primo comma, il giudice fissa una nuova udienza di trattazione.
Il giudice istruttore fissa altresì una nuova udienza se deve procedersi a norma dell’art. 185.
Nell’udienza di trattazione ovvero in quella eventualmente fissata ai sensi del terzo comma, il giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione.
Nella stessa udienza l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. Può altresì chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo ai sensi degli articoli 106 e 269, terzo comma, se l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto. Le parti posso precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate.
Se richiesto, il giudice concede alle parti i seguenti termini perentori:
1) un termine di ulteriori trenta giorni per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte;
2) un termine di ulteriori trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali;
3) un termine di ulteriori venti giorni per le sole indicazioni di prova contraria.
Salva l’applicazione dell’articolo 187, il giudice provvede sulle richieste istruttorie fissando l’udienza di cui all’articolo 184 per l’assunzione dei mezzi di prova ritenuti ammissibili e rilevanti. Se provvede mediante ordinanza emanata fuori udienza, questa deve essere pronunciata entro trenta giorni.
Nel caso in cui vengano disposti d’ufficio mezzi di prova con l’ordinanza di cui al settimo comma, ciascuna parte può dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice con la medesima ordinanza, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi nonché depositare memoria di replica nell’ulteriore termine perentorio parimenti assegnato dal giudice, che si riserva di provvedere ai sensi del settimo comma.
Con l’ordinanza che ammette le prove il giudice può in ogni caso disporre, qualora lo ritenga utile, il libero interrogatorio delle parti; all’interrogatorio disposto dal giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui al terzo comma.
[abrogato] L’ordinanza di cui al settimo comma è comunicata a cura del cancelliere entro i tre giorni successivi al deposito, anche a mezzo telefax, nella sola ipotesi in cui il numero sia stato indicato negli atti difensivi, nonché a mezzo di posta elettronica, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione e la trasmissione dei documenti informatici e teletrasmessi. A tal fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il numero di fax o indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere gli atti [1].
Articolo così modificato dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35 e dalla L. 28 dicembre 2005, n. 63, con decorrenza dall’1 marzo 2006.
[1] Comma abrogato dall’art. 25, comma 1g, L. 12 novembre 2011, n. 183.

Art. 183-bis (Passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione)

Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, il giudice nell’udienza di trattazione, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria, può disporre, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta, con ordinanza non impugnabile, che si proceda a norma dell’articolo 702-ter e invita le parti ad indicare, a pena di decadenza, nella stessa udienza i mezzi di prova, ivi compresi i documenti, di cui intendono avvalersi e la relativa prova contraria. Se richiesto, può fissare una nuova udienza e termine perentorio non superiore a quindici giorni per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali e termine perentorio di ulteriori dieci giorni per le sole indicazioni di prova contraria.
Articolo introdotto dall’art. 14, D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dall L. 10 novembre 2014, n. 162.

Art. 184 (Udienza di assunzione dei mezzi di prova)

Nell’udienza fissata con l’ordinanza prevista dal settimo comma dell’articolo 183, il giudice istruttore procede all’assunzione dei mezzi di prova ammessi.
Articolo così modificato dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35 e dalla L. 28 dicembre 2005, n. 63, con decorrenza dall’1 marzo 2006.

[abrogato] Art. 184 bis (Rimessione in termini)

La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice istruttore di essere rimessa in termini [1].
Il giudice provvede a norma dell’articolo 294, secondo e terzo comma.
Articolo aggiunto dall’art. 19, L. 26 novembre 1990, n. 353, e poi abrogato dall’art. 46, comma 3, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[1] Comma così sostituito dall’art. 6, D.L. 18 ottobre 1995, n. 432.

Art. 185 (Tentativo di conciliazione)

Il giudice istruttore, in caso di richiesta congiunta delle parti, fissa la comparizione delle medesime al fine di interrogarle liberamente e di provocarne la conciliazione. Il giudice istruttore ha altresì la facoltà di fissare la predetta udienza di comparizione personale a norma dell’art. 117. Quando è disposta la comparizione personale, le parti hanno facoltà di farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale il quale deve essere a conoscenza dei fatti della causa. La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia. Se la procura è conferita con scrittura privata, questa può essere autenticata anche dal difensore della parte. La mancata conoscenza, senza giustificato motivo, dei fatti della causa da parte del procuratore è valutata ai sensi del secondo comma dell’art. 116 [1].
Il tentativo di conciliazione può essere rinnovato in qualunque momento dell’istruzione.
Quando le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della convenzione conclusa. Il processo verbale costituisce titolo esecutivo.
[1] Comma aggiunto dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35 e dalla L. 28 dicembre 2005, n. 63, con decorrenza dall’1 marzo 2006.

Art. 185-bis (Proposta di conciliazione del giudice)

Il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, deve formulare alle parti una proposta transattiva o conciliativa. Il rifiuto della proposta transattiva o conciliativa del giudice, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio.
Articolo aggiunto dall’art. 77, comma 1a, D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.

Art. 186 (Pronuncia dei provvedimenti)

Sulle domande e sulle eccezioni delle parti, il giudice istruttore, sentite le loro ragioni, dà in udienza i provvedimenti opportuni; ma può anche riservarsi di pronunciarli entro i cinque giorni successivi.

Art. 186-bis (Ordinanza per il pagamento di somme non contestate)

Su istanza di parte il giudice istruttore può disporre, fino al momento della precisazione delle conclusioni, il pagamento delle somme non contestate dalle parti costituite. Se l’istanza è proposta fuori dall’udienza il giudice dispone la comparizione delle parti ed assegna il termine per la notificazione [1].
L’ordinanza costituisce titolo esecutivo e conserva la sua efficacia in caso di estinzione del processo. L’ordinanza è soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli artt. 177, primo e secondo comma, e 178, primo comma.
Articolo aggiunto dall’art. 20, L. 25 novembre 1990, n. 353.
[1] Periodo aggiunto dall’art. 2, comma 1i, L. 28 dicembre 2005, n. 263, con decorrenza dall’1 marzo 2006.

Art. 186-ter (Istanza di ingiunzione)

Fino al momento della precisazione delle conclusioni, quando ricorrano i presupposti di cui all’art. 633, primo comma, n. 1), e secondo comma, e di cui all’art. 634, la parte può chiedere al giudice istruttore, in ogni stato del processo, di pronunciare con ordinanza ingiunzione di pagamento o di consegna. Se l’istanza è proposta fuori dall’udienza il giudice dispone la comparizione delle parti ed assegna il termine per la notificazione [1].
L’ordinanza deve contenere i provvedimenti previsti dall’art. 641, ultimo comma, ed è dichiarata provvisoriamente esecutiva ove ricorrano i presupposti di cui all’art. 642, nonché, ove la controparte non sia rimasta contumace, quelli di cui all’art. 648, primo comma. La provvisoria esecutorietà non può essere mai disposta ove la controparte abbia disconosciuto la scrittura privata prodotta contro di lei o abbia proposto querela di falso contro l’atto pubblico.
L’ordinanza è soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli articoli 177 e 178, primo comma.
Se il processo si estingue l’ordinanza che non ne sia già munita acquista efficacia esecutiva ai sensi dell’art. 653, primo comma.
Se la parte contro cui è pronunciata l’ingiunzione è contumace, l’ordinanza deve essere notificata ai sensi e per gli effetti dell’art. 644. In tal caso l’ordinanza deve altresì contenere l’espresso avvertimento che, ove la parte non si costituisca entro il termine di venti giorni dalla notifica, diverrà esecutiva ai sensi dell’art. 647.
L’ordinanza dichiarata esecutiva costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale.
Articolo aggiunto dall’art. 21, L. 25 novembre 1990, n. 353.
[1] Periodo aggiunto dall’art. 2, comma 1l, L. 28 dicembre 2005, n. 263, con decorrenza dall’1 marzo 2006.

Art. 186-quater (Ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione)

Esaurita l’istruzione, il giudice istruttore, su istanza della parte che ha proposto domanda di condanna al pagamento di somme ovvero alla consegna o al rilascio di beni, può disporre con ordinanza il pagamento ovvero la consegna o il rilascio, nei limiti per cui ritiene già raggiunta la prova. Con l’ordinanza il giudice provvede sulle spese processuali.
L’ordinanza è titolo esecutivo. Essa è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio.
Se, dopo la pronuncia dell’ordinanza, il processo si estingue, l’ordinanza acquista l’efficacia della sentenza impugnabile sull’oggetto dell’istanza.
L’ordinanza acquista l’efficacia della sentenza impugnabile sull’oggetto dell’istanza se la parte intimata non manifesta entro trenta giorni dalla sua pronuncia in udienza o dalla comunicazione, con ricorso notificato all’altra parte e depositato in cancelleria, la volontà che sia pronunciata la sentenza [1].
Articolo aggiunto dall’art. 8, D.L. 18 ottobre 1995, n. 432
[1] Comma così sostituito dall’art. 2, comma 1m, L. 28 dicembre 2005, n. 263, con decorrenza dall’1 marzo 2006.

Art. 187 (Provvedimenti del giudice istruttore)

Il giudice istruttore, se ritiene che la causa sia matura per la decisione di merito senza bisogno di assunzione di mezzi di prova, rimette le parti davanti al Collegio.
Può rimettere le parti al Collegio affinché sia decisa separatamente una questione di merito avente carattere preliminare, solo quando la decisione di essa può definire il giudizio.
Il giudice provvede analogamente se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali, ma può anche disporre che siano decise unitamente al merito.
Qualora il collegio provveda a norma dell’art. 279, secondo comma, numero 4), i termini di cui all’art. 183, ottavo comma [1], non concessi prima della remissione al collegio, sono assegnati dal giudice istruttore, su istanza di parte, nella prima udienza dinanzi a lui.
Il giudice dà ogni altra disposizione relativa al processo.
[1] Le parole «di cui all’art. 184» sono così sostituite dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35 e dalla L. 28 dicembre 2005, n. 63.

Art. 188 (Attività istruttoria del giudice)

Il giudice istruttore provvede all’assunzione dei mezzi di prova e, esaurita l’istruzione, rimette le parti al collegio per la decisione a norma dell’articolo seguente.

Art. 189 (Rimessione al collegio)

Il giudice istruttore, quando rimette la causa al collegio, a norma dei primi tre commi dell’articolo 187 o dell’articolo 188, invita le parti a precisare davanti a lui le conclusioni che intendono sottoporre al collegio stesso, nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell’art. 183. Le conclusioni di merito debbono essere interamente formulate anche nei casi previsti dall’articolo 187, secondo e terzo comma [1].
La rimessione investe il collegio di tutta la causa, anche quando avviene a norma dell’articolo 187, secondo e terzo comma.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
[1] Comma così sostituito dall’art. 23, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 190 (Comparse conclusionali e memorie)

Le comparse conclusionali debbono essere depositate entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla rimessione della causa al collegio e le memorie di replica entro i venti giorni successivi.
Per il deposito delle comparse conclusionali il giudice istruttore, quando rimette la causa al collegio, può fissare un termine più breve, comunque non inferiore a venti giorni.
Articolo così sostituito dall’art. 24, L. 26 novembre 1990, n. 353.

[abrogato] Art. 190 bis (Decisione del giudice istruttore in funzione di giudice unico)

Per le cause che devono essere decise dal giudice istruttore in funzione di giudice unico, questi, fatte precisare le conclusioni ai sensi dell’articolo 189, dispone lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ai sensi dell’articolo 190 e, quindi, deposita la sentenza in cancelleria entro sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica.
Se una delle parti lo richiede il giudice, disposto lo scambio delle sole comparse conclusionali ai sensi dell’articolo 190, fissa l’udienza di discussione non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle comparse conclusionali; la sentenza è depositata in cancelleria entro i sessanta giorni successivi.
Articolo aggiunto dall’art. 25, L. 26 novembre 1990, n. 353, e successivamente abrogato dall’art. 63, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.


Sezione III: DELL’ISTRUZIONE PROBATORIA

§ 1: DELLA NOMINA E DELLE INDAGINI DEL CONSULENTE TECNICO
Art. 191 (Nomina del consulente tecnico)

Nei casi di cui agli articoli 61 e seguenti il giudice istruttore, con l’ordinanza ai sensi dell’articolo 183, settimo comma, o con altra successiva ordinanza, nomina un consulente, formula i quesiti e fissa l’udienza nella quale il consulente deve comparire [1].
Possono essere nominati più consulenti soltanto in caso di grave necessità o quando la legge espressamente lo dispone.
[1] Comma così sostituito dall’art. 46, comma 4, L. 18 giugno 2009, n. 69.

Art. 192 (Astensione e ricusazione del consulente)

L’ordinanza è notificata al consulente tecnico a cura del cancelliere, con invito a comparire all’udienza fissata dal giudice.
Il consulente che non ritiene di accettare l’incarico o quello che, obbligato a prestare il suo ufficio, intende astenersi, deve farne denuncia o istanza al giudice che l’ha nominato almeno tre giorni prima dell’udienza di comparizione; nello stesso termine le parti debbono proporre le loro istanze di ricusazione, depositando nella cancelleria ricorso al giudice istruttore.
Questi provvede con ordinanza non impugnabile.

Art. 193 (Giuramento del consulente)

All’udienza di comparizione il giudice istruttore ricorda al consulente l’importanza delle funzioni che è chiamato ad adempiere, e ne riceve il giuramento di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di fare conoscere ai giudici la verità.

Art. 194 (Attività del consulente)

Il consulente tecnico assiste alle udienze alle quali è invitato dal giudice istruttore; compie, anche fuori della circoscrizione giudiziaria, le indagini di cui all’articolo 62, da sé solo o insieme col giudice secondo che questi dispone. Può essere autorizzato a domandare chiarimenti alle parti, ad assumere informazioni da terzi e a eseguire piante, calchi e rilievi.
Anche quando il giudice dispone che il consulente compia indagini da sé solo, le parti possono intervenire alle operazioni in persona e a mezzo dei propri consulenti tecnici e dei difensori, e possono presentare al consulente, per iscritto o a voce, osservazioni e istanze.

Art. 195 (Processo verbale e relazione)

Delle indagini del consulente si forma processo verbale, quando sono compiute con l’intervento del giudice istruttore, ma questi può anche disporre che il consulente rediga relazione scritta.
Se le indagini sono compiute senza l’intervento del giudice, il consulente deve farne relazione, nella quale inserisce anche le osservazioni e le istanze delle parti.
La relazione deve essere depositata in cancelleria nel termine che il giudice fissa.
La relazione deve essere trasmessa dal consulente alle parti costituite nel termine stabilito dal giudice con ordinanza resa all’udienza di cui all’articolo 193. Con la medesima ordinanza il giudice fissa il termine entro il quale le parti devono trasmettere al consulente le proprie osservazioni sulla relazione e il termine, anteriore alla successiva udienza, entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse [1].
[1] Comma così sostituito dall’art. 46, comma 5, L. 18 giugno 2009, n. 69.

Art. 196 (Rinnovazione delle indagini e sostituzione del consulente)

Il giudice ha sempre la facoltà di disporre la rinnovazione delle indagini e, per gravi motivi, la sostituzione del consulente tecnico.

Art. 197 (Assistenza all’udienza e audizione in camera di consiglio)

Quando lo ritiene opportuno il presidente invita il consulente tecnico ad assistere alla discussione davanti al collegio e ad esprimere il suo parere in camera di consiglio in presenza delle parti, le quali possono chiarire e svolgere le loro ragioni per mezzo dei difensori.

Art. 198 (Esame contabile)

Quando è necessario esaminare documenti contabili e registri, il giudice istruttore può darne incarico al consulente tecnico, affidandogli il compito di tentare la conciliazione delle parti.
Il consulente sente le parti e, previo consenso di tutte, può esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa. Di essi tuttavia, senza il consenso di tutte le parti, non può fare menzione nei processi verbali o nella relazione di cui all’articolo 195.

Art. 199 (Processo verbale di conciliazione)

Se le parti si conciliano, si redige processo verbale della conciliazione, che è sottoscritto dalle parti e dal consulente tecnico e inserito nel fascicolo d’ufficio.
Il giudice istruttore attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale.

Art. 200 (Mancata conciliazione)

Se la conciliazione delle parti non riesce, il consulente espone i risultati delle indagini compiute e il suo parere in una relazione, che deposita in cancelleria nel termine fissato dal giudice istruttore.
Le dichiarazioni delle parti, riportate dal consulente nella relazione, possono essere valutate dal giudice a norma dell’articolo 116 secondo comma.

Art. 201 (Consulente tecnico di parte)

Il giudice istruttore, con l’ordinanza di nomina del consulente, assegna alle parti un termine entro il quale possono nominare, con dichiarazione ricevuta dal cancelliere, un loro consulente tecnico.
Il consulente della parte, oltre ad assistere a norma dell’articolo 194 alle operazioni del consulente del giudice, partecipa all’udienza e alla camera di consiglio ogni volta che vi interviene il consulente del giudice, per chiarire e svolgere con l’autorizzazione del presidente, le sue osservazioni sui risultati delle indagini tecniche.


§ 2: DELL’ASSUNZIONE DEI MEZZI DI PROVA IN GENERALE
Art. 202 (Tempo, luogo e modo dell’assunzione)

Quando dispone mezzi di prova, il giudice istruttore, se non può assumerli nella stessa udienza, stabilisce il tempo, il luogo e il modo dell’assunzione.
Se questa non si esaurisce nell’udienza fissata, il giudice ne differisce la prosecuzione ad un giorno prossimo.

Art. 203 (Assunzione fuori della circoscrizione del tribunale)

Se i mezzi di prova debbono assumersi fuori della circoscrizione del tribunale, il giudice istruttore delega a procedervi il giudice istruttore del luogo, salvo che le parti richiedano concordemente e il presidente del tribunale consenta che vi si trasferisca il giudice stesso.
Nell’ordinanza di delega, il giudice delegante fissa il termine entro il quale la prova deve assumersi e l’udienza di comparizione delle parti per la prosecuzione del giudizio.
Il giudice delegato, su istanza della parte interessata, procede all’assunzione del mezzo di prova e d’ufficio ne rimette il processo verbale al giudice delegante prima dell’udienza fissata per la prosecuzione del giudizio, anche se l’assunzione non è esaurita.
Le parti possono rivolgere al giudice delegante, direttamente o a mezzo del giudice delegato, istanza per la proroga del termine.
Articolo così modificato dall’art. 64, D.L. 19 febbraio 1998, n.51.

Art. 204 (Rogatorie alle autorità estere e ai consoli italiani)

Le rogatorie dei giudici italiani alle autorità estere per l’esecuzione di provvedimenti istruttori sono trasmesse per via diplomatica.
Quando la rogatoria riguarda cittadini italiani residenti all’estero, il giudice istruttore delega il console competente, che provvede a norma della legge consolare.
Per l’assunzione dei mezzi di prova e la prosecuzione del giudizio, il giudice pronuncia i provvedimenti previsti negli ultimi tre commi dell’articolo precedente.

Art. 205 (Risoluzione degli incidenti relativi alla prova)

Il giudice che procede all’assunzione dei mezzi di prova, anche se delegato a norma dell’articolo 203, pronuncia con ordinanza su tutte le questioni che sorgono nel corso della stessa.

Art. 206 (Assistenza delle parti all’assunzione)

Le parti possono assistere personalmente all’assunzione dei mezzi di prova.

Art. 207 (Processo verbale dell’assunzione)

Dell’assunzione dei mezzi di prova si redige processo verbale sotto la direzione del giudice.
Le dichiarazioni delle parti e dei testimoni sono riportate in prima persona e sono lette al dichiarante [1].
Il giudice, quando lo ritiene opportuno, nel riportare le dichiarazioni descrive il contegno della parte e del testimone.
[1] Comma così modificato dall’art. 45, comma 1c, D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114.

Art. 208 (Decadenza dall’assunzione)

Se non si presenta la parte su istanza della quale deve iniziarsi o proseguirsi la prova, il giudice istruttore la dichiara decaduta dal diritto di farla assumere, salvo che l’altra parte presente non ne chieda l’assunzione.
La parte interessata può chiedere nell’udienza successiva al giudice la revoca dell’ordinanza che ha pronunciato la sua decadenza dal diritto di assumere la prova. Il giudice dispone la revoca con ordinanza, quando riconosce che la mancata comparizione è stata cagionata da causa non imputabile alla stessa parte.
Articolo così sostituito dall’art. 26, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 209 (Chiusura dell’assunzione)

Il giudice istruttore dichiara chiusa l’assunzione quando sono eseguiti i mezzi ammessi o quando, dichiarata la decadenza di cui all’articolo precedente, non vi sono altri mezzi da assumere, oppure quando egli ravvisa superflua, per i risultati già raggiunti, la ulteriore assunzione.


§ 3: DELL’ESIBIZIONE DELLE PROVE=

Art. 210 (Ordine di esibizione alla parte o al terzo)

Negli stessi limiti entro i quali può essere ordinata a norma dell’articolo 118 l’ispezione di cose in possesso di una parte o di un terzo, il giudice istruttore, su istanza di parte, può ordinare all’altra parte o a un terzo di esibire in giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo.
Nell’ordinare l’esibizione, il giudice dà i provvedimenti opportuni circa il tempo, il luogo e il modo dell’esibizione.
Se l’esibizione importa una spesa, questa deve essere in ogni caso anticipata dalla parte che ha proposta l’istanza di esibizione.

Art. 211 (Tutela dei diritti del terzo)

Quando l’esibizione è ordinata ad un terzo, il giudice istruttore deve cercare di conciliare nel miglior modo possibile l’interesse della giustizia col riguardo dovuto ai diritti del terzo, e prima di ordinare l’esibizione può disporre che il terzo sia citato in giudizio, assegnando alla parte istante un termine per provvedervi.
Il terzo può sempre fare opposizione contro l’ordinanza di esibizione, intervenendo nel giudizio prima della scadenza del termine assegnatogli.

Art. 212 (Esibizione di copia del documento e dei libri di commercio)

Il giudice istruttore può disporre che, in sostituzione dell’originale, si esibisca una copia anche fotografica o un estratto autentico del documento.
Nell’ordinare l’esibizione di libri di commercio o di registri al fine di estrarne determinate partite, il giudice, su istanza dell’interessato, può disporre che siano prodotti estratti, per la formazione dei quali nomina un notaio e, quando occorre, un esperto affinché lo assista.

Art. 213 (Richiesta d’informazioni alla pubblica amministrazione)

Fuori dei casi previsti negli articoli 210 e 211, il giudice può richiedere d’ufficio alla pubblica amministrazione le informazioni scritte relative ad atti e documenti dell’amministrazione stessa, che è necessario acquisire al processo.


§ 4: DEL RICONOSCIMENTO E DELLA VERIFICAZIONE DELLA SCRITTURA PRIVATA
Art. 214 (Disconoscimento della scrittura privata)

Colui contro il quale è prodotta una scrittura privata, se intende disconoscerla, è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione.
Gli eredi o aventi causa possono limitarsi a dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione del loro autore.

Art. 215 (Riconoscimento tacito della scrittura privata)

La scrittura privata prodotta in giudizio si ha per riconosciuta:
1) se la parte, alla quale la scrittura è attribuita o contro la quale è prodotta, è contumace, salva la disposizione dell’articolo 293 terzo comma;
2) se la parte comparsa non la disconosce o non dichiara di non conoscerla nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione.
Quando nei casi ammessi dalla legge la scrittura è prodotta in copia autentica, il giudice istruttore può concedere un termine per deliberare alla parte che ne fa istanza nei modi di cui al numero 2.

Art. 216 (Istanza di verificazione)

La parte che intende valersi della scrittura disconosciuta deve chiederne la verificazione, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo o indicando le scritture che possono servire di comparazione.
L’istanza per la verificazione può anche proporsi in via principale con citazione, quando la parte dimostra di avervi interesse; ma se il convenuto riconosce la scrittura, le spese sono poste a carico dell’attore.

Art. 217 (Custodia della scrittura e provvedimenti istruttori)

Quando è chiesta la verificazione, il giudice istruttore dispone le cautele opportune per la custodia del documento, stabilisce il termine per il deposito in cancelleria delle scritture di comparazione, nomina, quando occorre, un consulente tecnico e provvede all’ammissione delle altre prove.
Nel determinare le scritture che debbono servire di comparazione, il giudice ammette, in mancanza di accordo delle parti, quelle la cui provenienza dalla persona che si afferma autrice della scrittura è riconosciuta oppure accertata per sentenza di giudice o per atto pubblico.

Art. 218 (Scritture di comparazione presso depositari)

Se le scritture di comparazione si trovano presso depositari pubblici o privati e l’asportazione non ne è vietata, il giudice istruttore può disporre il deposito in cancelleria in un termine da lui fissato.
Se la comparazione deve eseguirsi nel luogo dove si trovano le scritture, il giudice dà le disposizioni necessarie per le operazioni, che debbono compiersi in presenza del depositario.

Art. 219 (Redazione di scritture di comparazione)

Il giudice istruttore può ordinare alla parte di scrivere sotto dettatura, anche alla presenza del consulente tecnico.
Se la parte invitata a comparire personalmente non si presenta o rifiuta di scrivere senza giustificato motivo, la scrittura si può ritenere riconosciuta.

Art. 220 (Pronuncia del collegio)

Sull’istanza di verificazione pronuncia sempre il collegio.
Il collegio, nella sentenza che dichiara la scrittura o la sottoscrizione di mano della parte che l’ha negata, può condannare quest’ultima a una pena pecuniaria non inferiore a € 2 [1] e non superiore a € 20 [1].
[1] Era rispettivamente «lire duemila» e «lire quarantamila».


§ 5: DELLA QUERELA DI FALSO
Art. 221 (Modo di proposizione e contenuto della querela)

La querela di falso può proporsi tanto in via principale quanto in corso di causa in qualunque stato e grado di giudizio, finché la verità del documento non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato.
La querela deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione degli elementi e delle prove della falsità, e deve essere proposta personalmente dalla parte oppure a mezzo di procuratore speciale, con atto di citazione o con dichiarazione da unirsi al verbale d’udienza.
È obbligatorio l’intervento nel processo del pubblico ministero.

Art. 222 (Interpello della parte che ha prodotto la scrittura)

Quando è proposta querela di falso in corso di causa, il giudice istruttore interpella la parte che ha prodotto il documento se intende valersene in giudizio. Se la risposta è negativa, il documento non è utilizzabile in causa; se è affermativa, il giudice, che ritiene il documento rilevante, autorizza la presentazione della querela nella stessa udienza o in una successiva; ammette i mezzi istruttori che ritiene idonei, e dispone i modi e i termini della loro assunzione.

Art. 223 (Processo verbale di deposito del documento)

Nell’udienza in cui è presentata la querela, si forma processo verbale di deposito nelle mani del cancelliere del documento impugnato.
Il processo verbale è redatto in presenza del pubblico ministero e delle parti, e deve contenere la descrizione dello stato in cui il documento si trova, con indicazione delle cancellature, abrasioni, aggiunte, scritture interlineari e di ogni altra particolarità che vi si riscontra.
Il giudice istruttore, il pubblico ministero e il cancelliere appongono la firma sul documento. Il giudice può anche ordinare che di esso sia fatta copia fotografica.

Art. 224 (Sequestro del documento)

Se il documento impugnato di falso si trova presso un depositario, il giudice istruttore può ordinarne il sequestro con le forme previste nel codice di procedura penale, dopo di che si redige il processo verbale di cui all’articolo precedente.
Se non è possibile il deposito del documento in cancelleria, il giudice dispone le necessarie cautele per la conservazione di esso e redige il processo verbale alla presenza del depositario, nel luogo dove il documento si trova.

Art. 225 (Decisione sulla querela)

Sulla querela di falso pronuncia sempre il collegio.
Il giudice istruttore può rimettere le parti al collegio per la decisione sulla querela indipendentemente dal merito. In tal caso, su istanza di parte, può disporre che la trattazione della causa continui davanti a sé relativamente a quelle domande che possono essere decise indipendentemente dal documento impugnato.

Art. 226 (Contenuto della sentenza)

Il collegio, con la sentenza che rigetta la querela di falso, ordina la restituzione del documento e dispone che, a cura del cancelliere, sia fatta menzione della sentenza sull’originale o sulla copia che ne tiene luogo; condanna inoltre la parte querelante a una pena pecuniaria non inferiore a € 2 [1] e non superiore a € 20 [1].
Con la sentenza che accerta la falsità il collegio, anche d’ufficio, dà le disposizioni di cui all’articolo 480 [2] del codice di procedura penale.
[1] Era rispettivamente «lire quattromila» e «lire quarantamila».
[2] Ora articolo 537 del nuovo codice di procedura penale.

Art. 227 (Esecuzione della sentenza che ha pronunciato sulla querela)

L’esecuzione delle sentenze previste nell’articolo precedente non può aver luogo prima che siano passate in giudicato.
Se non è richiesta dalle parti, l’esecuzione è promossa dal pubblico ministero a spese del soccombente con l’osservanza, in quanto applicabili, delle norme dell’articolo 481 [1] del codice di procedura penale.
[2] Ora articolo 675 del nuovo codice di procedura penale.


§ 6: DELLA CONFESSIONE GIUDIZIALE E DELL’INTERROGATORIO FORMALE
Art. 228 (Confessione giudiziale)

La confessione giudiziale è spontanea o provocata mediante interrogatorio formale.

Art. 229 (Confessione spontanea)

La confessione spontanea può essere contenuta in qualsiasi atto processuale firmato dalla parte personalmente, salvo il caso dell’articolo 117.

Art. 230 (Modo dell’interrogatorio)

L’interrogatorio deve essere dedotto per articoli separati e specifici.
Il giudice istruttore procede all’assunzione dell’interrogatorio nei modi e termini stabiliti nell’ordinanza che l’ammette.
Non possono farsi domande su fatti diversi da quelli formulati nei capitoli, ad eccezione delle domande su cui le parti concordano e che il giudice ritiene utili; ma il giudice può sempre chiedere i chiarimenti opportuni sulle risposte date.

Art. 231 (Risposta)

La parte interrogata deve rispondere personalmente. Essa non può servirsi di scritti preparati, ma il giudice istruttore può consentirle di valersi di note o appunti, quando deve fare riferimento a nomi o a cifre, o quando particolari circostanze lo consigliano.

Art. 232 (Mancata risposta)

Se la parte non si presenta o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il collegio, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio.
Il giudice istruttore, che riconosce giustificata la mancata presentazione della parte per rispondere all’interrogatorio, dispone per l’assunzione di esso anche fuori della sede giudiziaria.


§ 7: DEL GIURAMENTO
Art. 233 (Deferimento del giuramento decisorio)

Il giuramento decisorio può essere deferito in qualunque stato della causa davanti al giudice istruttore, con dichiarazione fatta all’udienza dalla parte o dal procuratore munito di mandato speciale o con atto sottoscritto dalla parte.
Esso deve essere formulato in articoli separati, in modo chiaro e specifico.

Art. 234 (Riferimento)

Finché non abbia dichiarato di essere pronta a giurare, la parte, alla quale il giuramento decisorio è stato deferito, può riferirlo all’avversario nei limiti fissati dal codice civile.

Art. 235 (Irrevocabilità)

La parte, che ha deferito o riferito il giuramento decisorio, non può più revocarlo quando l’avversario ha dichiarato di essere pronto a prestarlo.

Art. 236 (Caso di revocabilità)

Se nell’ammettere il giuramento decisorio il giudice modifica la formula proposta dalla parte, questa può revocarlo.

Art. 237 (Risoluzione delle contestazioni)

Le contestazioni sorte tra le parti circa l’ammissione del giuramento decisorio sono decise dal collegio.
L’ordinanza del collegio che ammette il giuramento deve essere notificata personalmente alla parte.

Art. 238 (Prestazione)

Il giuramento decisorio è prestato personalmente dalla parte ed è ricevuto dal giudice istruttore. Questi ammonisce il giurante sull’importanza religiosa e morale dell’atto e sulle conseguenze penali delle dichiarazioni false, e quindi lo invita a giurare [1].
Il giurante, in piedi, pronuncia a chiara voce le parole: “consapevole della responsabilità che col giuramento assumo davanti a Dio e agli uomini, giuro...”, e continua ripetendo le parole della formula su cui giura [1].
[1] La Corte costituzionale, con sentenza 8 ottobre 1996, n. 334, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del primo comma limitatamente alle parole «religiosa e» e del secondo comma limitatamente alle parole «davanti a Dio e agli uomini».

Art. 239 (Mancata prestazione)

La parte alla quale il giuramento decisorio è deferito, se non si presenta senza giustificato motivo all’udienza all’uopo fissata, o, comparendo, rifiuta di prestarlo o non lo riferisce all’avversario, soccombe rispetto alla domanda o al punto di fatto relativamente al quale il giuramento è stato ammesso; e del pari soccombe la parte avversaria, se rifiuta di prestare il giuramento che le è riferito.
Il giudice istruttore, se ritiene giustificata la mancata comparizione della parte che deve prestare il giuramento, provvede a norma dell’articolo 232 secondo comma.

Art. 240 (Deferimento del giuramento suppletorio)

Nelle cause riservate alla decisione collegiale, il giuramento suppletorio può essere deferito esclusivamente dal collegio.
Articolo così modificato dall’art. 27, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 241 (Ammissibilità e contenuto del giuramento d’estimazione)

Il giuramento sul valore della cosa domandata può essere deferito dal collegio a una delle parti, soltanto se non è possibile accertare altrimenti il valore della cosa stessa. In questo caso il collegio deve anche determinare la somma fino a concorrenza della quale il giuramento avrà efficacia.

Art. 242 (Divieto di riferire il giuramento suppletorio)

Il giuramento deferito d’ufficio a una delle parti non può da questa essere riferito all’altra.

Art. 243 (Rinvio alle norme sul giuramento decisorio)

Per la prestazione del giuramento deferito d’ufficio si applicano le disposizioni relative al giuramento decisorio.


§ 8: DELLA PROVA PER TESTIMONI
Art. 244 (Modo di deduzione)

La prova per testimoni deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata.
[abrogato] La parte contro la quale la prova è proposta, anche quando si oppone all’ammissione, deve indicare a sua volta nella prima risposta le persone che intende fare interrogare e deve dedurre per articoli separati i fatti sui quali debbono essere interrogate [1].
[abrogato] Il giudice istruttore, secondo le circostanze, può assegnare un termine perentorio alle parti per formulare o integrare tali indicazioni [1].
[1] Commi abrogati dall’art. 89, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 245 (Ordinanza di ammissione)

Con l’ordinanza che ammette la prova il giudice istruttore riduce le liste dei testimoni sovrabbondanti ed elimina i testimoni che non possono essere sentiti per legge.
La rinuncia fatta da una parte all’audizione dei testimoni da essa indicati non ha effetto se le altre non vi aderiscono e se il giudice non vi consente.

Art. 246 (Incapacità a testimoniare)

Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.

Art. 247 (Divieto di testimoniare)

Non possono deporre il coniuge ancorché separato, i parenti o affini in linea retta e coloro che sono legati a una delle parti da vincoli di affiliazione, salvo che la causa verta su questioni di stato, di separazione personale o relative a rapporti di famiglia.
La Corte costituzionale, con sentenza 23 luglio 1974, n. 248, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo.

Art. 248 (Audizione dei minori degli anni quattordici)

I minori degli anni quattordici possono essere sentiti solo quando la loro audizione è resa necessaria da particolari circostanze. Essi non prestano giuramento.
La Corte costituzionale, con sentenza 11 giugno 1975, n. 139, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo.

Art. 249 (Facoltà d’astensione)

Si applicano all’audizione dei testimoni le disposizioni degli articoli 351 e 352 del codice di procedura penale relative alla facoltà d’astensione dei testimoni.
[1] Le parole «degli articoli 351 e 352» sono state così sostituite dall’art. 46, comma 6, L. 18 giugno 2009, n. 69.

Art. 250 (Intimazione ai testimoni)

L’ufficiale giudiziario, su richiesta della parte interessata, intima ai testimoni ammessi dal giudice istruttore di comparire nel luogo, nel giorno e nell’ora fissati, indicando il giudice che assume la prova e la causa nella quale debbono essere sentiti.
L’intimazione di cui al primo comma, se non è eseguita in mani proprie del destinatario o mediante servizio postale, è effettuata in busta chiusa e sigillata [1].
L’intimazione al testimone ammesso su richiesta delle parti private a comparire in udienza può essere effettuata dal difensore attraverso l’invio di copia dell’atto mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o a mezzo posta elettronica certificata o mezzo telefax [2].
Il difensore che ha spedito l’atto da notificare con lettera raccomandata deposita nella cancelleria del giudice copia dell’atto inviato, attestandone la conformità all’originale, e l’avviso di ricevimento [3].
[1] Comma aggiunto dall’art. 174, comma 8, D.L. 30 giugno 2003, n. 196.
[2] Comma aggiunto dall’art 2, comma 3d, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, con decorrenza dall’1 marzo 2006, e successivamente così modificato dall’art. 25, comma 1h, L. 12 novembre 2011, n. 183.
[3] Comma aggiunto dall’art 2, comma 3d, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, con decorrenza dall’1 marzo 2006.

Art. 251 (Giuramento dei testimoni)

I testimoni sono esaminati separatamente.
Il giudice istruttore ammonisce il testimone sulla importanza religiosa e morale del giuramento e sulle conseguenze penali delle dichiarazioni false o reticenti, e legge la formula: “consapevole della responsabilità che con il giuramento assumete davanti a Dio [1] e agli uomini, giurate di dire la verità, null’altro che la verità”. Quindi il testimone, in piedi, presta il giuramento pronunciando le parole: “lo giuro” [2].
[1] La Corte costituzionale, con sentenza n. 117 del 10 ottobre 1979, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non contiene l’inciso «se credente».
[2] La Corte costituzionale, con sentenza 5 maggio 1995, n. 149, ha dichiarato l’illegittimità del comma nella parte in cui prevede:
a) che il giudice istruttore «ammonisce il testimone sull’importanza religiosa, se credente, e morale del giuramento e sulle», anziché stabilire che il giudice istruttore «avverte il testimone dell’obbligo di dire la verità e delle»;
b) che il giudice istruttore «legge la formula: “consapevole della responsabilità che con il giuramento assumete davanti a Dio, se credente, e agli uomini, giurate di dire la verità, null’altro che la verità”», anziché stabilire che il giudice istruttore «lo invita a rendere la seguente dichiarazione: “consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”»;
c) «Quindi il testimone, in piedi, presta il giuramento pronunciando le parole: “lo giuro”».

Art. 252 (Identificazione dei testimoni)

Il giudice istruttore richiede al testimone il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita, l’età e la professione, lo invita a dichiarare se ha rapporti di parentela, affinità, affiliazione o dipendenza con alcuna delle parti, oppure interesse nella causa.
Le parti possono fare osservazioni sull’attendibilità del testimone, e questi deve fornire in proposito i chiarimenti necessari. Delle osservazioni e dei chiarimenti si fa menzione nel processo verbale prima dell’audizione del testimone.

Art. 253 (Interrogazioni e risposte)

Il giudice istruttore interroga il testimone sui fatti intorno ai quali è chiamato a deporre. Può altresì rivolgergli, d’ufficio o su istanza di parte, tutte le domande che ritiene utili a chiarire i fatti medesimi.
È vietato alle parti e al pubblico ministero di interrogare direttamente i testimoni.
Alle risposte dei testimoni si applica la disposizione dell’articolo 231.

Art. 254 (Confronto dei testimoni)

Se vi sono divergenze tra le deposizioni di due o più testimoni, il giudice istruttore, su istanza di parte o d’ufficio, può disporre che essi siano messi a confronto.

Art. 255 (Mancata comparizione dei testimoni)

Se il testimone regolarmente intimato non si presenta, il giudice istruttore può ordinare una nuova intimazione oppure disporne l’accompagnamento all’udienza stessa o ad altra successiva. Con la medesima ordinanza il giudice, in caso di mancata comparizione senza giustificato motivo, può condannarlo ad una pena pecuniaria non inferiore a 100 euro e non superiore a 1.000 euro [1].
Se il testimone si trova nell’impossibilità di presentarsi o ne è esentato dalla legge o dalle convenzioni internazionali, il giudice si reca nella sua abitazione o nel suo ufficio; e, se questi sono situati fuori della circoscrizione del tribunale, delega all’esame il giudice istruttore [2] del luogo.
[1] Comma così sostituito dall’art. 2, comma 1n, L. 28 dicembre 2005, n. 263.
[2] La parola «pretore» è stata sostituita dalle parole «giudice istruttore» dall’art. 65, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.

Art. 256 (Rifiuto di deporre e falsità della testimonianza)

Se il testimone, presentandosi, rifiuta di giurare o di deporre senza giustificato motivo, o se vi è fondato sospetto che egli non abbia detto la verità o sia stato reticente, il giudice istruttore lo denuncia al pubblico ministero, al quale trasmette copia del processo verbale [1].
[1] Le parole «Il giudice può ordinare l’arresto del testimone» sono state soppresse dall’art 2, comma 2o, L. 28 dicembre 2005, n. 263.

Art. 257 (Assunzione di nuovi testimoni e rinnovazione dell’esame)

Se alcuno dei testimoni si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice istruttore può disporre d’ufficio che esse siano chiamate a deporre.
Il giudice può anche disporre che siano sentiti i testimoni dei quali ha ritenuto l’audizione superflua a norma dell’articolo 245 o dei quali ha consentito la rinuncia; e del pari può disporre che siano nuovamente esaminati i testimoni già interrogati, al fine di chiarire la loro deposizione o di correggere irregolarità avveratesi nel precedente esame.

Art. 257-bis. (Testimonianza scritta)

Il giudice, su accordo delle parti, tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, può disporre di assumere la deposizione chiedendo al testimone, anche nelle ipotesi di cui all’articolo 203, di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato.
Il giudice, con il provvedimento di cui al primo comma, dispone che la parte che ha richiesto l’assunzione predisponga il modello di testimonianza in conformità agli articoli ammessi e lo faccia notificare al testimone.
Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione.
Il testimone sottoscrive la deposizione apponendo la propria firma autenticata su ciascuna delle facciate del foglio di testimonianza, che spedisce in busta chiusa con plico raccomandato o consegna alla cancelleria del giudice.
Quando il testimone si avvale della facoltà d’astensione di cui all’articolo 249, ha l’obbligo di compilare il modello di testimonianza, indicando le complete generalità e i motivi di astensione.
Quando il testimone non spedisce o non consegna le risposte scritte nel termine stabilito, il giudice può condannarlo alla pena pecuniaria di cui all’articolo 255, primo comma.
Quando la testimonianza ha ad oggetto documenti di spesa già depositati dalle parti, essa può essere resa mediante dichiarazione sottoscritta dal testimone e trasmessa al difensore della parte nel cui interesse la prova e’ stata ammessa, senza il ricorso al modello di cui al secondo comma.
Il giudice, esaminate le risposte o le dichiarazioni, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato.
Articolo aggiunto dall’art. 46, comma 8, L. 18 giugno 2009, n.69


§ 9: DELLE ISPEZIONI, DELLE RIPRODUZIONI MECCANICHE E DEGLI ESPERIMENTI
Art. 258 (Ordinanza d’ispezione)

L’ispezione di luoghi, di cose mobili e immobili, o delle persone è disposta dal giudice istruttore, il quale fissa il tempo, il luogo e il modo dell’ispezione.

Art. 259 (Modo dell’ispezione)

All’ispezione procede personalmente il giudice istruttore, assistito, quando occorre, da un consulente tecnico, anche se l’ispezione deve eseguirsi fuori della circoscrizione del tribunale, tranne che esigenze di servizio gli impediscano di allontanarsi dalla sede. In tal caso delega il giudice istruttore del luogo [1] a norma dell’articolo 203.
[1] La parola «pretore» è stata sostituita dalle parole «giudice istruttore del luogo» dall’art. 66, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.

Art. 260 (Ispezione corporale)

Il giudice istruttore può astenersi dal partecipare all’ispezione corporale e disporre che vi proceda il solo consulente tecnico.
All’ispezione corporale deve procedersi con ogni cautela diretta a garantire il rispetto della persona.

Art. 261 (Riproduzioni, copie ed esperimenti)

Il giudice istruttore può disporre che siano eseguiti rilievi, calchi e riproduzioni anche fotografiche di oggetti, documenti e luoghi, e, quando occorre, rilevazioni cinematografiche o altre che richiedono l’impiego di mezzi, strumenti o procedimenti meccanici.
Egualmente, per accertare se un fatto sia o possa essersi verificato in un dato modo, il giudice può ordinare di procedere alla riproduzione del fatto stesso, facendone eventualmente eseguire la rilevazione fotografica o cinematografica.
Il giudice presiede all’esperimento e, quando occorre, ne affida l’esecuzione a un esperto che presta giuramento a norma dell’articolo 193.

Art. 262 (Poteri del giudice istruttore)

Nel corso dell’ispezione o dell’esperimento il giudice istruttore può sentire testimoni per informazioni e dare i provvedimenti necessari per l’esibizione della cosa o per accedere alla località.
Può anche disporre l’accesso in luoghi appartenenti a persone estranee al processo, sentite se è possibile queste ultime, e prendendo in ogni caso le cautele necessarie alla tutela dei loro interessi.


§ 10: DEL RENDIMENTO DEI CONTI
Art. 263 (Presentazione e accettazione del conto)

Se il giudice ordina la presentazione di un conto, questo deve essere depositato in cancelleria con i documenti giustificativi, almeno cinque giorni prima dell’udienza fissata per la discussione di esso.
Se il conto viene accettato, il giudice istruttore ne dà atto nel processo verbale e ordina il pagamento delle somme che risultano dovute. L’ordinanza non è impugnabile e costituisce titolo esecutivo.

Art. 264 (Impugnazione e discussione)

La parte che impugna il conto deve specificare le partite che intende contestare. Se chiede un termine per la specificazione, il giudice istruttore fissa un’udienza per tale scopo.
Se le parti, in seguito alla discussione, concordano nel risultato del conto, il giudice provvede a norma del secondo comma dell’articolo precedente.
In ogni caso il giudice può disporre, con ordinanza non impugnabile il pagamento del sopravanzo che risulta dal conto o dalla discussione dello stesso.

Art. 265 (Giuramento)

Il collegio può ammettere il creditore a determinare con giuramento le somme a lui dovute, se la parte tenuta al rendiconto non lo presenta o rimane contumace. Si applica in tal caso la disposizione dell’articolo 241.
Il collegio può altresì ordinare a chi rende il conto di asseverare con giuramento le partite per le quali non si può, o non si suole richiedere ricevuta; ma può anche ammetterle senza giuramento, quando sono verosimili e ragionevoli.

Art. 266 (Revisione del conto approvato)

La revisione del conto che la parte ha approvato può essere chiesta, anche in separato processo, soltanto in caso di errore materiale, omissione, falsità o duplicazione di partite.


Sezione IV: DELL’INTERVENTO DI TERZI E DELLA RIUNIONE DI PROCEDIMENTI

§ 1: DELL’INTERVENTO DI TERZI
Art. 267 (Costituzione del terzo interveniente)

Per intervenire nel processo a norma dell’articolo 105, il terzo deve costituirsi presentando in udienza o depositando in cancelleria una comparsa formata a norma dell’articolo 167 con le copie per le altre parti, i documenti e la procura.
Il cancelliere dà notizia dell’intervento alle altre parti, se la costituzione del terzo non è avvenuta in udienza.

Art. 268 (Termine per l’intervento)

L’intervento può aver luogo sino a che non vengano precisate le conclusioni.
Il terzo non può compiere atti che al momento dell’intervento non sono più consentiti ad alcuna altra parte, salvo che comparisca volontariamente per l’integrazione necessaria del contraddittorio.
Articolo così sostituito dall’art. 28, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 269 (Chiamata di un terzo in causa)

Alla chiamata di un terzo nel processo a norma dell’articolo 106, la parte provvede mediante citazione a comparire nell’udienza fissata dal giudice istruttore ai sensi del presente articolo, osservati i termini dell’articolo 163-bis.
Il convenuto che intenda chiamare un terzo in causa deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di risposta e contestualmente chiedere al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell’articolo 163-bis. Il giudice istruttore, entro cinque giorni dalla richiesta, provvede con decreto a fissare la data della nuova udienza. Il decreto è comunicato dal cancelliere alle parti costituite. La citazione è notificata al terzo a cura del convenuto.
Ove, a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, sia sorto l’interesse dell’attore a chiamare in causa un terzo, l’attore deve, a pena di decadenza, chiederne l’autorizzazione al giudice istruttore nella prima udienza. Il giudice istruttore, se concede l’autorizzazione, fissa una nuova udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell’articolo 163-bis. La citazione è notificata al terzo a cura dell’attore entro il termine perentorio stabilito dal giudice. La parte che chiama in causa il terzo deve depositare la citazione notificata entro il termine previsto dall’articolo 165, e il terzo deve costituirsi a norma dell’articolo 166.
Nell’ipotesi prevista dal terzo comma, restano ferme per le parti le preclusioni ricollegate alla prima udienza di trattazione, ma i termini eventuali di cui al sesto comma dell’articolo 183 sono fissati dal giudice istruttore nella udienza di comparizione del terzo [1].
Articolo così sostituito dall’art. 29, L. 26 novembre 1990, n. 353.
[1] Comma così sostituito dall’art. 2, comma 1p, L. 28 dicembre 2005, n. 263, con decorrenza dall’1 marzo 2006.

Art. 270 (Chiamata di un terzo per ordine del giudice)

La chiamata di un terzo nel processo a norma dell’articolo 107 può essere ordinata in ogni momento dal giudice istruttore per una udienza che all’uopo egli fissa.
Se nessuna delle parti provvede alla citazione del terzo, il giudice istruttore dispone con ordinanza non impugnabile la cancellazione della causa dal ruolo.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.

Art. 271 (Costituzione del terzo chiamato)

Al terzo si applicano, con riferimento all’udienza per la quale è citato, le disposizioni degli articoli 166 e 167, primo comma. Se intende chiamare a sua volta in causa un terzo, deve farne dichiarazione a pena di decadenza nella comparsa di risposta ed essere poi autorizzato dal giudice ai sensi del terzo comma dell’articolo 269.
Articolo così sostituito dall’art. 30, L. 26 novembre 1990, n. 353.
La Corte costituzionale, con sentenza 23 luglio 1997, n. 260, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non prevede per il terzo chiamato in causa l’applicazione dell’art. 167, secondo comma, del presente codice.

Art. 272 (Decisione delle questioni relative all’intervento)

Le questioni relative all’intervento sono decise dal collegio insieme col merito, salvo che il giudice istruttore disponga a norma dell’articolo 187 secondo comma.


§ 2: DELLA RIUNIONE DEI PROCEDIMENTI
Art. 273 (Riunione di procedimenti relativi alla stessa causa)

Se più procedimenti relativi alla stessa causa pendono davanti allo stesso giudice, questi, anche d’ufficio, ne ordina la riunione.
Se il giudice istruttore o il presidente della sezione ha notizia che per la stessa causa pende procedimento davanti ad altro giudice o ad altra sezione dello stesso tribunale, ne riferisce al presidente, il quale, sentite le parti, ordina con decreto la riunione, determinando la sezione o designando il giudice davanti al quale il procedimento deve proseguire.

Art. 274 (Riunione di procedimenti relativi a cause connesse)

Se più procedimenti relativi a cause connesse pendono davanti allo stesso giudice, questi, anche d’ufficio, può disporne la riunione.
Se il giudice istruttore o il presidente della sezione ha notizia che per una causa connessa pende procedimento davanti ad altro giudice o davanti ad altra sezione dello stesso tribunale, ne riferisce al presidente, il quale, sentite le parti, ordina con decreto che le cause siano chiamate alla medesima udienza davanti allo stesso giudice o alla stessa sezione per i provvedimenti opportuni.

[abrogato] Art. 274 bis (Rapporti tra collegio e giudice istruttore in funzione di giudice unico)

Il collegio, quando rileva che una causa, rimessa dinanzi a lui per la decisione, deve essere decisa dal giudice istruttore in funzione di giudice unico, rimette la causa dinanzi a quest’ultimo con ordinanza non impugnabile. Il giudice istruttore provvede ai sensi dell’articolo 190-bis.
Il giudice istruttore, quando rileva che una causa, riservata per la decisione dinanzi a sé in funzione di giudice unico, deve essere rimessa al collegio, provvede ai sensi degli articoli 187, 188 e 189.
In caso di connessione tra cause attribuite al collegio e cause attribuite al giudice istruttore in funzione di giudice unico, questi ne ordina la riunione e, all’esito dell’istruttoria, le rimette, ai sensi dell’articolo 189, al collegio, il quale si pronuncia su tutte le domande, a meno che non sia disposta la separazione ai sensi dell’articolo 279, secondo comma, numero 5).
Alla nullità derivante dalla inosservanza delle disposizioni di legge relative alla composizione del tribunale giudicante si applicano gli articoli 158 e 161, primo comma.
Articolo aggiunto dall’art. 31, L. 26 novembre 1990, n. 353, e successivamente abrogato dall’art. 67, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.


Capo III: DELLA DECISIONE DELLA CAUSA

Art. 275 (Decisione del collegio)

Rimessa la causa al collegio, la sentenza è depositata in cancelleria entro sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica di cui all’articolo 190.
Ciascuna delle parti, nel precisare le conclusioni, può chiedere che la causa sia discussa oralmente dinanzi al collegio. In tal caso, fermo restando il rispetto dei termini indicati nell’articolo 190 per il deposito delle difese scritte, la richiesta deve essere riproposta al presidente del tribunale alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica.
Il presidente provvede sulla richiesta fissando con decreto la data dell’udienza di discussione, da tenersi entro sessanta giorni.
Nell’udienza il giudice istruttore fa la relazione orale della causa. Dopo la relazione, il presidente ammette le parti alla discussione; la sentenza è depositata in cancelleria entro i sessanta giorni successivi.
Articolo così sostituito dall’art. 32, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 276 (Deliberazione)

La decisione è deliberata in segreto nella camera di consiglio. Ad essa possono partecipare soltanto i giudici che hanno assistito alla discussione.
Il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e quindi il merito della causa.
La decisione è presa a maggioranza di voti. Il primo a votare è il relatore, quindi l’altro giudice e infine il presidente.
Se intorno a una questione si prospettano più soluzioni e non si forma la maggioranza alla prima votazione, il presidente mette ai voti due delle soluzioni per escluderne una, quindi mette ai voti la non esclusa e quella eventualmente restante, e così successivamente finché le soluzioni siano ridotte a due, sulle quali avviene la votazione definitiva.
Chiusa la votazione, il presidente scrive e sottoscrive il dispositivo. La motivazione è quindi stesa dal relatore, a meno che il presidente non creda di stenderla egli stesso o affidarla all’altro giudice.

Art. 277 (Pronuncia sul merito)

Il collegio nel deliberare sul merito deve decidere tutte le domande proposte e le relative eccezioni, definendo il giudizio.
Tuttavia il collegio, anche quando il giudice istruttore gli ha rimesso la causa a norma dell’articolo 187 primo comma, può limitare la decisione ad alcune domande, se riconosce che per esse soltanto non sia necessaria un’ulteriore istruzione, e se la loro sollecita definizione è di interesse apprezzabile per la parte che ne ha fatto istanza.

Art. 278 (Condanna generica - Provvisionale)

Quando è già accertata la sussistenza di un diritto, ma è ancora controversa la quantità della prestazione dovuta, il collegio, su istanza di parte, può limitarsi a pronunciare con sentenza la condanna generica alla prestazione, disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la liquidazione.
In tal caso il collegio, con la stessa sentenza e sempre su istanza di parte, può altresì condannare il debitore al pagamento di una provvisionale, nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.

Art. 279 (Forma dei provvedimenti del collegio)

Il collegio pronuncia ordinanza quando provvede soltanto su questioni relative all’istruzione della causa, senza definire il giudizio, nonché quando decide soltanto questioni di competenza. In tal caso, se non definisce il giudizio, impartisce con la stessa ordinanza i provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa [1].
Il collegio pronuncia sentenza:
1) quando definisce il giudizio, decidendo questioni di giurisdizione [2];
2) quando definisce il giudizio, decidendo questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari di merito;
3) quando definisce il giudizio, decidendo totalmente il merito;
4) quando, decidendo alcune delle questioni di cui ai numeri 1, 2 e 3, non definisce il giudizio e impartisce distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa;
5) quando, valendosi della facoltà di cui agli articoli 103, secondo comma, e 104, secondo comma, decide solo alcune delle cause fino a quel momento riunite, e con distinti provvedimenti dispone la separazione delle altre cause e l’ulteriore istruzione riguardo alle medesime, ovvero la rimessione al giudice inferiore delle cause di sua competenza.
I provvedimenti per l’ulteriore istruzione, previsti dai numeri 4 e 5, sono dati con separata ordinanza.
I provvedimenti del collegio, che hanno forma di ordinanza, comunque motivati, non possono mai pregiudicare la decisione della causa; salvo che la legge disponga altrimenti, essi sono modificabili e revocabili dallo stesso collegio, e non sono soggetti ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze. Le ordinanze del collegio sono sempre immediatamente esecutive. Tuttavia, quando sia stato proposto appello immediato contro una delle sentenze previste dal n. 4 del secondo comma, il giudice istruttore, su istanza concorde delle parti, qualora ritenga che i provvedimenti dell’ordinanza collegiale siano dipendenti da quelli contenuti nella sentenza impugnata, può disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione o la prosecuzione dell’ulteriore istruttoria sia sospesa sino alla definizione del giudizio di appello.
L’ordinanza è depositata in cancelleria insieme con la sentenza.
Articolo sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
[1] Comma sostituito dall’art. 46, comma 9a, L. 18 giugno 2009, n. 69, [2] Le parole «o di competenza» sono state soppresse dall’art. 46, comma 9b, L. 18 giugno 2009, n. 69.

Art. 280 (Contenuto e disciplina dell’ordinanza del collegio)

Con la sua ordinanza il collegio fissa l’udienza per la comparizione delle parti davanti al giudice istruttore o davanti a sé nel caso previsto nell’articolo seguente.
Il cancelliere inserisce l’ordinanza nel fascicolo di ufficio e ne dà tempestiva comunicazione alle parti a norma dell’articolo 176 secondo comma.
Per effetto dell’ordinanza il giudice istruttore è investito di tutti i poteri per l’ulteriore trattazione della causa.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.

Art. 281 (Rinnovazione di prove davanti al collegio)

Quando ne ravvisa la necessità, il collegio, anche d’ufficio, può disporre la riassunzione davanti a sé di uno o più mezzi di prova.


Capo III-bis: DEL PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA

Capo aggiunto dall’art. 68, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51

Art. 281-bis (Norme applicabili)

Nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dei capi precedenti, ove non derogate dalle disposizioni del presente capo.

Art. 281-ter (Poteri istruttori del giudice)

Il giudice può disporre d’ufficio la prova testimoniale formulandone i capitoli, quando le parti nella esposizione dei fatti si sono riferite a persone che appaiono in grado di conoscere la verità.

Art. 281-quater (Decisione del tribunale in composizione monocratica)

Le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione monocratica sono decise, con tutti i poteri del collegio, dal giudice designato a norma dell’articolo 168-bis o dell’articolo 484, secondo comma.

Art. 281-quinquies (Decisione a seguito di trattazione scritta o mista)

Il giudice, fatte precisare le conclusioni a norma dell’articolo 189, dispone lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica a norma dell’articolo 190 e, quindi, deposita la sentenza in cancelleria entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica.
Se una delle parti lo richiede, il giudice, disposto lo scambio delle sole comparse conclusionali a norma dell’articolo 190, fissa l’udienza di discussione orale non oltre trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle comparse medesime; la sentenza è depositata entro i trenta giorni successivi all’udienza di discussione.

Art. 281-sexies (Decisione a seguito di trattazione orale)

Se non dispone a norma dell’articolo 281-quinquies, il giudice, fatte precisare le conclusioni, può ordinare la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte, in un’udienza successiva e pronunciare sentenza al termine della discussione, dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
In tal caso, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria.


Capo III-ter: DEI RAPPORTI TRA COLLEGIO E GIUDICE MONOCRATICO

Capo aggiunto dall’art. 68, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51

Art. 281-septies (Rimessione della causa al giudice monocratico)

Il collegio, quando rileva che una causa, rimessa davanti a lui per la decisione, deve essere decisa dal tribunale in composizione monocratica, rimette la causa davanti al giudice istruttore con ordinanza non impugnabile perché provveda, quale giudice monocratico, a norma degli articoli 281-quater, 281-quinquies e 281-sexies.

Art. 281-octies (Rimessione della causa al tribunale in composizione collegiale)

Il giudice, quando rileva che una causa, riservata per la decisione davanti a sé in funzione di giudice monocratico, deve essere decisa dal tribunale in composizione collegiale, provvede a norma degli articoli 187, 188 e 189.

Art. 281-nonies. (Connessione)

In caso di connessione tra cause che debbono essere decise dal tribunale in composizione collegiale e cause che debbono essere decise dal tribunale in composizione monocratica, il giudice istruttore ne ordina la riunione e, all’esito dell’istruttoria, le rimette, a norma dell’articolo 189, al collegio, il quale pronuncia su tutte le domande, a meno che disponga la separazione a norma dell’articolo 279, secondo comma, numero 5).


Capo IV: DELL’ESECUTORIETÀ E DELLA NOTIFICAZIONE DELLE SENTENZE

Art. 282 (Esecuzione provvisoria)

La sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti.
Articolo così sostituito dall’art. 33, L. 26 novembre 1990, n.353.

Art. 283 (Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello)

Il giudice dell’appello, su istanza di parte, proposta con l’impugnazione principale o con quella incidentale, quando sussistono gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti, sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva, con o senza cauzione.
Se l’istanza prevista dal comma che precede è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L’ordinanza e' revocabile con la sentenza che definisce il giudizio [1].
Articolo così sostituito dall’art. 2, comma 1q, L. 28 dicembre 2005, n. 263.
[1] Comma aggiunto dall’art. 27, L. 12 novembre 2011, n. 183, in vigore dall’1 gennaio 2012.


[abrogato] Art. 284 (Concessione o revoca dell’esecuzione provvisoria relativa a sentenze parziali)

Se l’esecuzione provvisoria riguarda sentenze parziali, l’istanza di concessione o di revoca di cui all’articolo precedente può essere proposta con ricorso contenente, quando è chiesta la revoca, la dichiarazione di cui all'articolo 340, se non è stata già fatta. Il ricorso deve essere presentato, a norma dell’articolo 351 secondo comma, nel termine per proporre appello decorrente dalla comunicazione della sentenza.
Articolo abrogato dalla L. 14 luglio 1950, n.581.

Art. 285 (Modo di notificazione della sentenza)

La notificazione della sentenza, al fine della decorrenza del termine per l’impugnazione, si fa, su istanza di parte, a norma dell’articolo 170 [1].
[1] Le parole «primo e terzo comma» sono state soppresse dall’art. 46, comma 10, L. 18 giugno 2009, n. 69,

Art. 286 (Notificazione nel caso d’interruzione)

Se dopo la chiusura della discussione si è avverato uno dei casi previsti nell’articolo 299, la notificazione della sentenza si può fare, anche a norma dell’articolo 303 secondo comma, a coloro ai quali spetta stare in giudizio.
Se si è avverato uno dei casi previsti nell’articolo 301, la notificazione si fa alla parte personalmente.


Capo V: DELLA CORREZIONE DELLE SENTENZE E DELLE ORDINANZE

Art. 287 (Casi di correzione)

Le sentenze contro le quali non sia stato proposto appello [1] e le ordinanze non revocabili possono essere corrette, su ricorso di parte, dallo stesso giudice che le ha pronunciate, qualora egli sia incorso in omissioni o in errori materiali o di calcolo.
[1] La Corte costituzionale, con sentenza 10 novembre 2004, n. 335, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo limitatamente alle parole «contro le quali non sia stato proposto appello».

Art. 288 (Procedimento di correzione)

Se tutte le parti concordano nel chiedere la stessa correzione, il giudice provvede con decreto.
Se è chiesta da una delle parti, il giudice, con decreto da notificarsi insieme col ricorso a norma dell’articolo 170 primo e terzo comma, fissa l’udienza nella quale le parti debbono comparire davanti a lui. Sull’istanza il giudice provvede con ordinanza, che deve essere annotata sull’originale del provvedimento.
Se è chiesta la correzione di una sentenza dopo un anno dalla pubblicazione, il ricorso e il decreto debbono essere notificati alle altre parti personalmente.
Le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione.

Art. 289 (Integrazione dei provvedimenti istruttori)

I provvedimenti istruttori, che non contengono la fissazione dell’udienza successiva o del termine entro il quale le parti debbono compiere gli atti processuali, possono essere integrati, su istanza di parte o d’ufficio, entro il termine perentorio di sei mesi dall’udienza in cui i provvedimenti furono pronunciati, oppure dalla loro notificazione o comunicazione se prescritte.
L’integrazione è disposta dal presidente del collegio nel caso di provvedimento collegiale e dal giudice istruttore negli altri casi, con decreto che è comunicato a tutte le parti a cura del cancelliere.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.


Capo VI: DEL PROCEDIMENTO IN CONTUMACIA

Art. 290 (Contumacia dell’attore)

Nel dichiarare la contumacia dell’attore a norma dell’articolo 171 ultimo comma, il giudice istruttore, se il convenuto ne fa richiesta, ordina che sia proseguito il giudizio e dà le disposizioni previste nell’articolo 187, altrimenti dispone che la causa sia cancellata dal ruolo, e il processo si estingue.

Art. 291 (Contumacia del convenuto)

Se il convenuto non si costituisce e il giudice istruttore rileva un vizio che importi nullità nella notificazione della citazione, fissa all’attore un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza [1].
Se il convenuto non si costituisce neppure all’udienza fissata a norma del comma precedente, il giudice provvede a norma dell’articolo 171, ultimo comma.
Se l’ordine di rinnovazione della citazione di cui al primo comma non è eseguito, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue a norma dell’articolo 307, comma terzo.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
[1] Il comma si applica anche nei giudizi davanti ai giudici amministrativi e contabili, secondo l’art. 26, comma 24, L. 18 giugno 2009, n. 69.

Art. 292 (Notificazione e comunicazione di atti al contumace)

L’ordinanza che ammette l’interrogatorio o il giuramento, e le comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali da chiunque proposte sono notificate personalmente al contumace nei termini che il giudice istruttore fissa con ordinanza [1].
Le altre comparse si considerano comunicate con il deposito in cancelleria e con l’apposizione del visto del cancelliere sull’originale.
Tutti gli altri atti non sono soggetti a notificazione o comunicazione.
Le sentenze sono notificate alla parte personalmente.
La Corte costituzionale, con sentenza 28 novembre 1986, n. 250, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non prevede la notificazione al contumace del verbale in cui si dà atto della produzione della scrittura privata nei procedimenti di cognizione ordinaria dinanzi al pretore e al conciliatore, di cui al titolo II del libro II del c.p.c.
[1] La Corte costituzionale, sentenza 6 giugno 1989, n. 317, ha dichiarato l’illegittimità del presente comma, in relazione all’art. 215, n. 1, dello stesso codice, nella parte in cui non prevede la notificazione al contumace del verbale in cui si da atto della produzione della scrittura privata non indicata in atti notificati in precedenza.

Art. 293 (Costituzione del contumace)

La parte che è stata dichiarata contumace può costituirsi in ogni momento del procedimento fino all’udienza di precisazione delle conclusioni [1].
La costituzione può avvenire mediante deposito di una comparsa, della procura e dei documenti in cancelleria o mediante comparizione all’udienza.
In ogni caso il contumace che si costituisce può disconoscere, nella prima udienza o nel termine assegnatogli dal giudice istruttore, le scritture contro di lui prodotte.
[1] Comma così sostituito dall’art. 2, comma 1r, L. 28 dicembre 2005, n. 263, con decorrenza dall’1 marzo 2006.

Art. 294 (Rimessione in termini)

Il contumace che si costituisce può chiedere al giudice istruttore di essere ammesso a compiere attività che gli sarebbero precluse, se dimostra che la nullità della citazione o della sua notificazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo o che la costituzione è stata impedita da causa a lui non imputabile.
Il giudice, se ritiene verosimili i fatti allegati, ammette, quando occorre, la prova dell’impedimento, e quindi provvede sulla rimessione in termini delle parti.
I provvedimenti previsti nel comma precedente sono pronunciati con ordinanza.
Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche se il contumace che si costituisce intende svolgere, senza il consenso delle altre parti, attività difensive che producono ritardo nella rimessione al collegio della causa che sia già matura per la decisione rispetto alle parti già costituite.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.


Capo VII: DELLA SOSPENSIONE, INTERRUZIONE ED ESTINZIONE DEL PROCESSO

Sezione I: DELLA SOSPENSIONE DEL PROCESSO

Art. 295 (Sospensione necessaria)

Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa.
Articolo così sostituito dall’art. 35, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 296 (Sospensione su istanza delle parti)

Il giudice istruttore, su istanza di tutte le parti, ove sussistano giustificati motivi, può disporre, per una sola volta, che il processo rimanga sospeso per un periodo non superiore a tre mesi, fissando l’udienza per la prosecuzione del processo medesimo.
Articolo così modificato dall’art. 26, comma 11, L. 18 giugno 2009, n. 69.

Art. 297 (Fissazione della nuova udienza dopo la sospensione)

Se col provvedimento di sospensione non è stata fissata l’udienza in cui il processo deve proseguire, le parti debbono chiederne la fissazione entro il termine perentorio di tre mesi [1] dalla cessazione della causa di sospensione di cui all’art. 3 del codice di procedura penale o dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile o amministrativa di cui all’articolo 295 [2].
Nell’ipotesi dell’articolo precedente l’istanza deve essere proposta dieci giorni prima della scadenza del termine di sospensione.
L’istanza si propone con ricorso al giudice istruttore o, in mancanza, al presidente del tribunale.
Il ricorso, col decreto che fissa l’udienza, è notificato a cura dell’istante alle altre parti nel termine stabilito dal giudice.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
[1] Le parole «sei mesi» sono state sostituite con «tre mesi» dall’art. 46, comma 12, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[2] La Corte costituzionale, con sentenza 4 marzo 1970, n. 34, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui dispone la decorrenza del termine utile per la richiesta di fissazione della nuova udienza dalla cessazione della causa di sospensione anziché dalla conoscenza che ne abbiano le parti del processo sospeso.

Art. 298 (Effetti della sospensione)

Durante la sospensione non possono essere compiuti atti del procedimento.
La sospensione interrompe i termini in corso, i quali ricominciano a decorrere dal giorno della nuova udienza fissata nel provvedimento di sospensione o nel decreto di cui all’articolo precedente.


Sezione II: DELL’INTERRUZIONE DEL PROCESSO

Art. 299 (Morte o perdita della capacità prima della costituzione)

Se prima della costituzione in cancelleria o all’udienza davanti al giudice istruttore, sopravviene la morte oppure la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti o del suo rappresentante legale o la cessazione di tale rappresentanza, il processo è interrotto, salvo che coloro ai quali spetta di proseguirlo si costituiscano volontariamente, oppure l’altra parte provveda a citarli in riassunzione, osservati i termini di cui all’articolo 163 bis.
Articolo così sostituito dal D.P.R. 17 ottobre 1950, n. 857.

Art. 300 (Morte o perdita della capacità della parte costituita o del contumace)

Se alcuno degli eventi previsti nell’articolo precedente si avvera nei riguardi della parte che si è costituita a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti.
Dal momento di tale dichiarazione o notificazione il processo è interrotto, salvo che avvenga la costituzione volontaria o la riassunzione a norma dell’articolo precedente.
Se la parte è costituita personalmente, il processo è interrotto al momento dell’evento.
Se l’evento riguarda la parte dichiarata contumace, il processo è interrotto dal momento in cui il fatto interruttivo è documentato dall’altra parte, o è notificato ovvero è certificato dall’ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione di uno dei provvedimenti di cui all’articolo 292 [1].
La Corte costituzionale, con sentenza 16 ottobre 1986, n. 220, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non prevede, ove emerga una situazione di scomparsa del convenuto, la interruzione del processo e la segnalazione, ad opera del giudice, del caso al pubblico ministero perché promuova la nomina di un curatore, nei cui confronti debba l’attore riassumere il giudizio.
[1] Comma così sostituito dall’art. 46, comma 13, L. 18 giugno 2009, n. 69, con decorrenza dal 4 luglio 2009.

Art. 301 (Morte o impedimento del procuratore)

Se la parte è costituita a mezzo di procuratore, il processo è interrotto dal giorno della morte, radiazione o sospensione del procuratore stesso.
In tal caso si applica la disposizione dell’articolo 299.
Non sono cause d’interruzione la revoca della procura o la rinuncia ad essa.

Art. 302 (Prosecuzione del processo)

Nei casi previsti negli articoli precedenti la costituzione per proseguire il processo può avvenire all’udienza o a norma dell’articolo 166. Se non è fissata alcuna udienza, la parte può chiedere con ricorso al giudice istruttore o, in mancanza, al presidente del tribunale la fissazione dell’udienza. Il ricorso e il decreto sono notificati alle altre parti a cura dell’istante.

Art. 303 (Riassunzione del processo)

Se non avviene la prosecuzione del processo a norma dell’articolo precedente, l’altra parte può chiedere la fissazione dell’udienza, notificando quindi il ricorso e il decreto a coloro che debbono costituirsi per proseguirlo.
In caso di morte della parte il ricorso deve contenere gli estremi della domanda, e la notificazione entro un anno dalla morte può essere fatta collettivamente e impersonalmente agli eredi, nell’ultimo domicilio del defunto.
Se vi sono altre parti in causa, il decreto è notificato anche ad esse.
Se la parte che ha ricevuto la notificazione non comparisce all’udienza fissata, si procede in sua contumacia.

Art. 304 (Effetti dell’interruzione)

In caso d’interruzione del processo si applica la disposizione dell’articolo 298.

Art. 305 (Mancata prosecuzione o riassunzione)

Il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre mesi [1] dall’interruzione, altrimenti si estingue.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
Successivamente la Corte Costituzionale, con sentenza 15 dicembre 1967, n. 139, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo per la parte in cui fa decorrere dalla data dell’interruzione del processo il termine per la sua prosecuzione o la sua riassunzione anche nei casi regolati dal precedente art. 301. Con successiva sentenza 6 luglio 1971, n. 159, la stessa Corte ha esteso l’illegittimità alla parte in cui si dispone che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto ai sensi dell’art. 299 e dell’art. 300 c.p.c. decorre dall’interruzione anziché dalla data in cui le parti ne abbiano avuto conoscenza.
[1] Le parole «sei mesi» sono state sostituite con «tre mesi» dall’art. 46, comma 14, L. 18 giugno 2009, n. 69.


Sezione III: DELL’ESTINZIONE DEL PROCESSO

Art. 306 (Rinuncia agli atti del giudizio)

Il processo si estingue per rinuncia agli atti del giudizio quando questa è accettata dalle parti costituite che potrebbero aver interesse alla prosecuzione. L’accettazione non è efficace se contiene riserve o condizioni.
Le dichiarazioni di rinuncia e di accettazione sono fatte dalle parti o da loro procuratori speciali, verbalmente all’udienza o con atti sottoscritti e notificati alle altre parti.
Il giudice, se la rinuncia e l’accettazione sono regolari, dichiara l’estinzione del processo.
Il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro. La liquidazione delle spese è fatta dal giudice istruttore con ordinanza non impugnabile.

Art. 307 (Estinzione del processo per inattività delle parti)

Se dopo la notificazione della citazione nessuna delle parti siasi costituita entro il termine stabilito dall’articolo 166, ovvero, se, dopo la costituzione delle stesse, il giudice, nei casi previsti dalla legge, abbia ordinata la cancellazione della causa dal ruolo, il processo, salvo il disposto [1] dell’articolo 181 e dell’articolo 290, deve essere riassunto davanti allo stesso giudice nel termine perentorio di tre mesi [2], che decorre rispettivamente dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto a norma dell’articolo 166, o dalla data del provvedimento di cancellazione; altrimenti il processo si estingue.
Il processo, una volta riassunto a norma del precedente comma, si estingue se nessuna delle parti siasi costituita, ovvero se nei casi previsti dalla legge il giudice ordini la cancellazione della causa dal ruolo.
Oltre che nei casi previsti dai commi precedenti, e salvo diverse disposizioni di legge, il processo si estingue altresì qualora le parti alle quali spetta di rinnovare la citazione, o di proseguire, riassumere o integrare il giudizio, non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge, o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo. Quando la legge autorizza il giudice a fissare il termine, questo non può essere inferiore ad un mese né superiore a tre [3].
L’estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d’ufficio, con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del collegio [4].
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
[1] Le parole «del secondo comma» sono state soppresse dall’art. 46, comma 15a, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[2] Le parole «un anno» sono state sostituite con «tre mesi» dall’art. 46, comma 15a, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[3] La parola «sei» è stata sostituita con «tre» dall’art. 46, comma 15b, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[4] Comma così sostituito dall’art. 46, comma 15c, L. 18 giugno 2009, n. 69.

Art. 308 (Comunicazione e impugnabilità dell’ordinanza)

L’ordinanza che dichiara l’estinzione è comunicata a cura del cancelliere se è pronunciata fuori della udienza. Contro di essa è ammesso reclamo nei modi di cui all’articolo 178 commi terzo, quarto e quinto.
Il collegio provvede in camera di consiglio con sentenza, se respinge il reclamo, e con ordinanza non impugnabile, se l’accoglie.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.

Art. 309 (Mancata comparizione all’udienza)

Se nel corso del processo nessuna delle parti si presenta all’udienza, il giudice provvede a norma del primo comma dell’articolo 181.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.

Art. 310 (Effetti dell’estinzione del processo)

L’estinzione del processo non estingue l’azione.
L’estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce [1] che regolano la competenza.
Le prove raccolte sono valutate dal giudice a norma dell’articolo 116 secondo comma.
Le spese del processo estinto stanno a carico delle parti che le hanno anticipate.
[1] Le parole «e quelle» sono state sostituite con «e le pronunce» dall’art. 46, comma 16, L. 18 giugno 2009, n. 69.


Titolo II: DEL PROCEDIMENTO DAVANTI [1] AL GIUDICE DI PACE

[1] Le parole «AL PRETORE E» sono state soppresse dall’art. 69, comma 1, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51. Lo stesso articolo, comma 2, sopprime anche la ripartizione interna in capi.

Art. 311 (Rinvio alle norme relative al procedimento davanti al tribunale)

Il procedimento davanti al giudice di pace, per tutto ciò che non è regolato nel presente titolo o in altre espresse disposizioni, è retto dalle norme relative al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, in quanto applicabili.
Articolo sostituito dall’art. 22, L. 21 novembre 1991, n. 374, e successivamente così sostituito dall’art. 70, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.

[abrogato] Art. 312 (Poteri istruttori del giudice)

Il pretore o il giudice di pace può disporre d’ufficio la prova testimoniale formulandone i capitoli, quando le parti nell’esposizione dei fatti si sono riferite a persone che appaiono in grado di conoscere la verità.
Articolo così sostituito dall’art. 23, L. 21 novembre 1991, n. 374, e successivamente abrogato dall’art. 71, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.

Art. 313 (Querela di falso)

Se è proposta querela di falso, [1] il giudice di pace, quando ritiene il documento impugnato rilevante per la decisione, sospende il giudizio e rimette le parti davanti al tribunale per il relativo procedimento. Può anche disporre a norma dell’articolo 225, secondo comma.
Articolo così sostituito dall’art. 24, L. 21 novembre 1991, n. 374.
[1] Le parole «il pretore o» sono state soppresse dall’art. 72, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.

[abrogato] Art. 314 (Decisione a seguito di trattazione scritta)

Il pretore, quando ritiene la causa matura per la decisione, invita le parti a precisare le conclusioni, dispone lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ai sensi dell’articolo 190 e, quindi, deposita la sentenza in cancelleria entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica.
Articolo così sostituito dall’art. 38, L. 26 novembre 1990, n. 353, e successivamente abrogato dall’art. 71, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.

[abrogato] Art. 315 (Conservazione di documenti)

I documenti prodotti dalle parti possono essere inseriti nel fascicolo d’ufficio e ivi conservati fino alla definizione del giudizio.
Articolo così sostituito dal D.P.R. 17 ottobre 1950, n. 857, e successivamente abrogato dall’art. 71, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.

Art. 316 (Forma della domanda)

Davanti al giudice di pace la domanda si propone mediante citazione a comparire a udienza fissa.
La domanda si può anche proporre verbalmente. Di essa il giudice di pace fa redigere processo verbale che, a cura dell’attore, è notificato con citazione a comparire a udienza fissa.
Articolo sostituito dall’art. 40, L. 26 novembre 1990, n. 353, e successivamente così sostituito dall’art. 25, comma 2, L. 21 novembre 1991, n. 374.

Art. 317 (Rappresentanza davanti al giudice di pace)

Davanti al giudice di pace le parti possono farsi rappresentare da persona munita di mandato scritto in calce alla citazione o in atto separato, salvo che il giudice ordini la loro comparizione personale.
Il mandato a rappresentare comprende sempre quello a transigere e a conciliare.
Articolo sostituito dall’art. 41, L. 26 novembre 1990, n. 353 e successivamente così sostituito dall’art. 26, L. 21 novembre 1991, n. 374.

Art. 318 (Contenuto della domanda)

La domanda, comunque proposta, deve contenere, oltre l’indicazione del giudice e delle parti, l’esposizione dei fatti e l’indicazione dell’oggetto [1].
Tra il giorno della notificazione di cui all’articolo 316 e quello della comparizione devono intercorrere termini liberi non minori di quelli previsti dall’articolo 163-bis, ridotti alla metà.
Se la citazione indica un giorno nel quale il giudice di pace non tiene udienza, la comparizione è d’ufficio rimandata all’udienza immediatamente successiva.
Articolo sostituito dall’art. 42, L. 26 novembre 1990, n. 353 e successivamente così sostituito dall’art. 27, L. 21 novembre 1991, n. 374.
[1] La Corte costituzionale, con sentenza 22 aprile 1997, n. 110, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non prevede che l’atto introduttivo del giudizio dinanzi al giudice di pace debba contenere l’indicazione della scrittura privata che l’attore offre in comunicazione.

Art. 319 (Costituzione delle parti)

Le parti si costituiscono depositando in cancelleria la citazione o il processo verbale di cui all’articolo 316 con la relazione della notificazione e, quando occorre, la procura, oppure presentando tali documenti al giudice in udienza.
Le parti, che non hanno precedentemente dichiarato la residenza o eletto domicilio nel comune in cui ha sede l’ufficio del giudice di pace, debbono farlo con dichiarazione ricevuta nel processo verbale al momento della costituzione.
Articolo sostituito dall’art. 43, L. 26 novembre 1990, n. 353 e successivamente così sostituito dall’art. 28, L. 21 novembre 1991, n. 374.

Art. 320 (Trattazione della causa)

Nella prima udienza il giudice di pace interroga liberamente le parti e tenta la conciliazione.
Se la conciliazione riesce se ne redige processo verbale a norma dell’articolo 185, ultimo comma.
Se la conciliazione non riesce, il giudice di pace invita le parti a precisare definitivamente i fatti che ciascuna pone a fondamento delle domande, difese ed eccezioni, a produrre i documenti e a richiedere i mezzi di prova da assumere.
Quando sia reso necessario dalle attività svolte dalle parti in prima udienza, il giudice di pace fissa per una sola volta una nuova udienza per ulteriori produzioni e richieste di prova.
I documenti prodotti dalle parti possono essere inseriti nel fascicolo di ufficio ed ivi conservati fino alla definizione del giudizio.
Articolo sostituito dall’art. 44, L. 26 novembre 1990, n. 353 e successivamente così sostituito dall’art. 29, L. 21 novembre 1991, n. 374.

Art. 321 (Decisione)

Il giudice di pace, quando ritiene matura la causa per la decisione, invita le parti a precisare le conclusioni e a discutere la causa.
La sentenza è depositata in cancelleria entro quindi giorni dalla discussione.
Articolo sostituito dall’art. 45, L. 26 novembre 1990, n. 353 e successivamente così sostituito dall’art. 30, L. 21 novembre 1991, n. 374.

Art. 322 (Conciliazione in sede non contenziosa)

L’istanza per la conciliazione in sede non contenziosa è proposta anche verbalmente al giudice di pace competente per territorio secondo le disposizioni della sezione III, capo I, titolo I, del libro primo.
Il processo verbale di conciliazione in sede non contenziosa costituisce titolo esecutivo a norma dell’articolo 185, ultimo comma, se la controversia rientra nella competenza del giudice di pace.
Negli altri casi il processo verbale ha valore di scrittura privata riconosciuta in giudizio.
Articolo sostituito dall’art. 46, L. 26 novembre 1990, n. 353 e successivamente così sostituito dall’art. 31, L. 21 novembre 1991, n. 374.


Titolo III: DELLE IMPUGNAZIONI

Capo I: DELLE IMPUGNAZIONI IN GENERALE

Art. 323 (Mezzi di impugnazione)

I mezzi per impugnare le sentenze, oltre al regolamento di competenza nei casi previsti dalla legge, sono: l’appello, il ricorso per cassazione, la revocazione e l’opposizione di terzo.

Art. 324 (Cosa giudicata formale)

Si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 395.

Art. 325 (Termini per le impugnazioni)

Il termine per proporre l’appello, la revocazione e l’opposizione di terzo di cui all’art. 404, secondo comma, è di trenta giorni. È anche di trenta giorni il termine per proporre la revocazione e l’opposizione di terzo sopra menzionata contro le sentenze delle corti di appello [1].
Il termine per proporre il ricorso per cassazione è di giorni sessanta.
[1] Comma sostituito dall’art. 47, L. 26 novembre 1990, n. 353 e successivamente così sostituito dall’art. 32, L. 21 novembre 1991, n. 374.

Art. 326 (Decorrenza dei termini)

I termini stabiliti nell’articolo precedente sono perentori e decorrono dalla notificazione della sentenza, tranne per i casi previsti nei numeri 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 e negli articoli 397 e 404 secondo comma, riguardo ai quali il termine decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o la falsità o la collusione o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza di cui al n. 6 dell’art. 395, o il pubblico ministero ha avuto conoscenza della sentenza.
Nel caso previsto nell’art. 332, l’impugnazione proposta contro una parte fa decorrere nei confronti dello stesso soccombente il termine per proporla contro le altre parti.

Art. 327 (Decadenza dall’impugnazione)

Indipendentemente dalla notificazione, l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei numeri 4 e 5 dell’art. 395 non possono proporsi dopo decorsi sei mesi [1] dalla pubblicazione della sentenza.
Questa disposizione non si applica quando la parte contumace dimostra di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa, e per nullità della notificazione degli atti di cui all’art. 292.
[1] Le parole «decorso un anno» sono state sostituite dalle parole «decorsi sei mesi» dall’art. 46, comma 17, L. 18 giugno 2009, n. 69.

Art. 328 (Decorrenza dei termini contro gli eredi della parte defunta)

Se, durante la decorrenza del termine di cui all’art. 325, sopravviene alcuno degli eventi previsti nell’art. 299, il termine stesso è interrotto e il nuovo decorre dal giorno in cui la notificazione della sentenza è rinnovata.
Tale rinnovazione può essere fatta agli eredi collettivamente e impersonalmente, nell’ultimo domicilio del defunto.
Se dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza si verifica alcuno degli eventi previsti nell’art. 299, il termine di cui all’articolo precedente è prorogato per tutte le parti di sei mesi dal giorno dell’evento.
La Corte costituzionale, con sentenza 3 marzo 1986, n. 41, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non prevede tra i motivi di interruzione del termine di cui all’art. 325 c.p.c., la morte, la radiazione e la sospensione dall’albo del procuratore costituito, sopravvenute nel corso del termine stesso.

Art. 329 (Acquiescenza totale o parziale)

Salvi i casi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395, l’acquiescenza risultante da accettazione espressa o da atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge ne esclude la proponibilità.
L’impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate.

Art. 330 (Luogo di notificazione dell’impugnazione)

Se nell’atto di notificazione della sentenza la parte ha dichiarato la sua residenza o eletto domicilio nella circoscrizione del giudice che l’ha pronunciata, l’impugnazione deve essere notificata nel luogo indicato; altrimenti si notifica, ai sensi dell’articolo 170, [1] presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio.
L’impugnazione può essere notificata nei luoghi sopra menzionati collettivamente e impersonalmente agli eredi della parte defunta dopo la notificazione della sentenza.
Quando manca la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio e, in ogni caso, dopo un anno dalla pubblicazione della sentenza, l’impugnazione, se è ancora ammessa dalla legge, si notifica, ai sensi dell’articolo 170, [1] personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti.
[1] Le parole «, ai sensi dell’articolo 170,» sono state inserite dell’art. 26, comma 10, L. 18 giugno 2009, n. 69.

Art. 331 (Integrazione del contraddittorio in cause inscindibili)

Se la sentenza pronunciata tra più parti in causa inscindibile o in cause tra loro dipendenti non è stata impugnata nei confronti di tutte, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio fissando il termine nel quale la notificazione deve essere fatta e, se è necessario, l’udienza di comparizione.
L’impugnazione è dichiarata inammissibile se nessuna delle parti provvede all’integrazione nel termine fissato.

Art. 332 (Notificazione dell’impugnazione relativa a cause scindibili)

Se l’impugnazione di una sentenza pronunciata in cause scindibili è stata proposta soltanto da alcuna delle parti o nei confronti di alcuna di esse, il giudice ne ordina la notificazione alle altre, in confronto delle quali l’impugnazione non è preclusa o esclusa, fissando il termine nel quale la notificazione deve essere fatta e, se è necessario, l’udienza di comparizione.
Se la notificazione ordinata dal giudice non avviene, il processo rimane sospeso fino a che non siano decorsi i termini previsti negli articoli 325 e 327 primo comma.

Art. 333 (Impugnazioni incidentali)

Le parti alle quali sono state fatte le notificazioni previste negli articoli precedenti debbono proporre, a pena di decadenza, le loro impugnazioni in via incidentale nello stesso processo.

Art. 334 (Impugnazioni incidentali tardive)

Le parti, contro le quali è stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell’articolo 331, possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza.
In tal caso, se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile l’impugnazione incidentale perde ogni efficacia.

Art. 335 (Riunione delle impugnazioni separate)

Tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza debbono essere riunite, anche d’ufficio, in un solo processo.

Art. 336 (Effetti della riforma o della cassazione)

La riforma o la cassazione parziale ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti dalla parte riformata o cassata.
La riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata [1].
[1] Comma così sostituito dall’art. 48, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 337 (Sospensione dell’esecuzione e dei processi)

L’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione di essa, salve le disposizioni degli articoli 283, 373, 401 e 407 [1].
Quando l’autorità di una sentenza è invocata in diverso processo, questo può essere sospeso se tale sentenza è impugnata.
[1] Comma così sostituito dall’art. 49, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 338 (Effetti dell’estinzione del procedimento di impugnazione)

L’estinzione del procedimento d’appello o di revocazione nei casi previsti nei numeri 4 e 5 dell’art. 395 fa passare in giudicato la sentenza impugnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti con provvedimenti pronunciati nel procedimento estinto.


Capo II: DELL’APPELLO

Art. 339 (Appellabilità delle sentenze)

Possono essere impugnate con appello le sentenze pronunciate in primo grado, purché l’appello non sia escluso dalla legge o dall’accordo delle parti a norma dell’art. 360, secondo comma.
È inappellabile la sentenza che il giudice ha pronunciato secondo equità a norma dell’art. 114.
Le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’articolo 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia [1].
[1] Comma così sostituito dall’art. 1, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40.

Art. 340 (Riserva facoltativa d’appello contro sentenze non definitive)

Contro le sentenze previste dall’articolo 278 e dal n. 4 del secondo comma dell’articolo 279, l’appello può essere differito, qualora la parte soccombente ne faccia riserva, a pena di decadenza, entro il termine per appellare e, in ogni caso, non oltre la prima udienza dinanzi al giudice istruttore successiva alla comunicazione della sentenza stessa.
Quando sia stata fatta la riserva di cui al precedente comma, l’appello deve essere proposto unitamente a quello contro la sentenza che definisce il giudizio o con quello che venga proposto, dalla stessa o da altra parte, contro altra sentenza successiva che non definisca il giudizio.
La riserva non può più farsi, e se già fatta rimane priva di effetto, quando contro la stessa sentenza da alcuna delle parti sia proposto immediatamente appello.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.

Art. 341 (Giudice dell’appello)

L’appello contro le sentenze del giudice di pace e del tribunale si propone rispettivamente al tribunale ed alla corte di appello nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunciato la sentenza [1].
Articolo sostituito dalla L. 30 luglio 1984, n. 399, e successivamente così sostituito dall’art. 73, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51
[1] Comma aggiunto dall’art. 34, L. 21 novembre 1991, n. 374.

Art. 342 (Forma dell’appello)

L’appello si propone con citazione contenente le indicazioni prescritte dall’art. 163. L’appello deve essere motivato. La motivazione dell’appello deve contenere, a pena di ammissibilità:
1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata [2].
Tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di quelli previsti dall’articolo 163-bis.
Articolo così sostituito dall’art. 50, L. 26 novembre 1990, n. 353.
[1] Comma così sostituito dall’art. 54, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134. Le disposizioni del presente articolo si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Art. 343 (Modo e termine dell’appello incidentale)

L’appello incidentale si propone, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, all’atto della costituzione in cancelleria ai sensi dell’articolo 166 [1].
Se l’interesse a proporre l’appello incidentale sorge dall’impugnazione proposta da altra parte che non sia l’appellante principale, tale appello si propone nella prima udienza successiva alla proposizione dell’impugnazione stessa.
[1] Comma così sostituito dall’art. 51, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 344 (Intervento in appello)

Nel giudizio d’appello è ammesso soltanto l’intervento dei terzi, che potrebbero proporre opposizione a norma dell’articolo 404.

Art. 345 (Domande ed eccezioni nuove)

Nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio. Possono tuttavia domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa.
Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio.
Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti [1], salvo che [2] la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli [1] nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio.
Articolo così sostituito dall’art. 52, L. 26 novembre 1990, n. 353.
[1] Le parole «non possono essere prodotti nuovi documenti» e «o produrli» sono state inserite dall’art. 46, comma 18, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[2] Le parole «il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che» sono state soppresse dall’art. 54, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134. Le disposizioni del presente articolo si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Art. 346 (Decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte)

Le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate.

Art. 347 (Forme e termini della costituzione in appello)

La costituzione in appello avviene secondo le forme e i termini per i procedimenti davanti al tribunale [1].
L’appellante deve inserire nel proprio fascicolo copia della sentenza appellata.
Il cancelliere provvede a norma dell’art. 168 e richiede la trasmissione del fascicolo d’ufficio al cancelliere del giudice di primo grado.
[1] Comma così sostituito dall’art. 53, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 348 (Improcedibilità dell’appello)

L’appello è dichiarato improcedibile, anche d’ufficio, se l’appellante non si costituisce in termini.
Se l’appellante non compare alla prima udienza, benché si sia anteriormente costituito, il collegio, con ordinanza non impugnabile, rinvia la causa ad una prossima udienza, della quale il cancelliere dà comunicazione all’appellante. Se anche alla nuova udienza l’appellante non compare, l’appello è dichiarato improcedibile anche d’ufficio.
Articolo così sostituito dall’art. 54, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 348-bis (Inammissibilità dell’appello)

Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello, l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta.
Il primo comma non si applica quando:
a) l’appello è proposto relativamente a una delle cause di cui all’articolo 70, primo comma;
b) l’appello è proposto a norma dell’articolo 702-quater.
Articolo aggiunto dall’art. 64, comma 1a, D.L. 22 giugno 2012, n. 83. Le disposizioni del presente articolo si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Art. 348-ter (Pronuncia sull’inammissibilità dell’appello)

All’udienza di cui all’articolo 350 il giudice, prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, dichiara inammissibile l’appello, a norma dell’articolo 348-bis, primo comma, con ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi. Il giudice provvede sulle spese a norma dell’articolo 91.
L’ordinanza di inammissibilità è pronunciata solo quando sia per l’impugnazione principale che per quella incidentale di cui all’articolo 333 ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell’articolo 348-bis. In mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza.
Quando è pronunciata l’inammissibilità, contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell’articolo 360, ricorso per cassazione. In tal caso il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità. Si applica l’articolo 327, in quanto compatibile.
Quando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell’articolo 360.
La disposizione di cui al quarto comma si applica, fuori dei casi di cui all’articolo 348-bis, secondo comma, lettera a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado.
Articolo aggiunto dall’art. 64, comma 1a, D.L. 22 giugno 2012, n. 83. Le disposizioni del presente articolo si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.


[abrogato] Art. 349 (Nomina dell’istruttore)

All’udienza di comparizione l’istruttore verifica la regolare costituzione del giudizio e, quando occorre, ordina l’integrazione di esso o la notificazione prevista nell’articolo 332 oppure dispone che si rinnovi la notificazione dell’atto d’appello o la comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza. Dichiara l’inammissibilità dell’appello proposto fuori termine o l’improcedibilità di esso nei casi previsti nell’articolo 348, quando al riguardo non sorgono contestazioni. Dichiara inoltre la contumacia dell’appellato, provvede alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza, e procede al tentativo di conciliazione ordinando, quando occorre, la comparizione personale delle parti. Tutti i provvedimenti sono dati con ordinanza e sono soggetti a reclamo a norma dell’articolo 357 nei casi ivi previsti.
Articolo abrogato dal D.P.R. 17 ottobre 1950, n. 857.

Art. 350 (Trattazione)

Davanti alla corte di appello la trattazione dell’appello è collegiale, ma il presidente del collegio può delegare per l’assunzione dei mezzi istruttori uno dei suoi componenti [1b]; davanti al tribunale l’appello è trattato e deciso dal giudice monocratico [1a].
Nella prima udienza di trattazione il giudice [2] verifica la regolare costituzione del giudizio e, quando occorre, ordina l’integrazione di esso o la notificazione prevista dall’articolo 332, oppure dispone che si rinnovi la notificazione dell’atto di appello.
Nella stessa udienza il giudice [2] dichiara la contumacia dell’appellato, provvede alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza e procede al tentativo di conciliazione ordinando, quando occorre, la comparizione personale delle parti.
Articolo così sostituito dall’art. 55, L. 26 novembre 1990, n. 353.
[1a] Comma così sostituito dall’art. 74, comma 1a, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.
[1b] Le parole «, ma il presidente […] uno dei suoi componenti» sono state aggiunte dall’art. 27, comma 1b, L. 12 novembre 2011, n. 183.
[2] La parola «collegio» è sostituita dalla parola «giudice» dall’art. 74, comma 1b, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.

Art. 351 (Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria)

Sull’istanza di cui all’articolo 283 il giudice provvede con ordinanza non impugnabile [1] nella prima udienza.
La parte può, con ricorso al giudice, chiedere che la decisione sulla sospensione sia pronunziata prima dell’udienza di comparizione. Davanti alla corte di appello il ricorso è presentato al presidente del collegio.
Il presidente del collegio o il tribunale, con decreto in calce al ricorso, ordina la comparizione delle parti in camera di consiglio, rispettivamente, davanti al collegio o davanti a sé. Con lo stesso decreto, se ricorrono giusti motivi di urgenza, può disporre provvisoriamente l’immediata sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza; in tal caso all’udienza in camera di consiglio il collegio o il tribunale conferma, modifica o revoca il decreto con ordinanza non impugnabile.
Il giudice, all’udienza prevista dal primo comma, se ritiene la causa matura per la decisione, può provvedere ai sensi dell'articolo 281-sexies. Se per la decisione sulla sospensione è stata fissata l’udienza di cui al terzo comma, il giudice fissa apposita udienza per la decisione della causa nel rispetto dei termini a comparire [2].
Articolo sostituito dall’art. 56, L. 26 novembre 1990, n. 353, e successivamente così sostituito dall’art. 75, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51
[1] Le parole «non impugnabile» sono state aggiunte dall’art. 27, comma 1c, numero 1, L. 12 novembre 2011, n. 183.
[2] Comma aggiunto dall’art. 27, comma 1c, numero 2, L. 12 novembre 2011, n. 183.

Art. 352 (Decisione)

Esaurita l’attività prevista negli articoli 350 e 351, il giudice, ove non provveda ai sensi dell’articolo 356, invita le parti a precisare le conclusioni e dispone lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ai sensi dell’articolo 190; la sentenza è depositata in cancelleria entro sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica.
Se l’appello è proposto alla corte di appello, ciascuna delle parti, nel precisare le conclusioni, può chiedere che la causa sia discussa oralmente dinanzi al collegio. In tal caso, fermo restando il rispetto dei termini indicati nell’articolo 190 per il deposito delle difese scritte, la richiesta deve essere riproposta al presidente della corte alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica.
Il presidente provvede sulla richiesta fissando con decreto la data dell’udienza di discussione da tenersi entro sessanta giorni; con lo stesso decreto designa altresì il relatore.
La discussione è preceduta dalla relazione della causa; la sentenza è deposita in cancelleria entro i sessanta giorni successivi.
Se l’appello è proposto al tribunale, il giudice, quando una delle parti lo richiede, dispone lo scambio delle sole comparse conclusionali a norma dell’articolo 190 e fissa l’udienza di discussione non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle comparse medesime; la sentenza è depositata in cancelleria entro i sessanti giorni successivi. Quando non provvede ai sensi dei commi che precedono, il giudice può decidere la causa ai sensi dell’articolo 281-sexies [1].
Articolo così sostituito dall’art. 57, L. 26 novembre 1990, n. 353, e successivamente così sostituito dall’art. 76, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51
[1] Comma aggiunto dall’art. 27, comma 1d, numero 2, L. 12 novembre 2011, n. 183.

Art. 353 (Rimessione al primo giudice per ragioni di giurisdizione [1])

Il giudice d’appello, se riforma la sentenza di primo grado dichiarando che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice, pronuncia sentenza con la quale rimanda le parti davanti al primo giudice.
Le parti debbono riassumere il processo nel termine perentorio di tre mesi [2] dalla notificazione della sentenza.
Se contro la sentenza d’appello è proposto ricorso per cassazione, il termine è interrotto.
[abrogato] La disposizione del primo comma si applica anche quando il pretore, in riforma della sentenza del conciliatore, dichiara la competenza di questo [3].
[1] Le parole «o di competenza» sono state soppresse dall’art. 46, comma 19a, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[2] Le parole «sei mesi» sono state sostituite con le parole «tre mesi» dall’art. 46, comma 19b, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[3] Comma abrogato dall’art. 89, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 354 (Rimessione al primo giudice per altri motivi)

Fuori dei casi previsti nell’articolo precedente, il giudice d’appello non può rimettere la causa al primo giudice, tranne che dichiari nulla la notificazione della citazione introduttiva, oppure riconosca che nel giudizio di primo grado doveva essere integrato il contraddittorio o non doveva essere estromessa una parte, ovvero dichiari la nullità della sentenza di primo grado a norma dell’articolo 161 secondo comma.
Il giudice d’appello rimette la causa al primo giudice anche nel caso di riforma della sentenza che ha pronunciato sull’estinzione del processo a norma e nelle forme dell’articolo 308.
Nei casi di rimessione al primo giudice previsti nei commi precedenti, si applicano le disposizioni dell’articolo 353.
Se il giudice d’appello dichiara la nullità di altri atti compiuti in primo grado, ne ordina, in quanto possibile, la rinnovazione a norma dell’articolo 356.
Articolo così sostituito dal D.P.R. 17 ottobre 1950, n. 857.

Art. 355 (Provvedimenti sulla querela di falso)

Se nel giudizio d’appello è proposta querela di falso, il giudice, quando ritiene il documento impugnato rilevante per la decisione della causa, sospende con ordinanza il giudizio, e fissa alle parti un termine perentorio entro il quale debbono riassumere la causa di falso davanti al tribunale.

Art. 356 (Ammissione e assunzione di prove)

Ferma l’applicabilità della norma di cui al numero 4), del secondo comma dell’articolo 279, il giudice d’appello, se dispone l’assunzione di una prova oppure la rinnovazione totale o parziale dell’assunzione già avvenuta in primo grado o comunque dà disposizioni per effetto delle quali il procedimento deve continuare, pronuncia ordinanza e provvede a norma degli articoli 191 e seguenti [1].
Quando sia stato proposto appello immediato contro una delle sentenze previste dal n. 4 del secondo comma dell’articolo 279, il giudice d’appello non può disporre nuove prove riguardo alle domande e alle questioni, rispetto alle quali il giudice di primo grado, non definendo il giudizio, abbia disposto, con separata ordinanza, la prosecuzione dell’istruzione.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
[1] Comma così sostituito dall’art. 58, L. 26 novembre 1990, n. 353.

[abrogato] Art. 357 (Reclamo contro ordinanze)

Le ordinanze con le quali l’istruttore abbia dichiarato, a norma dell’articolo 350 secondo comma, la inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello, ovvero l’estinzione del procedimento d’appello, e le ordinanze sulla esecuzione provvisoria previste dall’articolo 351, possono essere impugnate con reclamo al collegio nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione. Il reclamo si propone con le forme previste dall’articolo 178 terzo, quarto e quinto comma.
Il collegio pronuncia sul reclamo in camera di consiglio, salvo che, trattandosi delle ordinanze previste dall’art. 350 secondo comma, alcuna delle parti, prima della scadenza del termine per la comunicazione della memoria di replica, proponga istanza al presidente del collegio, perché il reclamo sia discusso in udienza. In tal caso il presidente fissa l’udienza per la discussione, con decreto che è comunicato alle parti a cura del cancelliere.
La decisione è pronunciata con sentenza se è respinto il reclamo contro le ordinanze previste dall’art. 350 secondo comma; negli altri casi è pronunciata con ordinanza non impugnabile.
Articolo abrogato dall’art. 89, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 358 (Non riproponibilità d’appello dichiarato inammissibile o improcedibile)

L’appello dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge.

Art. 359 (Rinvio alle norme relative al procedimento davanti al tribunale)

Nei procedimenti d’appello davanti alla Corte o al tribunale si osservano, in quanto applicabili, le norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al tribunale, se non sono incompatibili con le disposizioni del presente capo.
[abrogato] Davanti al pretore si osservano anche nei procedimenti d’appello le norme del procedimento di primo grado, in quanto applicabili [1].
[1] Comma abrogato dall’art. 89, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Capo III: DEL RICORSO PER CASSAZIONE

Sezione I: DEI PROVVEDIMENTI IMPUGNABILI E DEI RICORSI

Art. 360 (Sentenze impugnabili e motivi di ricorso)

Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione:
1) per motivi attinenti alla giurisdizione;
2) per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
4) per nullità della sentenza o del procedimento;
5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti [1].
Può inoltre essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale, se le parti sono d’accordo per omettere l’appello; ma in tal caso l’impugnazione può proporsi soltanto a norma del primo comma, n. 3).
Non sono immediatamente impugnabili con ricorso per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio. Il ricorso per cassazione avverso tali sentenze può essere proposto, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio.
Le disposizioni di cui al primo comma e terzo comma si applicano alle sentenze ed ai provvedimenti diversi dalla sentenza contro i quali è ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge.
Articolo così sostituito dall’art 2, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40
[1] Numero così sostituito dall’art. 54, comma 1b, D.L. 22 giugno 2012, n. 83.

Art. 360-bis (Inammissibilità del ricorso)

Il ricorso è inammissibile:
1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa; 2) quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo.
Articolo aggiunto dall’art. 47, comma 1a, L. 18 giugno 2009, n. 69.

Art. 361 (Riserva facoltativa di ricorso contro sentenze non definitive)

Contro le sentenze previste dall’articolo 278 e contro quelle che decidono una o alcune delle domande senza definire l’intero giudizio, il ricorso per cassazione può essere differito, qualora la parte soccombente ne faccia riserva, a pena di decadenza, entro il termine per la proposizione del ricorso, e in ogni caso non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza stessa [1].
Qualora sia stata fatta la riserva di cui al precedente comma, il ricorso deve essere proposto unitamente a quello contro la sentenza che definisce il giudizio, o con quello che venga proposto, dalla stessa o da altra parte, contro altra sentenza successiva che non definisca il giudizio.
La riserva non può farsi, e se già fatta rimane priva di effetto, quando contro la stessa sentenza da alcuna delle altre parti sia proposto immediatamente ricorso.
[1] Comma così sostituito dall’art. 3, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40.

Art. 362 (Altri casi di ricorso)

Possono essere impugnate con ricorso per cassazione, nel termine di cui all’articolo 325 secondo comma, le decisioni in grado d’appello o in unico grado di un giudice speciale, per motivi attinenti alla giurisdizione del giudice stesso.
Possono essere denunciati in ogni tempo con ricorso per cassazione:
1) i conflitti positivi o negativi di giurisdizione tra giudici speciali, o tra questi e i giudici ordinari;
2) i conflitti negativi di attribuzione tra la pubblica amministrazione e il giudice ordinario.

Art. 363 (Principio di diritto nell’interesse della legge)

Quando le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato, ovvero quando il provvedimento non è ricorribile in cassazione e non è altrimenti impugnabile, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione può chiedere che la Corte enunci nell’interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi.
La richiesta del procuratore generale, contenente una sintetica esposizione del fatto e delle ragioni di diritto poste a fondamento dell’istanza, è rivolta al primo presidente, il quale può disporre che la Corte si pronunci a sezioni unite se ritiene che la questione è di particolare importanza.
Il principio di diritto può essere pronunciato dalla Corte anche d’ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa è di particolare importanza.
La pronuncia della Corte non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito.
Articolo così sostituito dall’art. 4, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40.

[abrogato] Art. 364 (Deposito per il caso di soccombenza)

Il ricorso deve essere preceduto dal deposito, per il caso di soccombenza, di lire cinquecento se la sentenza impugnata è del pretore, di lire millecinquecento se la sentenza impugnata è del tribunale, di lire tremila in ogni altro caso.
È sufficiente un solo deposito quando più parti ricorrono con lo stesso atto contro una o più parti, anche se per motivi diversi.
Non è richiesto deposito:
1. per i ricorsi di cui ai nn. 1 e 2 dell'articolo 362;
2. per i ricorsi nell’interesse dello Stato e per quelli proposti a norma dell'articolo 368;
3. per i ricorsi, nell’interesse delle persone ammesse al beneficio del gratuito patrocinio per il giudizio di cassazione;
4. per i ricorsi relativi a controversie del lavoro e della previdenza e assistenza obbligatorie;
5. negli altri casi indicati dalla legge.
Articolo abrogato dalla L. 18 ottobre 1977, n. 793.

Art. 365 (Sottoscrizione del ricorso)

Il ricorso è diretto alla corte e sottoscritto, a pena d’inammissibilità, da un avvocato iscritto nell’apposito albo, munito di procura speciale.

Art. 366 (Contenuto del ricorso)

Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità:
1) l’indicazione delle parti;
2) l’indicazione della sentenza o decisione impugnata;
3) l’esposizione sommaria dei fatti della causa;
4) i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall’articolo 366 bis;
5) l’indicazione della procura, se conferita con atto separato e, nel caso di ammissione al gratuito patrocinio, del relativo decreto;
6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda.
Se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma, ovvero non ha indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine [1], le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione.
Nel caso previsto nell’articolo 360, secondo comma, l’accordo delle parti deve risultare mediante visto apposto sul ricorso dalle altre parti o dai loro difensori muniti di procura speciale, oppure mediante atto separato, anche anteriore alla sentenza impugnata, da unirsi al ricorso stesso.
Le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni tra i difensori di cui agli articoli 372 e 390 sono effettuate ai sensi dell'articolo 136, secondo e terzo comma [2].
Articolo così sostituito dall’art. 5, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40. [1] Le parole «ovvero non ha indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine» sono state inserite dall’art. 25, comma 1i, numero 1, L. 12 novembre 2011, n. 183.
[2] Comma così sostituito dall’art. 25, comma 1i, numero 2, L. 12 novembre 2011, n. 183.

[abrogato] Art. 366 bis (Formulazione dei motivi)

Nei casi previsti dall’articolo 360, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4) l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che consenta alla Corte di enunciare un corrispondente principio di diritto.
Nel caso previsto dall’articolo 360, primo comma, n.5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Articolo aggiunto dall’art. 6, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40, e successivamente abrogato dall’art 47, comma 1d, L. 18 giugno 2009, n. 69.

Art. 367 (Sospensione del processo di merito)

Una copia del ricorso per cassazione proposto a norma dell’articolo 41, primo comma, è depositata, dopo la notificazione alle altre parti, nella cancelleria del giudice davanti a cui pende la causa, il quale sospende il processo se non ritiene l’istanza manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata. Il giudice istruttore o il collegio provvede con ordinanza [1].
Se la Corte di cassazione dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, le parti debbono riassumere il processo entro il termine perentorio di sei mesi dalla comunicazione della sentenza.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
[1] Comma così sostituito dall’art. 61, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 368 (Questione di giurisdizione sollevata dal prefetto)

Nel caso previsto nell’art. 41, secondo comma, la richiesta per la decisione della Corte di cassazione è fatta dal prefetto con decreto motivato.
Il decreto è notificato, su richiesta del prefetto, alle parti e al procuratore della Repubblica presso il tribunale, se la causa pende davanti a questo [1], oppure al procuratore generale presso la Corte di appello, se pende davanti alla Corte.
Il pubblico ministero comunica il decreto del prefetto al capo dell’ufficio giudiziario davanti al quale pende la causa. Questi sospende il procedimento con decreto che è notificato alle parti a cura del pubblico ministero entro dieci giorni dalla sua pronuncia, sotto pena di decadenza della richiesta.
La Corte di cassazione è investita della questione di giurisdizione con ricorso a cura della parte più diligente, nel termine perentorio di trenta giorni dalla notificazione del decreto.
Si applica la disposizione dell’ultimo comma dell’articolo precedente.
[1] Le parole «o davanti a un pretore» sono state soppresse dall’art. 77, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.

Art. 369 (Deposito del ricorso)

Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della Corte, a pena d’improcedibilità, nel termine di giorni venti dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto.
Insieme col ricorso debbono essere depositati, sempre a pena d’improcedibilità:
1) il decreto di concessione del gratuito patrocinio;
2) copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta, tranne che nei casi di cui ai due articoli precedenti; oppure copia autentica dei provvedimenti dai quali risulta il conflitto nei casi di cui ai nn. 1 e 2 dell’art. 362;
3) la procura speciale, se questa è conferita con atto separato;
4) gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda [1].
Il ricorrente deve chiedere alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata o del quale si contesta la giurisdizione, la trasmissione alla cancelleria della Corte di cassazione del fascicolo d’ufficio; tale richiesta è restituita dalla cancelleria al richiedente munita di visto, e deve essere depositata insieme col ricorso.
[1] Numero così sostituito dall’art. 7, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40.

Art. 370 (Controricorso)

La parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddire, deve farlo mediante controricorso da notificarsi al ricorrente nel domicilio eletto entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso. In mancanza di tale notificazione, essa non può presentare memorie, ma soltanto partecipare alla discussione orale.
Al controricorso si applicano le norme degli articoli 365 e 366, in quanto è possibile.
Il controricorso è depositato nella cancelleria della corte entro venti giorni dalla notificazione, insieme con gli atti e i documenti e con la procura speciale, se conferita con atto separato.

Art. 371 (Ricorso incidentale)

La parte di cui all’articolo precedente deve proporre con l’atto contenente il controricorso l’eventuale ricorso incidentale contro la stessa sentenza.
La parte alla quale è stato notificato il ricorso per integrazione a norma degli articoli 331 e 332 deve proporre l’eventuale ricorso incidentale nel termine di quaranta giorni dalla notificazione, con atto notificato al ricorrente principale e alle altre parti nello stesso modo del ricorso principale.
Al ricorso incidentale si applicano le disposizioni degli articoli 365, 366 e 369 [1].
Per resistere al ricorso incidentale può essere notificato un controricorso a norma dell’articolo precedente.
Se il ricorrente principale deposita la copia della sentenza o della decisione impugnata, non è necessario che la depositi anche il ricorrente per incidente.
[1] Comma così sostituito dalla L. 18 ottobre 1977, n. 793.

Art. 371 bis (Deposito dell’atto di integrazione del contraddittorio)

Qualora la Corte abbia ordinato l’integrazione del contraddittorio, assegnando alle parti un termine perentorio per provvedervi, il ricorso notificato, contenente nell’intestazione le parole "atto di integrazione del contraddittorio", deve essere depositato nella cancelleria della Corte stessa, a pena di improcedibilità, entro venti giorni dalla scadenza del termine assegnato.
Articolo aggiunto dall’art. 62, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 372 (Produzione di altri documenti)

Non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne di quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso.
Il deposito dei documenti relativi all’ammissibilità può avvenire indipendentemente da quello del ricorso e del controricorso, ma deve essere notificato mediante elenco, alle altre parti.

Art. 373 (Sospensione dell’esecuzione)

Il ricorso per cassazione non sospende la esecuzione della sentenza. Tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione.
L’istanza si propone con ricorso al giudice di pace [1], al tribunale in composizione monocratica [2] o al presidente del collegio, il quale, con decreto in calce al ricorso, ordina la comparizione delle parti rispettivamente d’innanzi a sé o al collegio in camera di consiglio. Copia del ricorso e del decreto sono notificate al procuratore dell’altra parte, ovvero alla parte stessa, se questa sia stata in giudizio senza ministero di difensore o non si sia costituita nel giudizio definito con la sentenza impugnata. Con lo stesso decreto, in caso di eccezionale urgenza può essere disposta provvisoriamente l’immediata sospensione dell’esecuzione [3].
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
[1] La parola «conciliatore» è stata sostituita con le parole «giudice di pace» dall’art. 39, L. 21 novembre 1991, n. 374.
[2] La parola «pretore» è stata sostituita con le parole «tribunale in composizione monocratica» dall’art. 78, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.
[3] Comma così sostituito dall’art. 63, L. 26 novembre 1990, n. 353.


Sezione II: DEL PROCEDIMENTO E DEI PROVVEDIMENTI

Art. 374 (Pronuncia a Sezioni Unite)

La Corte pronuncia a sezioni unite nei casi previsti nel n. 1) dell’articolo 360 e nell’articolo 362. Tuttavia, tranne che nei casi di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, il ricorso può essere assegnato alle sezioni semplici, se sulla questione di giurisdizione proposta si sono già pronunciate le sezioni unite.
Inoltre il primo presidente può disporre che la Corte pronunci a sezioni unite sui ricorsi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza.
Se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso.
In tutti gli altri casi la Corte pronuncia a sezione semplice.
Articolo così sostituito dall’art. 8, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40.

Art. 375 (Pronuncia in camera di consiglio)

La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce di dovere:
1) dichiarare l’innammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto, anche per mancanza dei motivi previsti dall’articolo 360 [1];
[abrogato] 2) ordinare l’integrazione del contraddittorio o disporre che sia eseguita la notificazione dell’impugnazione a norma dell’articolo 332 ovvero che sia rinnovata [2];
[abrogato] 3) provvedere in ordine all’estinzione del processo in ogni caso diverso dalla rinuncia [2];
4) pronunciare sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione [3];
5) accogliere o rigettare il ricorso principale e l’eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza. [4]
La Corte, a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio in ogni altro caso, salvo che la trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare, ovvero che il ricorso sia stato rimesso dall’apposita sezione di cui all'articolo 376 in esito alla camera di consiglio che non ha definito il giudizio [5].
[1] Numero così sostituito dall’art. 47, comma 1e, numero 1, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[2] Numeri abrogati dall’art. 1-bis, comma 1a, numero 1, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197, con decorrenza dal 30 ottobre 2016.
[3] Numero così sostituito dall’art. 7, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[4] Numero così sostituito dall’art. 47, comma 1e, numero 2, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[5] Comma aggiunto dall’art. 1-bis, comma 1a, numero 2, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Art. 376 (Assegnazione dei ricorsi alle sezioni)

Il primo presidente, tranne quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad apposita sezione, che verifica se sussistono i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5). Se la sezione non definisce il giudizio, gli atti sono rimessi al primo presidente, che procede all'assegnazione alle sezioni semplici [1].
La parte, che ritiene di competenza delle sezioni unite un ricorso assegnato a una sezione semplice, può proporre al primo presidente istanza di rimessione alle sezioni unite, fino a dieci giorni prima dell’udienza di discussione del ricorso.
All’udienza della sezione semplice, la rimessione può essere disposta soltanto su richiesta del pubblico ministero o d’ufficio, con ordinanza inserita nel processo verbale.
[1] Comma così sostituito dall’art. 27, comma 1b, L. 18 giugno 2009, n. 69. [5] Comma aggiunto dall’art. 1-bis, comma 1a, numero 2, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Art. 377 (Fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio e decreto preliminare del presidente [1])

Il primo presidente, su presentazione del ricorso a cura del cancelliere, fissa l’udienza o l’adunanza della camera di consiglio e nomina il relatore per i ricorsi assegnati alle sezioni unite. Per i ricorsi assegnati alle sezioni semplici provvede allo stesso modo il presidente della sezione.
Dell’udienza è data comunicazione dal cancelliere agli avvocati delle parti almeno venti giorni prima.
Il primo presidente, il presidente della sezione semplice o il presidente della sezione di cui all’articolo 376, primo comma, quando occorre, ordina con decreto l'integrazione del contraddittorio o dispone che sia eseguita la notificazione dell’impugnazione a norma dell’articolo 332, ovvero che essa sia rinnovata [2].
Articolo così sostituito dall’art. 65, L. 26 novembre 1990, n. 353.
[1] Le parole «e decreto preliminare del presidente» sono state inserite dall’art. 1-bis, comma 1c, numero 1, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 97.
[2] Comma aggiunto dall’art. 1-bis, comma 1c, numero 2, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Art. 378 (Deposito di memorie di parte)

Le parti possono presentare le loro memorie in cancelleria non oltre cinque giorni prima della udienza.

Art. 379 (Discussione)

All’udienza il relatore riferisce i fatti rilevanti per la decisione del ricorso, il contenuto del provvedimento impugnato e, in riassunto, se non vi è discussione delle parti, i motivi del ricorso e del controricorso.
Dopo la relazione il presidente invita il pubblico ministero a esporre oralmente le sue conclusioni motivate e, quindi, i difensori delle parti a svolgere le loro difese [1].
Non sono ammesse repliche [2].
[1] Comma così modificato dall’art. 1-bis, comma 1d, numero 1, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
[2] Comma così modificato dall’art. 1-bis, comma 1d, numero 2, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Art. 380 (Deliberazione della sentenza)

La Corte, dopo la discussione della causa, delibera, nella stessa seduta, la sentenza in camera di consiglio.
Si applica alla deliberazione della Corte la disposizione dell’articolo 276.

Art. 380-bis (Procedimento per la decisione in camera di consiglio sull’inammissibilità o sulla manifestata fondatezza o infondatezza del ricorso)

Nei casi previsti dall’articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5), su proposta del relatore della sezione indicata nell’articolo 376, primo comma, il presidente fissa con decreto l’adunanza della Corte indicando se è stata ravvisata un’ipotesi di inammissibilità, di manifesta infondatezza o di manifesta fondatezza del ricorso.
Almeno venti giorni prima della data stabilita per l’adunanza, il decreto è notificato agli avvocati delle parti, i quali hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima.
Se ritiene che non ricorrano le ipotesi previste dall’articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5), la Corte in camera di consiglio rimette la causa alla pubblica udienza della sezione semplice.
Articolo aggiunto dall’art. 10, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40, e successivamente così sostituito dall’art. 1-bis, comma 1e, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Art. 380 bis.1 (Procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice)

Della fissazione del ricorso in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice ai sensi dell’articolo 375, secondo comma, è data comunicazione agli avvocati delle parti e al pubblico ministero almeno quaranta giorni prima. Il pubblico ministero può depositare in cancelleria le sue conclusioni scritte non oltre venti giorni prima dell’adunanza in camera di consiglio. Le parti possono depositare le loro memorie non oltre dieci giorni prima dell’adunanza in camera di consiglio. In camera di consiglio la Corte giudica senza l’intervento del pubblico ministero e delle parti.
Articolo aggiunto dall’art. 1-bis, comma 1f, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Art. 380-ter (Procedimento per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza)

Nei casi previsti dall’articolo 375, primo comma, numero 4), il presidente richiede al pubblico ministero le sue conclusioni scritte.
Le conclusioni e il decreto del presidente che fissa l’adunanza sono notificati, almeno venti giorni prima, agli avvocati delle parti, che hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima della medesima adunanza.
In camera di consiglio la Corte giudica senza l’intervento del pubblico ministero e delle parti.
Articolo aggiunto dall’art. 11, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40, e successivamente così sostituito dall’art. 1-bis, comma 1g, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

[abrogato] Art. 381 (Provvedimento sul deposito)

La corte, se dichiara inammissibile o improcedibile il ricorso o lo rigetta nel merito, condanna il ricorrente alla perdita del deposito; ne ordina invece la restituzione anche se accoglie il ricorso solo in parte.
Articolo abrogato dalla L. 18 ottobre 1977, n. 793.

Art. 382 (Decisione delle questioni di giurisdizione e di competenza)

La Corte, quando decide una questione di giurisdizione, statuisce su questa, determinando, quando occorre, il giudice competente.
Quando cassa per violazione delle norme sulla competenza, statuisce su questa.
Se riconosce che il giudice del quale si impugna il provvedimento e ogni altro giudice difettano di giurisdizione, cassa senza rinvio. Egualmente provvede in ogni altro caso in cui ritiene che la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito.

Art. 383 (Cassazione con rinvio)

La Corte, quando accoglie il ricorso per motivi diversi da quelli richiamati nell’articolo precedente, rinvia la causa ad altro giudice di grado pari a quello che ha pronunciato la sentenza cassata.
Nel caso previsto dall’articolo 360 secondo comma, la causa può essere rinviata al giudice che avrebbe dovuto pronunciare sull’appello al quale le parti hanno rinunciato.
La Corte, se riscontra una nullità del giudizio di primo grado per la quale il giudice d’appello avrebbe dovuto rimettere le parti al primo giudice, rinvia la causa a quest’ultimo.
Nelle ipotesi di cui all’articolo 348-ter, commi terzo e quarto, la Corte, se accoglie il ricorso per motivi diversi da quelli indicati dall’articolo 382, rinvia la causa al giudice che avrebbe dovuto pronunciare sull’appello e si applicano le disposizioni del libro secondo, titolo terzo, capo terzo, sezione terza [1].
[1] Comma aggiunto dall’art. 54, comma 1c, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134.

Art. 384 (Enunciazione del principio di diritto e decisione della causa nel merito)

La Corte enuncia il principio di diritto quando decide il ricorso proposto a norma dell’articolo 360, primo comma, n. 3), e in ogni altro caso in cui, decidendo su altri motivi del ricorso, risolve una questione di diritto di particolare importanza.
La Corte, quando accoglie il ricorso, cassa la sentenza rinviando la causa ad altro giudice, il quale deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte, ovvero decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto.
Se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, la Corte riserva la decisione, assegnando con ordinanza al pubblico ministero e alle parti un termine non inferiore a venti e non superiore a sessanta giorni dalla comunicazione per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla medesima questione.
Non sono soggette a cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto; in tal caso la Corte si limita a correggere la motivazione.
Articolo così sostituito dall’art. 12, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40.

Art. 385 (Provvedimenti sulle spese)

La Corte, se rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese.
Se cassa senza rinvio o per violazione delle norme sulla competenza, provvede sulle spese di tutti i precedenti giudizi, liquidandole essa stessa o rimettendone la liquidazione al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata.
Se rinvia la causa ad altro giudice, può provvedere sulle spese del giudizio di cassazione o rimetterne la pronuncia al giudice di rinvio.
[abrogato] Quando pronuncia sulle spese, anche nelle ipotesi di cui all’articolo 375, la Corte, anche d’ufficio, condanna, altresì, la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave.[1]
[1] Comma aggiunto dall’art. 12, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40, e successivamente abrogato dall’art. 46, comma 20, L. 18 giugno 2009, n. 69.

Art. 386 (Effetti della decisione sulla giurisdizione)

La decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda.

Art. 387 (Non riproponibilità del ricorso dichiarato inammissibile o improcedibile)

Il ricorso dichiarato inammissibile o improcedibile, non può essere riproposto, anche se non è scaduto il termine fissato dalla legge.

Art. 388 (Trasmissione di copia del dispositivo al giudice di merito)

Copia della sentenza è trasmessa dal cancelliere della Corte a quello del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, affinché ne sia presa nota in margine all’originale di quest’ultima. La trasmissione può avvenire anche in via telematica.
Articolo così sostituito dall’art. 12, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40.

Art. 389 (Domande conseguenti alla cassazione)

Le domande di restituzione o di riduzione in pristino e ogni altra conseguente alla sentenza di cassazione si propongono al giudice di rinvio e, in caso di cassazione senza rinvio, al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata.

Art. 390 (Rinuncia)

La parte può rinunciare al ricorso principale o incidentale finché non sia cominciata la relazione all’udienza, o sino alla data dell’udienza camerale, o finché non siano notificate le conclusioni scritte del pubblico ministero nei casi di cui all’art. 380-ter [1].
La rinuncia deve farsi con atto sottoscritto dalla parte e dal suo avvocato o anche da questo solo se è munito di mandato speciale a tale effetto.
L’atto di rinuncia è notificato alle parti costituite o comunicato agli avvocati delle stesse, che vi appongono il visto.
[1] Comma modificato dall’art. 75, comma 1c, D.L. 21 giugno 2013, n. 69, e successivamente così modificato dall’art. 1-bis, comma 1h, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Art. 391 (Pronuncia sulla rinuncia)

Sulla rinuncia e nei casi di estinzione del processo disposta per legge la Corte provvede con ordinanza in camera di consiglio, salvo che debba decidere altri ricorsi contro lo stesso provvedimento fissati per la pubblica udienza. Provvede il presidente, con decreto, se non è stata ancora fissata la data della decisione [1]. Il decreto, l’ordinanza o la sentenza che dichiara l’estinzione può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese [2].
Il decreto ha efficacia di titolo esecutivo se nessuna delle parti chiede la fissazione dell’udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione [3].
La condanna non è pronunciata, se alla rinuncia hanno aderito le altre parti personalmente o i loro avvocati autorizzati con mandato speciale.
[1] Comma sostituito dall’art. 15, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40, e successivamente così sostituito dall’art. 1-bis, comma 1i, numero 1, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
[2] ''Comma sostituito dall’art. 15, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40, e successivamente così modificato dall’art. 1-bis, comma 1i, numero 2, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
[3] Comma sostituito dall’art. 15, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40.

Art. 391-bis (Correzione degli errori materiali e revocazione delle sentenze della Corte di cassazione)

Se la sentenza o l’ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta da errore materiale o di calcolo ai sensi dell’articolo 287, ovvero da errore di fatto ai sensi dell’articolo 395, numero 4), la parte interessata può chiederne la correzione o la revocazione con ricorso ai sensi degli articoli 365 e seguenti. La correzione può essere chiesta, e può essere rilevata d’ufficio dalla Corte, in qualsiasi tempo. La revocazione può essere chiesta entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione ovvero di sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento [1].
Sulla correzione la Corte pronuncia nell’osservanza delle disposizioni di cui all’articolo 380-bis, primo e secondo comma [2].
Sul ricorso per correzione dell’errore materiale pronuncia con ordinanza [3].
Sul ricorso per revocazione, anche per le ipotesi regolate dall’articolo 391-ter, la Corte pronuncia nell’osservanza delle disposizioni di cui all’articolo 380-bis, primo e secondo comma, se ritiene l’inammissibilità, altrimenti rinvia alla pubblica udienza della sezione semplice [4].
In caso di impugnazione per revocazione della sentenza della Corte di Cassazione non è ammessa la sospensione dell’esecuzione della sentenza passata in giudicato, né è sospeso il giudizio di rinvio o il termine per riassumerlo.
Articolo aggiunto dall’art. 67, L. 26 novembre 1990, n. 353.
La Corte costituzionale con sentenza 18 aprile 1996, n. 119 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui prevede un termine per la proposizione dell’istanza di correzione degli errori materiali delle sentenze della Corte di cassazione.
[1] Comma modificato dall’art. 16, comma 1a, D.L. 2 febbraio 2016, n. 40, e successivamente così sostituito dall’art. 1-bis, comma 1l, numero 1, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
[2] Comma sostituito dall’art. 16, comma 1b, D.L. 2 febbraio 2016, n. 40, e successivamente così sostituito dall’art. 1-bis, comma 1l, numero 2, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
[3] Comma inserito dall’art. 16, comma 1c, D.L. 2 febbraio 2016, n. 40.
[4] Comma inserito dall’art. 16, comma 1c, D.L. 2 febbraio 2016, n. 40, e successivamente così sostituito dall’art. 1-bis, comma 1l, numero 3, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Art. 391-ter (Altri casi di revocazione ed opposizione di terzo)

Il provvedimento con il quale la Corte ha deciso la causa nel merito è, altresì, impugnabile per revocazione per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’articolo 395 e per opposizione di terzo. I relativi ricorsi si propongono alla stessa Corte e debbono contenere gli elementi, rispettivamente, degli articoli 398, commi secondo e terzo, e 405, comma secondo.
Quando pronuncia la revocazione o accoglie l’opposizione di terzo, la Corte decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto; altrimenti, pronunciata la revocazione ovvero dichiarata ammissibile l’opposizione di terzo, rinvia la causa al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata.
Articolo aggiunto dall’art. 17, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40.


Sezione III: DEL GIUDIZIO DI RINVIO

Art. 392 (Riassunzione della causa)

La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio può essere fatta da ciascuna delle parti non oltre tre mesi [1] dalla pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione.
La riassunzione si fa con citazione, la quale è notificata personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti.
[1] Le parole «un anno» sono state sostituite dalle parole «tre mesi» dall’art. 46, comma 21, L. 18 giugno 2009, n. 69.

Art. 393 (Estinzione del processo)

Se la riassunzione non avviene entro il termine di cui all’articolo precedente, o si avvera successivamente a essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio, l’intero processo si estingue; ma la sentenza della Corte di cassazione conserva il suo effetto vincolante anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda.

Art. 394 (Procedimento in sede di rinvio)

In sede di rinvio si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti al giudice al quale la Corte ha rinviato la causa. In ogni caso deve essere prodotta copia autentica della sentenza di cassazione.
Le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza cassata.
Nel giudizio di rinvio può deferirsi il giuramento decisorio, ma le parti non possono prendere conclusioni diverse da quelle prese nel giudizio nel quale fu pronunciata la sentenza cassata, salvo che la necessità delle nuove conclusioni sorga dalla sentenza di cassazione.


Capo IV: DELLA REVOCAZIONE

Art. 395 (Casi di revocazione)

Le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione:
1) se sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra [1];
2) se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza.
3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario;
4) se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare;
5) se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione;
6) se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.
La Corte costituzionale, con sentenza 30 gennaio 1986, n. 17, ha dichiarato l’illegittimità di questo articolo nella parte in cui non prevede la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione rese su ricorsi basati sull’art. 360, n. 4, del codice di procedura civile ed affette dall’errore di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c..
Con successiva sentenza n. 558 del 20 dicembre 1989 la stessa Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 395, prima parte, e n. 4 c.p.c. nella parte in cui non prevede la revocazione per errore di fatto avverso i provvedimenti di convalida di sfratto e licenza per finita locazione e di convalida di sfratto per morosità emessi in assenza o per mancata opposizione dell’intimato.
[1] La Corte costituzionale, con sentenza 20 febbraio 1995, n. 51, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del numero 1) del presente articolo nella parte in cui non prevede la revocazione avverso i provvedimenti di convalida di sfratto per morosità che siano l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra.

Art. 396 (Revocazione delle sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello)

Le sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello possono essere impugnate per revocazione nei casi dei nn. 1, 2, 3 e 6 dell’articolo precedente, purché la scoperta del dolo o della falsità o il recupero dei documenti o la pronuncia della sentenza di cui al n. 6 siano avvenuti dopo la scadenza del termine suddetto.
Se i fatti menzionati nel comma precedente avvengono durante il corso del termine per l’appello, il termine stesso è prorogato dal giorno dell’avvenimento in modo da raggiungere i trenta giorni da esso.

Art. 397 (Revocazione proponibile dal pubblico ministero)

Nelle cause in cui l’intervento del pubblico ministero è obbligatorio a norma dell’articolo 70 primo comma, le sentenze previste nei due articoli precedenti possono essere impugnate per revocazione dal pubblico ministero:
1) quando la sentenza è stata pronunciata senza che egli sia stato sentito;
2) quando la sentenza è l’effetto della collusione posta in opera dalle parti per frodare la legge.

Art. 398 (Proposizione della domanda)

La revocazione si propone con citazione davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.
La citazione deve indicare, a pena d’inammissibilità, il motivo della revocazione e le prove relative alla dimostrazione dei fatti di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’articolo 395, del giorno della scoperta o dell’accertamento del dolo o della falsità, o del recupero dei documenti.
La citazione deve essere sottoscritta da un difensore munito di procura speciale [1].
La proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre il ricorso per cassazione o il procedimento relativo. Tuttavia il giudice davanti a cui è proposta la revocazione, su istanza di parte, può sospendere l’uno o l’altro fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione, qualora ritenga non manifestamente infondata la revocazione proposta [2].
[1] Comma così sostituito dalla L. 18 ottobre 1977, n. 793.
[2] Comma così sostituito dall’art. 68, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 399 (Deposito della citazione e della risposta)

Se la revocazione è proposta davanti al tribunale o alla corte d’appello, la citazione deve essere depositata, a pena di improcedibilità, entro venti giorni dalla notificazione nella cancelleria del giudice adito insieme con la copia autentica della sentenza impugnata [1].
Le altre parti debbono costituirsi nello stesso termine mediante deposito in cancelleria di una comparsa contenente le loro conclusioni.
Se la revocazione è proposta davanti al giudice di pace il deposito e la costituzione di cui ai due commi precedenti debbono farsi a norma dell’articolo 319 [2].
[1] Comma così sostituito dalla L. 18 dicembre 1977, n. 793.
[2] Comma così sostituito dall’art. 79, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.

Art. 400 (Procedimento)

Davanti al giudice adito si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti a lui, in quanto non derogate da quelle del presente capo.

Art. 401 (Sospensione dell’esecuzione)

Il giudice della revocazione può pronunciare su istanza di parte inserita nell’atto di citazione, la ordinanza prevista nell’articolo 373, con lo stesso procedimento in camera di consiglio ivi stabilito.
Articolo così sostituito dalla L. 18 ottobre 1977, n. 793.

Art. 402 (Decisione)

Con la sentenza che pronuncia la revocazione il giudice decide il merito della causa e dispone l’eventuale restituzione di ciò che siasi conseguito con la sentenza revocata [1].
Il giudice, se per la decisione del merito della causa ritiene di dover disporre nuovi mezzi istruttori, pronuncia, con sentenza, la revocazione della sentenza impugnata e rimette con ordinanza le parti davanti all’istruttore [2].
[1] Comma così sostituito dalla L. 18 ottobre 1977, n. 793.
[2] Comma così sostituito dal D.P.R. 17 ottobre 1950, n. 857.

Art. 403 (Impugnazione della sentenza di revocazione)

Non può essere impugnata per revocazione la sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione.
Contro di essa sono ammessi i mezzi d’impugnazione ai quali era originariamente soggetta la sentenza impugnata per revocazione.


Capo V: DELL’OPPOSIZIONE DI TERZO

Art. 404 (Casi di opposizione di terzo)

Un terzo può fare opposizione contro la sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra altre persone quando pregiudica i suoi diritti [1].
Gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare opposizione alla sentenza, quando è l’effetto di dolo o collusione a loro danno.
La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non ammette:
- l’opposizione di terzo avverso l’ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione, emanata per la mancata comparizione dell’intimato o per la mancata opposizione dell’intimato pur comparso (sentenza 7 giugno 1984, n. 167);
- l’opposizione di terzo avverso l’ordinanza di sfratto per morosità (sentenza 25 ottobre 1985, n. 237);
- l’opposizione di terzo avverso l’ordinanza con la quale il pretore dispone l’affrancazione del fondo ex art. 4 della legge 22 luglio 1966, n. 607 (sentenza 20 dicembre 1988, n. 1105).
[1] La Corte costituzionale, con sentenza n. 192 del 26 maggio 1995, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del primo comma, nella parte in cui non ammette l’opposizione di terzo avverso l’ordinanza di convalida di licenza per finita locazione.

Art. 405 (Domanda di opposizione)

L’opposizione è proposta davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza, secondo le forme prescritte per il procedimento davanti a lui.
La citazione deve contenere, oltre agli elementi di cui all’art. 163, anche l’indicazione della sentenza impugnata e, nel caso del secondo comma dell’articolo precedente l’indicazione del giorno in cui il terzo è venuto a conoscenza del dolo o della collusione, e della relativa prova.

Art. 406 (Procedimento)

Davanti al giudice adito si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti a lui, in quanto non derogate da quelle del presente capo.

Art. 407 (Sospensione dell’esecuzione)

Il giudice dell’opposizione può pronunciare, su istanza di parte inserita nell’atto di citazione, l’ordinanza prevista nell’art. 373, con lo stesso procedimento in camera di consiglio ivi stabilito.
Articolo così sostituito dal D.P.R. 17 ottobre 1950, n. 857.

Art. 408 (Decisione)

Il giudice, se dichiara inammissibile o improcedibile la domanda o la rigetta per infondatezza dei motivi, condanna l’opponente al pagamento di una pena pecuniaria di euro 2 se la sentenza impugnata è del giudice di pace [1] [2], di euro 2 se è del tribunale e di euro 2 in ogni altro caso.
[1] La parola «conciliatore» è stata sostituita con le parole «giudice di pace» dall’art. 39, L. 21 novembre 1991, n. 374.
[2] Le parole «di lire quattromila se è del pretore» sono state soppresse dall’art. 80, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.


Titolo IV: NORME PER LE CONTROVERSIE IN MATERIA DI LAVORO

Capo I: DELLE CONTROVERSIE INDIVIDUALI DI LAVORO

Sezione I: DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 409 (Controversie individuali di lavoro)

Si osservano le disposizioni del presente capo nelle controversie relative a:
1) rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all’esercizio di una impresa;
2) rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto, nonché rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie;
3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa [1];
4) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica;
5) rapporti di lavori dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico, sempreché non siano devoluti dalla legge ad altro giudice.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
[1] Numero così modificato dall’art. 15, L. 22 maggio 2017, n. 81.

Art. 410 (Tentativo facoltativo di conciliazione)

Chi intende propone in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo 409 può promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all’articolo 413.
La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.
Le commissioni di conciliazione sono istituite presso la Direzione provinciale del lavoro. La commissione è composta dal direttore dell’ufficio stesso o da un suo delegato o da un magistrato collocato a riposo, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale.
Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessita’, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore della Direzione provinciale del lavoro o da un suo delegato, che rispecchino la composizione prevista dal terzo comma. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e almeno un rappresentante dei lavoratori.
La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall’istante, è consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno a cura della stessa parte istante alla controparte.
La richiesta deve precisare:
1) nome, cognome e residenza dell’istante e del convenuto; se l’istante o il convenuto sono una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, l’istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede;
2) il luogo dove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l’azienda o sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto;
3) il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura;
4) l’esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.
Se la controparte intende accettare la procedura di conciliazione, deposita presso la commissione di conciliazione, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale. Ove ciò non avvenga, ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità giudiziaria. Entro i dieci giorni successivi al deposito, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi trenta giorni. Dinanzi alla commissione il lavoratore può farsi assistere anche da un’organizzazione cui aderisce o conferisce mandato.
La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, anche in sede giudiziale ai sensi dell’articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può dar luogo a responsabilità, salvi i casi di dolo e colpa grave.
Articolo sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533, e successivamente così sostituito dall’art. 31, comma 1, L. 4 novembre 2010, n. 183.

[abrogato] Art. 410-bis (Termine per l’espletamento del tentativo di conciliazione)

Il tentativo di conciliazione, anche se nelle forme previste dai contratti e accordi collettivi, deve essere espletato entro sessanta giorni dalla presentazione della richiesta. Trascorso inutilmente tale termine, il tentativo di conciliazione si considera comunque espletato ai fini dell'articolo 412-bis.
Articolo inserito dall’art. 37, D.L. 31 marzo 2008, n. 80, e successivamente abrogato dall’art. 31, L. 4 novembre 2010, n. 183.

Art. 411 (Processo verbale di conciliazione)

Se la conciliazione esperita ai sensi dell’articolo 410 riesce, anche limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione. Il giudice, su istanza della parte interessata, lo dichiara esecutivo con decreto.
Se non si raggiunge l’accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti. Delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione il giudice tiene conto in sede di giudizio.
Ove il tentativo di conciliazione sia stato richiesto dalle parti, al ricorso depositato ai sensi dell’articolo 415 devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito. Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, ad esso non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 410. Il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso la Direzione provinciale del lavoro a cura di una delle parti o per il tramite di un’associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l’autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.
Articolo sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533, e successivamente così sostituito dall’art. 31, comma 3, L. 4 novembre 2010, n. 183.

Art. 412 (Processo verbale di mancata conciliazione)

In qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono indicare la soluzione, anche parziale, sulla quale concordano, riconoscendo, quando è possibile, il credito che spetta al lavoratore, e possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.
Nel conferire il mandato per la risoluzione arbitrale della controversia, le parti devono indicare:
1) il termine per l’emanazione del lodo, che non può comunque superare i sessanta giorni dal conferimento del mandato, spirato il quale l’incarico deve intendersi revocato;
2) le norme invocate dalle parti a sostegno delle loro pretese e l’eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.
Il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui all’articolo 1372 e all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile.
Il lodo è impugnabile ai sensi dell’articolo 808-ter. Sulle controversie aventi ad oggetto la validita’ del lodo arbitrale irrituale, ai sensi dell’articolo 808-ter, decide in unico grado il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo. Decorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533, e successivamente così sostituito dall’art. 31, comma 5, L. 4 novembre 2010, n. 183.

[abrogato] Art. 412-bis (Procedibilità della domanda)

L’espletamento del tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità della domanda.
L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto nella memoria difensiva di cui all’articolo 416 e può essere rilevata d’ufficio dal giudice non oltre l’udienza di cui all’articolo 420.
Il giudice ove rilevi che non è stato promosso il tentativo di conciliazione ovvero che la domanda giudiziale è stata presentata prima dei sessanta giorni dalla promozione del tentativo stesso, sospende il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per promuovere il tentativo di conciliazione.
Trascorso il termine di cui al primo comma dell’articolo 410-bis, il processo può essere riassunto entro il termine perentorio di centottanta giorni.
Ove il processo non sia stato tempestivamente riassunto, il giudice dichiara d’ufficio l’estinzione del processo con decreto cui si applica la disposizione di cui all’articolo 308.
Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione non preclude la concessione dei provvedimenti speciali d’urgenza e di quelli cautelari previsti nel capo III del titolo I del libro IV.
Articolo inserito dall’art. 39, D.L. 31 marzo 2008, n. 80, e successivamente abrogato dall’art. 31, L. 4 novembre 2010, n. 183.

Art. 412-ter (Altre modalità di conciliazione e arbitrato previste dalla contrattazione collettiva)

La conciliazione e l’arbitrato, nelle materie di cui all’articolo 409, possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Articolo inserito dall’art. 39, D.L. 31 marzo 2008, n. 80, e successivamente così sostituito dall’art. 31, comma 6, L. 4 novembre 2010, n. 183.

Art. 412-quater (Altre modalità di conciliazione e arbitrato)

Ferma restando la facoltà di ciascuna delle parti di adire l’autorità giudiziaria e di avvalersi delle procedure di conciliazione e di arbitrato previste dalla legge, le controversie di cui all’articolo 409 possono essere altresì proposte innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale costituito secondo quanto previsto dai commi seguenti.
Il collegio di conciliazione e arbitrato è composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro, in funzione di presidente, scelto di comune accordo dagli arbitri di parte tra i professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di cassazione.
La parte che intenda ricorrere al collegio di conciliazione e arbitrato deve notificare all’altra parte un ricorso sottoscritto, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, personalmente o da un suo rappresentante al quale abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. Il ricorso deve contenere la nomina dell’arbitro di parte e indicare l’oggetto della domanda, le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda stessa, i mezzi di prova e il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda. Il ricorso deve contenere il riferimento alle norme invocate dal ricorrente a sostegno della sua pretesa e l’eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.
Se la parte convenuta intende accettare la procedura di conciliazione e arbitrato nomina il proprio arbitro di parte, il quale entro trenta giorni dalla notifica del ricorso procede, ove possibile, concordemente con l’altro arbitro, alla scelta del presidente e della sede del collegio. Ove ciò non avvenga, la parte che ha presentato ricorso può chiedere che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato. Se le parti non hanno ancora determinato la sede, il ricorso è presentato al presidente del tribunale del luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro o ove si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto.
In caso di scelta concorde del terzo arbitro e della sede del collegio, la parte convenuta, entro trenta giorni da tale scelta, deve depositare presso la sede del collegio una memoria difensiva sottoscritta, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. La memoria deve contenere le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l’indicazione dei mezzi di prova.
Entro dieci giorni dal deposito della memoria difensiva il ricorrente può depositare presso la sede del collegio una memoria di replica senza modificare il contenuto del ricorso. Nei successivi dieci giorni il convenuto può depositare presso la sede del collegio una controreplica senza modificare il contenuto della memoria difensiva.
Il collegio fissa il giorno dell’udienza, da tenere entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la controreplica del convenuto, dandone comunicazione alle parti, nel domicilio eletto, almeno dieci giorni prima.
All’udienza il collegio esperisce il tentativo di conciliazione. Se la conciliazione riesce, si applicano le disposizioni dell’articolo 411, commi primo e terzo.
Se la conciliazione non riesce, il collegio provvede, ove occorra, a interrogare le parti e ad ammettere e assumere le prove, altrimenti invita all’immediata discussione orale. Nel caso di ammissione delle prove, il collegio può rinviare ad altra udienza, a non più di dieci giorni di distanza, l’assunzione delle stesse e la discussione orale.
La controversia è decisa, entro venti giorni dall’udienza di discussione, mediante un lodo. Il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui agli articoli 1372 e 2113, quarto comma, del codice civile. Il lodo è impugnabile ai sensi dell’articolo 808-ter. Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale irrituale, ai sensi dell’articolo 808-ter, decide in unico grado il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo. Decorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto.
Il compenso del presidente del collegio è fissato in misura pari al 2 per cento del valore della controversia dichiarato nel ricorso ed è versato dalle parti, per metà ciascuna, presso la sede del collegio mediante assegni circolari intestati al presidente almeno cinque giorni prima dell’udienza. Ciascuna parte provvede a compensare l’arbitro da essa nominato. Le spese legali e quelle per il compenso del presidente e dell’arbitro di parte, queste ultime nella misura dell’1 per cento del suddetto valore della controversia, sono liquidate nel lodo ai sensi degli articoli 91, primo comma, e 92.
I contratti collettivi nazionali di categoria possono istituire un fondo per il rimborso al lavoratore delle spese per il compenso del presidente del collegio e del proprio arbitro di parte.
Articolo inserito dall’art. 39, D.L. 31 marzo 2008, n. 80, e successivamente così sostituito dall’art. 31, comma 8, L. 4 novembre 2010, n. 183.


Sezione II: DEL PROCEDIMENTO

§ 1: DEL PROCEDIMENTO DI PRIMO GRADO
Art. 413 (Giudice competente)

Le controversie previste dall’articolo 409 sono in primo grado di competenza del tribunale [1] in funzione di giudice del lavoro.
Competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto.
Tale competenza permane dopo il trasferimento dell’azienda o la cessazione di essa o della sua dipendenza, purché la domanda sia proposta entro sei mesi dal trasferimento o dalla cessazione.
Competente per territorio per le controversie previste dal numero 3) dell’articolo 409 è il giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell’agente, del rappresentante di commercio ovvero del titolare degli altri rapporti di collaborazione di cui al predetto numero 3) dell’articolo 409 [2].
Competente per territorio per le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è il giudice nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto. [3]
Nelle controversie nelle quali è parte una Amministrazione dello Stato non si applicano le disposizioni dell’articolo 6 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 [3].
Qualora non trovino applicazione le disposizioni dei commi precedenti, si applicano quelle dell’articolo 18.
Sono nulle le clausole derogative della competenza per territorio.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
[1] La parola «pretore» è stata sostituita dalla parola «tribunale» dall’art. 82, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.
[2] Comma aggiunto dall’art. 1, L. 11 febbraio 1992, n. 128.
[3] Commi inseriti dall’art. 40, D.L. 31 marzo 2008, n. 80.

Art. 414 (Forma della domanda)

La domanda si propone con ricorso, il quale deve contenere:
1) l’indicazione del giudice;
2) il nome, il cognome, nonché la residenza o il domicilio eletto dal ricorrente nel comune in cui ha sede il giudice adito, il nome, il cognome e la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto; se ricorrente o convenuto è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, il ricorso deve indicare la denominazione o ditta nonché la sede del ricorrente o del convenuto;
3) la determinazione dell’oggetto della domanda;
4) l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni;
5) l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

Art. 415 (Deposito del ricorso e decreto di fissazione dell’udienza)

Il ricorso è depositato nella cancelleria del giudice competente insieme con i documenti in esso indicati.
Il giudice, entro cinque giorni dal deposito del ricorso, fissa, con decreto, l’udienza di discussione, alla quale le parti sono tenute a comparire personalmente.
Tra il giorno del deposito del ricorso e l’udienza di discussione non devono decorrere più di sessanta giorni.
Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto, a cura dell’attore, entro dieci giorni dalla data di pronuncia del decreto, salvo quanto disposto dall’articolo 417.
Tra la data di notificazione al convenuto e quella dell’udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni.
Il termine di cui al comma precedente è elevato a quaranta giorni e quello di cui al terzo comma è elevato a ottanta giorni nel caso in cui la notificazione prevista dal quarto comma debba effettuarsi all’estero.
Nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma dell’articolo 413, il ricorso è notificato direttamente presso l’amministrazione destinataria ai sensi dell’articolo 144, secondo comma. Per le amministrazioni statali o ad esse equiparate, ai fini della rappresentanza e difesa in giudizio, si osservano le disposizioni delle leggi speciali che prescrivono la notificazione presso gli uffici dell’Avvocatura dello Stato competente per territorio [1].
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
[1] Comma aggiunto dall’art. 41, D.L. 31 marzo 1998, n. 80.

Art. 416 (Costituzione del convenuto)

Il convenuto deve costituirsi almeno dieci giorni prima della udienza, dichiarando la residenza o eleggendo domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito.
La costituzione del convenuto si effettua mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva, nella quale devono essere proposte, a pena di decadenza, le eventuali domande in via riconvenzionale e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio.
Nella stessa memoria il convenuto deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, proporre tutte le sue difese in fatto e in diritto ed indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare i documenti che deve contestualmente depositare.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

Art. 417 Costituzione e difesa personali delle parti)

In primo grado la parte può stare in giudizio personalmente quando il valore della causa non eccede euro 129,11.
La parte che sta in giudizio personalmente propone la domanda nelle forme di cui all’articolo 414 o si costituisce nelle forme di cui all’articolo 416 con elezione di domicilio nell’ambito del territorio della Repubblica.
Può proporre la domanda anche verbalmente davanti al giudice [1] che ne fa redigere processo verbale.
Il ricorso o il processo verbale con il decreto di fissazione dell’udienza devono essere notificati al convenuto e allo stesso attore a cura della cancelleria entro i termini di cui all’articolo 415.
Alle parti che stanno in giudizio personalmente ogni ulteriore atto o memoria deve essere notificato dalla cancelleria.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
[1] La parola «pretore» è stata sostituita dalla parola «giudice» dall’art. 83, D.L. 19 febbraio 1998, n. 81.

Art. 417-bis (Difesa delle pubbliche amministrazioni)

Nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma dell’articolo 413, limitatamente al giudizio di primo grado le amministrazioni stesse possono stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti [1].
Per le amministrazioni statali o ad esse equiparate, ai fini della rappresentanza e difesa in giudizio, le disposizioni di cui al comma precedente si applica salvo che l’Avvocatura dello Stato competente per territorio, ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, determini di assumere direttamente la trattazione della causa dandone immediata comunicazione ai competenti uffici dell’amministrazione interessata, nonché al Dipartimento della funzione pubblica, anche per l’eventuale emanazione di direttive agli uffici per la gestione del contenzioso del lavoro. In ogni altro caso l’Avvocatura dello Stato trasmette immediatamente, e comunque non oltre 7 giorni dalla notifica degli atti introduttivi, gli atti stessi ai competenti uffici dell’amministrazione interessata per gli adempimenti di cui al comma precedente.
Gli enti locali, anche al fine di realizzare economie di gestione, possono utilizzare le strutture dell’amministrazione civile del Ministero dell’interno, alle quali conferiscono mandato nei limiti di cui al primo comma.
Articolo aggiunto dall’art. 42, D.L. 31 marzo 1998, n. 80.
[1] Comma così modificato dall’art. 19, D.L. 29 ottobre 1998, n. 387.

Art. 418 (Notificazione della domanda riconvenzionale)

Il convenuto che abbia proposta una domanda in via riconvenzionale a norma del secondo comma dell’articolo 416 deve, con istanza contenuta nella stessa memoria, a pena di decadenza dalla riconvenzionale medesima, chiedere al giudice che, a modifica del decreto di cui al secondo comma dell’articolo 415, pronunci, non oltre cinque giorni, un nuovo decreto per la fissazione dell’udienza.
Tra la proposizione della domanda riconvenzionale e l’udienza di discussione non devono decorrere più di cinquanta giorni.
Il decreto che fissa l’udienza deve essere notificato all’attore a cura dell’ufficio, unitamente alla memoria difensiva, entro dieci giorni dalla data in cui è stato pronunciato.
Tra la data di notificazione all’attore del decreto pronunciato a norma del primo comma e quella dell’udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni.
Nel caso in cui la notificazione del decreto debba farsi all’estero il termine di cui al secondo comma è elevato a settanta giorni, e quello di cui al comma precedente è elevato a trentacinque giorni.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

Art. 419 (Intervento volontario)

Salvo che sia effettuato per l’integrazione necessaria del contraddittorio, l’intervento del terzo ai sensi dell’articolo 105 non può aver luogo oltre il termine stabilito per la costituzione del convenuto, con le modalità previste dagli articoli 414 e 416 in quanto applicabili.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 193 del 29 giugno 1983, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui, ove un terzo spieghi intervento volontario, non attribuisce al giudice il potere-dovere di fissare - con il rispetto del termine di cui all’art. 415, comma 5 (elevabile a quaranta giorni allorquando la notificazione ad alcune delle parti originarie contumaci debba effettuarsi all’estero) - una nuova udienza, non meno di dieci giorni prima della quale potranno le parti originarie depositare memorie, e di disporre che, entro cinque giorni, siano notificati alle parti originarie il provvedimento di fissazione e la memoria dell’interveniente, e che sia notificato a quest’ultimo il provvedimento di fissazione della nuova udienza.

Art. 420 (Udienza di discussione della causa)

Nell’udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamente le parti presenti, tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva o conciliativa. La mancata comparizione personale delle parti, o il rifiuto della proposta transattiva o conciliativa del giudice, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio. Le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice [1].
Le parti hanno facoltà di farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, il quale deve essere a conoscenza dei fatti della causa. La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia. La mancata conoscenza, senza gravi ragioni, dei fatti della causa da parte del procuratore è valutata dal giudice ai fini della decisione.
Il verbale di conciliazione ha efficacia di titolo esecutivo.
Se la conciliazione non riesce e il giudice ritiene la causa matura per la decisione, o se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio, il giudice invita le parti alla discussione e pronuncia sentenza anche non definitiva dando lettura del dispositivo.
Nella stessa udienza ammette i mezzi di prova già proposti dalle parti e quelli che le parti non abbiano potuto proporre prima, se ritiene che siano rilevanti, disponendo, con ordinanza resa nell’udienza, per la loro immediata assunzione.
Qualora ciò non sia possibile, fissa altra udienza, non oltre dieci giorni dalla prima, concedendo alle parti, ove ricorrano giusti motivi, un termine perentorio non superiore a cinque giorni prima dell’udienza di rinvio per il deposito in cancelleria di note difensive.
Nel caso in cui vengano ammessi nuovi mezzi di prova, a norma del quinto comma, la controparte può dedurre i mezzi di prova che si rendano necessari in relazione a quelli ammessi, con assegnazione di un termine perentorio di cinque giorni. Nell’udienza fissata a norma del precedente comma il giudice ammette, se rilevanti, i nuovi mezzi di prova dedotti dalla controparte e provvede alla loro assunzione.
L’assunzione delle prove deve essere esaurita nella stessa udienza o, in caso di necessità, in udienza da tenersi nei giorni feriali immediatamente successivi.
Nel caso di chiamata in causa a norma degli articoli 102, secondo comma, 106 e 107 il giudice fissa una nuova udienza e dispone che, entro cinque giorni, siano notificati al terzo il provvedimento nonché il ricorso introduttivo e l’atto di costituzione del convenuto, osservati i termini di cui ai commi terzo, quinto e sesto dell’articolo 415. Il termine massimo entro il quale deve tenersi la nuova udienza decorre dalla pronuncia del provvedimento di fissazione.
Il terzo chiamato deve costituirsi non meno di dieci giorni prima dell’udienza fissata, depositando la propria memoria a norma dell’articolo 416.
A tutte le notificazioni e comunicazioni occorrenti provvede l’ufficio.
Le udienze di mero rinvio sono vietate.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
[1] Comma così modificato dall’art. 31, comma 4, L. 4 novembre 2010, n. 183, e successivamente modificato dall’art. 77, comma 1b, D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.

Art. 420 bis (Accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi)

Quando per la definizione di una controversia di cui all’articolo 409 è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, il giudice decide con sentenza tale questione, impartendo distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa fissando una successiva udienza in data non anteriore a novanta giorni.
La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione da proporsi entro sessanta giorni dalla comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza.
Copia del ricorso per cassazione deve, a pena di inammissibilità del ricorso, essere depositata presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata entro venti giorni dalla notificazione del ricorso alle altre parti; il processo è sospeso dalla data del deposito.
Articolo aggiunto dall’art. 18, D.L. 2 febbraio 2006, n. 40.

Art. 421 (Poteri istruttori del giudice)

Il giudice indica alle parti in ogni momento le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate assegnando un termine per provvedervi, salvo gli eventuali diritti quesiti.
Può altresì disporre d’ufficio in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni e osservazioni, sia scritte che orali, alle associazioni sindacali indicate dalle parti. Si osserva la disposizione del comma sesto dell’articolo 420 [1].
Dispone, su istanza di parte, l’accesso sul luogo di lavoro, purché necessario al fine dell’accertamento dei fatti, e dispone altresì, se ne ravvisa l’utilità, l’esame dei testimoni sul luogo stesso.
Il giudice, ove lo ritenga necessario, può ordinare la comparizione, per interrogarle liberamente sui fatti della causa, anche di quelle persone che siano incapaci di testimoniare a norma dell’articolo 246 o a cui sia vietato a norma dell’articolo 247.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
[1] Le parole «dell’articolo precedente» sono state sostituite dalle parole «dell’articolo 420» dall’art. 53, comma 1, D.L. 25 giugno 2008, n. 112.

Art. 422 (Registrazione su nastro)

Il giudice può autorizzare la sostituzione della verbalizzazione da parte del cancelliere con la registrazione su nastro delle deposizioni di testi e delle audizioni delle parti o di consulenti.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

Art. 423 (Ordinanze per il pagamento di somme)

Il giudice, su istanza di parte, in ogni stato del giudizio, dispone con ordinanza il pagamento delle somme non contestate.
Egualmente, in ogni stato del giudizio, il giudice può, su istanza del lavoratore, disporre con ordinanza il pagamento di una somma a titolo provvisorio quando ritenga il diritto accertato e nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova.
Le ordinanze di cui ai commi precedenti costituiscono titolo esecutivo.
L’ordinanza di cui al secondo comma è revocabile con la sentenza che decide la causa.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

Art. 424 (Assistenza del consulente tecnico)

Se la natura della controversia lo richiede, il giudice, in qualsiasi momento, nomina uno o più consulenti tecnici, scelti in albi speciali, a norma dell’articolo 61. A tal fine il giudice può disporre ai sensi del sesto comma dell’articolo 420.
Il consulente può essere autorizzato a riferire verbalmente ed in tal caso le sue dichiarazioni sono integralmente raccolte a verbale, salvo quanto previsto dal precedente articolo 422.
Se il consulente chiede di presentare relazione scritta, il giudice fissa un termine non superiore a venti giorni, non prorogabile, rinviando la trattazione ad altra udienza.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

Art. 425 (Richiesta di informazioni e osservazioni alle associazioni sindacali)

Su istanza di parte, l’associazione sindacale indicata dalla stessa ha facoltà di rendere in giudizio, tramite un suo rappresentante, informazioni e osservazioni orali o scritte.
Tali informazioni e osservazioni possono essere rese anche nel luogo di lavoro ove sia stato disposto l’accesso ai sensi del terzo comma dell’articolo 421.
A tal fine, il giudice può disporre ai sensi del sesto comma dell’articolo 420.
Il giudice può richiedere alle associazioni sindacali il testo dei contratti e accordi collettivi di lavoro, anche aziendali, da applicare nella causa.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

Art. 426 (Passaggio dal rito ordinario al rito speciale)

Il giudice [1] quando rileva che una causa promossa nelle forme ordinarie riguarda uno dei rapporti previsti dall’articolo 409, fissa con ordinanza l’udienza di cui all’articolo 420 e il termine perentorio entro il quale le parti dovranno provvedere all’eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria.
Nell’udienza come sopra fissata provvede a norma degli articoli che precedono.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
La Corte costituzionale, con sentenza 14 gennaio 1977, n. 14, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 426 del codice di procedura civile, come modificato dall’art. 1, della legge 11 agosto 1973, n. 533 (sul nuovo rito del lavoro), e dell’articolo 20 della legge medesima nella parte in cui, con riguardo alle cause pendenti al momento dell’entrata in vigore della legge, non è prevista la comunicazione anche alla parte contumace dell’ordinanza che fissa la udienza di discussione ed il termine perentorio per l’integrazione degli atti.
[1] La parola «pretore» è stata sostituita dalla parola «giudice» dall’art. 83, D.L. 19 febbraio 1998, n. 81.

Art. 427 (Passaggio dal rito speciale al rito ordinario)

Il giudice [1] quando rileva che una causa promossa nelle forme stabilite dal presente capo riguarda un rapporto diverso da quelli previsti dall’articolo 409, se la causa stessa rientra nella sua competenza dispone che gli atti siano messi in regola con le disposizioni tributarie, altrimenti la rimette con ordinanza al giudice competente, fissando un termine perentorio non superiore a trenta giorni per la riassunzione con il rito ordinario.
In tal caso le prove acquisite durante lo stato di rito speciale avranno l’efficacia consentita dalle norme ordinarie.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
[1] La parola «pretore» è stata sostituita dalla parola «giudice» dall’art. 83, D.L. 19 febbraio 1998, n. 81.

Art. 428 (Incompetenza del giudice)

Quando una causa relativa ai rapporti di cui all’articolo 409 sia stata proposta a giudice incompetente, l’incompetenza può essere eccepita dal convenuto soltanto nella memoria difensiva di cui all’articolo 416 ovvero rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la udienza di cui all’articolo 420.
Quando l’incompetenza sia stata eccepita o rilevata ai sensi del comma precedente, il giudice rimette la causa al tribunale [1] in funzione di giudice del lavoro, fissando un termine perentorio non superiore a trenta giorni per la riassunzione con rito speciale.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
[1] La parola «pretore» è stata sostituita dalla parola «tribunale» dall’art. 84, D.L. 19 febbraio 1998, n. 81.

Art. 429 (Pronuncia della sentenza)

Nell’udienza, il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza [1].
Se il giudice lo ritiene necessario, su richiesta delle parti, concede alle stesse un termine non superiore a dieci giorni per il deposito di note difensive, rinviando la causa all’udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine suddetto, per la discussione e la pronuncia della sentenza.
Il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
[1] Comma così sostituito dall’art. 53, comma 2, D.L. 25 giugno 2008, n. 112.

Art. 430 (Deposito della sentenza)

La sentenza deve essere depositata in cancelleria entro quindici giorni dalla pronuncia. Il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle parti.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

Art. 431 (Esecutorietà della sentenza)

Le sentenze che pronunciano condanna a favore del lavoratore per crediti derivanti dai rapporti di cui all’articolo 409 sono provvisoriamente esecutive.
All’esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo, in pendenza del termine per il deposito della sentenza.
Il giudice di appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa quando dalla stessa possa derivare all’altra parte gravissimo danno.
La sospensione disposta a norma del comma precedente può essere anche parziale e, in ogni caso, l’esecuzione provvisoria resta autorizzata fino alla somma di euro 258,23.
Le sentenze che pronunciano condanna a favore del datore di lavoro sono provvisoriamente esecutive e sono soggette alla disciplina degli articoli 282 e 283 [1].
Il giudice di appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa in tutto o in parte quando ricorrono gravi motivi [1].
Se l’istanza per la sospensione di cui al terzo ed al sesto comma è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L’ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio [2].
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
[1] Commi aggiunti dall’art. 69, L. 26 novembre 1990, n. 353.
[2] Comma aggiunto dall’art. 27 della legge 12 novembre 2011, n. 183, con effetto dall’1 gennaio 2012.

Art. 432 (Valutazione equitativa delle prestazioni)

Quando sia certo il diritto ma non sia possibile determinare la somma dovuta, il giudice la liquida con valutazione equitativa.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.


§ 2: DELLE IMPUGNAZIONI
Art. 433 (Giudice d’appello)

L’appello contro le sentenze pronunciate nei processi relativi alle controversie previste nell’articolo 409 deve essere proposto con ricorso davanti alla corte di appello [1] territorialmente competente in funzione di giudice del lavoro.
Ove l’esecuzione sia iniziata, prima della notificazione della sentenza, l’appello può essere proposto con riserva dei motivi che dovranno essere presentati nel termine di cui all’articolo 434.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
[1] Le parole «al tribunale» sono state sostituite dalle parole «alla corte di appello» dall’art. 85, D.L. 19 febbraio 1998, n. 81.

Art. 434 (Deposito del ricorso in appello)

Il ricorso deve contenere le indicazioni prescritte dall’articolo 414. L’appello deve essere motivato. La motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità:
1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;
2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata [1].
Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della corte di appello [2] entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza, oppure entro quaranta giorni nel caso in cui la notificazione abbia dovuto effettuarsi all’estero.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
[1] Comma così sostituito dall’art. 54, comma 1c-bis, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134.
[2] Le parole «del tribunale» sono state sostituite dalle parole «della corte di appello» dall’art. 85, D.L. 19 febbraio 1998, n. 81.

Art. 435 (Decreto del presidente)

Il presidente della corte di appello [1] entro cinque giorni dalla data di deposito del ricorso nomina il giudice relatore e fissa, non oltre sessanta giorni dalla data medesima, l’udienza di discussione dinanzi al collegio.
L’appellante, nei dieci giorni successivi al deposito del decreto, provvede alla notifica del ricorso e del decreto dell’appellato [2].
Tra la data di notificazione all’appellato e quella dell’udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni.
Nel caso in cui la notificazione prevista dal secondo comma deve effettuarsi all’estero, i termini di cui al primo e al terzo comma sono elevati, rispettivamente, a ottanta e sessanta giorni.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
[1] Le parole «del tribunale» sono state sostituite dalle parole «della corte di appello» dall’art. 85, D.L. 19 febbraio 1998, n. 81. [2] La Corte costituzionale, con sentenza 14 gennaio 1977, n. 15, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non dispone che l’avvenuto deposito del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di discussione sia comunicato all’appellante e che da tale comunicazione decorra il termine per la notificazione all’appellato.

Art. 436 (Costituzione dell’appellato e appello incidentale)

L’appellato deve costituirsi almeno dieci giorni prima della udienza.
La costituzione dell’appellato si effettua mediante deposito in cancelleria del fascicolo e di una memoria difensiva, nella quale deve essere contenuta dettagliata esposizione di tutte le sue difese.
Se propone appello incidentale, l’appellato deve esporre nella stessa memoria i motivi specifici su cui fonda l’impugnazione. L’appello incidentale deve essere proposto, a pena di decadenza, nella memoria di costituzione, da notificarsi, a cura dell’appellato, alla controparte almeno dieci giorni prima dell’udienza fissata a norma dell’articolo precedente.
Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dell’articolo 416.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

Art. 436-bis (Inammissibilità dell’appello e pronuncia)

All’udienza di discussione si applicano gli articoli 348-bis e 348-ter. Articolo aggiunto dall’art. 54, comma 1d, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134.

Art. 437 (Udienza di discussione)

Nell’udienza il giudice incaricato fa la relazione orale della causa. Il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo nella stessa udienza.
Non sono ammesse nuove domande ed eccezioni. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova, tranne il giuramento estimatorio, salvo che il collegio, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa.
È salva la facoltà delle parti di deferire il giuramento decisorio in qualsiasi momento della causa.
Qualora ammetta le nuove prove, il collegio fissa, entro venti giorni, l’udienza nella quale esse debbono essere assunte e deve essere pronunciata la sentenza. In tal caso il collegio con la stessa ordinanza può adottare i provvedimenti di cui all’articolo 423.
Sono applicabili le disposizioni di cui ai commi secondo e terzo dell’articolo 429.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

Art. 438 (Deposito della sentenza di appello)

Il deposito della sentenza di appello è effettuato con l’osservanza delle norme di cui all’articolo 430.
Si applica il disposto del secondo comma dell’articolo 431.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

Art. 439 (Cambiamento del rito in appello)

La corte di appello [1], se ritiene che il procedimento in primo grado non si sia svolto secondo il rito prescritto, procede a norma degli articoli 426 e 427.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
[1] Le parole «Il tribunale» sono state sostituite dalle parole «La corte di appello» dall’art. 85, D.L. 19 febbraio 1998, n. 81.

Art. 440 (Appellabilità delle sentenze)

Sono inappellabili le sentenze che hanno deciso una controversia di valore non superiore a euro 25,82.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

Art. 441 (Consulente tecnico in appello)

Il collegio, nell’udienza di cui al primo comma dell’articolo 437, può nominare un consulente tecnico rinviando ad altra udienza da fissarsi non oltre trenta giorni. In tal caso con la stessa ordinanza può adottare i provvedimenti di cui all’articolo 423.
Il consulente deve depositare il proprio parere almeno dieci giorni prima della nuova udienza.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.


Capo II: DELLE CONTROVERSIE IN MATERIA DI PREVIDENZA E DI ASSISTENZA OBBLIGATORIE

Art. 442 (Controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie)

Nei procedimenti relativi a controversie derivanti dall’applicazione delle norme riguardanti le assicurazioni sociali, gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali, gli assegni familiari nonché ogni altra forma di previdenza e di assistenza obbligatorie, si osservano le disposizioni di cui al capo primo di questo titolo.
Anche per le controversie relative alla inosservanza degli obblighi di assistenza e di previdenza derivanti da contratti e accordi collettivi si osservano le disposizioni di cui al capo primo di questo titolo.
Per le controversie di cui all’articolo 7, terzo comma, numero 3-bis), non si osservano le disposizioni di questo capo, né quelle di cui al capo primo di questo titolo [1].
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
La Corte costituzionale, con sentenza 12 aprile 1991, n. 156, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo, nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal titolare per la diminuzione del valore del suo credito, applicando l’indice dei prezzi calcolato dall’ISTAT per la scala mobile nel settore dell’industria e condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno in cui si sono verificate le condizioni legali di responsabilità dell’istituto o ente debitore per il ritardo dell’adempimento. Con sentenza n. 196 del 27 aprile 1993, la stessa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo nella parte in cui non prevede, quando il giudice pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti relativi a prestazioni di assistenza sociale obbligatoria, il medesimo trattamento dei crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale in ordine agli interessi legali e al risarcimento del maggior danno sofferto dal titolare per la diminuzione di valore del suo credito.
[1] Comma aggiunto dall’art. 26, comma 22, L. 18 giugno 2009, n. 69.

Art. 443 (Rilevanza del procedimento amministrativo)

La domanda relativa alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie di cui al primo comma dell’articolo 442 non è procedibile se non quando siano esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa o siano decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi o siano, comunque, decorsi centottanta giorni dalla data in cui è stato proposto il ricorso amministrativo.
Se il giudice nella prima udienza di discussione rileva l’improcedibilità della domanda a norma del comma precedente, sospende il giudizio e fissa all’attore un termine perentorio di sessanta giorni per la presentazione del ricorso in sede amministrativa.
Il processo deve essere riassunto, a cura dell’attore, nel termine perentorio di centottanta giorni che decorre dalla cessazione della causa della sospensione.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

Art. 444 (Giudice competente)

Le controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie indicate nell’articolo 442 sono di competenza del tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione ha residenza l’attore [1]. Se l’attore è residente all’estero la competenza è del tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione l’attore aveva l’ultima residenza prima del trasferimento all’estero ovvero, quando la prestazione è chiesta dagli eredi, nella cui circoscrizione il defunto aveva la sua ultima residenza [2].
Se la controversia in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali riguarda gli addetti alla navigazione marittima o alla pesca marittima, è competente il tribunale [3], in funzione di giudice del lavoro, del luogo in cui ha sede l’ufficio del porto di iscrizione della nave.
Per le controversie relative agli obblighi dei datori di lavoro e all’applicazione delle sanzioni civili per l’inadempimento di tali obblighi, è competente il tribunale [3], in funzione di giudice del lavoro, del luogo in cui ha sede l’ufficio dell’ente.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
[1] Comma così sostituito dall’art. 86, comma 1a, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.
[2] Periodo aggiunto dall’art. 46, comma 23, L. 18 giugno 2009, n. 69. [3] La parola «pretore» è stata sostituita dalla parola «tribunale» dall’art. 86, comma 1b, D.L. 19 febbraio 1998, n. 81.

Art. 445 (Consulente tecnico)

Nei processi regolati nel presente capo, relativi a domande di prestazioni previdenziali o assistenziali che richiedano accertamenti tecnici, il giudice nomina uno o più consulenti tecnici scelti in appositi albi, ai sensi dell’articolo 424.
Nei casi di particolare complessità il termine di cui all’articolo 424 può essere prorogato fino a sessanta giorni.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

Art. 445-bis (Accertamento tecnico preventivo obbligatorio)

Nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente ai sensi dell’articolo 442 codice di procedura civile, presso il Tribunale nel cui circondario risiede l’attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il giudice procede a norma dell’articolo 696 - bis codice di procedura civile, in quanto compatibile nonché secondo le previsioni inerenti all’accertamento peritale di cui all’articolo 10, comma 6-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e all’articolo 195.
L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda di cui al primo comma. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso.
La richiesta di espletamento dell’accertamento tecnico interrompe la prescrizione.
Il giudice, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio.
In assenza di contestazione, il giudice, se non procede ai sensi dell’articolo 196, con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell’ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile nè modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.
Nei casi di mancato accordo la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione.
La sentenza che definisce il giudizio previsto dal comma precedente è inappellabile [1].
Articolo aggiunto dall’art. 38, comma 1b, numero 1, D.L. 6 luglio 2011, n. 98.
[1] Comma aggiunto dall’art. 27, comma 1f, L. 12 novembre 2011, n. 183.

Art. 446 (Istituti di patronato e di assistenza sociale)

Gli istituti di patronato e di assistenza sociale legalmente riconosciuti possono, su istanza dell’assistito, in ogni grado del giudizio, rendere informazioni e osservazioni orali o scritte nella forma di cui all’articolo 425.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

Art. 447 (Esecuzione provvisoria)

Le sentenze pronunciate nei giudizi relativi alle controversie di cui all’articolo 442 sono provvisoriamente esecutive.
Si applica il disposto dell’articolo 431.
Articolo così sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

Art. 447 bis (Norme applicabili alle controversie in materia di locazione, di comodato e di affitto)

Le controversie in materia di locazione e di comodato di immobili urbani e quelle di affitto di aziende sono disciplinate dagli articoli 414, 415, 416, 417, 418, 419, 420, 421, primo comma, 422, 423, primo e terzo comma, 424, 425, 426, 427, 428, 429, primo e secondo comma, 430, 433, 434, 435, 436, 436-bis, 437, 438, 439, 440, 441, in quanto applicabili [1].
Sono nulle le clausole di deroga alla competenza [2].
Il giudice può disporre d’ufficio, in qualsiasi momento, l’ispezione della cosa e l’ammissione di ogni mezzo di prova, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni, sia scritte che orali, alle associazioni di categoria indicate dalle parti.
Le sentenze di condanna di primo grado sono provvisoriamente esecutive. All’esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo in pendenza del termine per il deposito della sentenza. Il giudice d’appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l’efficacia esecutiva o l’esecuzione siano sospese quando dalle stesse possa derivare all’altra parte gravissimo danno.
Articolo aggiunto dall’art. 70, L. 26 novembre 1990, n. 353.
[1] Comma così sostituito dall’art. 87, comma 1a, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51. Successivamente la parola «446-bis» è stata aggiunta dall’art. 54, comma 1e, D.L. 22 giugno 2012, n. 83.
[2] Il primo periodo del comma è stato soppresso dall’art. 87, comma 1b, D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.

[abrogato] Art. 448 (Rimessione al collegio)

Il giudice istruttore nel rimettere la causa al collegio per la discussione fissa l’udienza di cui all’articolo 190 entro i venti giorni successivi.
Nei processi riguardanti controversie di cottimo, il termine è ridotto a metà e la sentenza deve essere pubblicata all’udienza di discussione.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 449 (Disposizioni sulle spese)

Nelle cause di valore non superiore alle lire duemila non possono essere posti a carico del soccombente gli onorari dell’avvocato dal quale l’altra parte si è fatta assistere.
Nelle cause di valore superiore alle lire duemila, il giudice, quando condanna alle spese, determina, secondo le circostanze, se in esse siano da comprendere, in tutto o in parte, gli onorari dell’avvocato.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 450 (Giudice d’appello)

L’appello contro le sentenze pronunciate nei processi relativi a controversie previste nell’articolo 429 deve essere proposto davanti alla sezione della corte d’appello che funziona come magistratura del lavoro, la quale è integrata da due consiglieri designati dal primo presidente in sostituzione degli esperti.
Anche quando il giudizio di primo grado si è svolto con rito ordinario, se la sentenza è impugnata perché il pretore o il tribunale ha ritenuto che il rapporto dedotto in giudizio non rientra fra quelli previsti nell’articolo 429, l’appello deve essere proposto alla sezione speciale e, se è proposto in forma incidentale davanti al giudice ordinario, questi, con ordinanza, rimette il processo alla sezione speciale.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 451 (Cambiamento del rito in appello)

La sezione della corte di cui all’articolo precedente, se ritiene che il procedimento in primo grado non si è svolto secondo il rito prescritto, provvede, quando occorre, a norma degli articoli 445 e 446.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 452 (Appellabilità delle sentenze)

Sono inappellabili le sentenze che hanno deciso una controversia di valore non superiore a lire cinquemila.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 453 (Consulente tecnico in appello)

Quando l’appello riguarda decisioni fondate su accertamenti compiuti da consulenti tecnici, è obbligatoria la nomina del consulente tecnico.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 454 (Ricorso per cassazione)

Contro le sentenze pronunciate secondo il rito speciale, si può proporre ricorso per cassazione a norma del n. 3 dell’art. 360 anche per violazione o falsa applicazione delle disposizioni dei contratti collettivi e delle norme equiparate.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 455 (Arbitrato dei consulenti tecnici)

Quando la controversia ha contenuto prevalentemente tecnico, le parti, d’accordo, possono chiedere al giudice che la decisione sia rimessa al consulente tecnico, oppure a un collegio composto dal consulente tecnico nominato d’ufficio, che lo presiede, e dai consulenti tecnici delle parti.
Il giudice provvede con ordinanza, assegnando ai consulenti un termine perentorio per la pronuncia del lodo.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 456 (Pronuncia dei consulenti tecnici)

I consulenti tecnici decidono secondo equità.
Il lodo deve essere depositato, a pena di nullità, nel termine di cui all’articolo precedente, nella cancelleria dell’ufficio al quale appartiene il giudice che ha rimesso la decisione ai consulenti, ed è dichiarato esecutivo con decreto del pretore o del presidente del tribunale.
Contro il decreto che nega l’esecutorietà è ammesso reclamo mediante ricorso a norma dell’articolo 825 ultimo comma al presidente della sezione della corte d’appello indicata nell’articolo 450.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 457 (Decadenza dei consulenti tecnici ed estinzione del processo)

Se il lodo non è depositato nel termine di cui all’art. 455, secondo comma, il giudice che ha disposto la rimessione, su istanza della parte più diligente, pronuncia la decadenza e provvede sulla causa.
Se l’istanza non è proposta entro sei mesi dalla scadenza del termine suddetto, il processo si estingue.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 458 (Impugnazione delle sentenze dei consulenti)

Le sentenze dei consulenti sono impugnabili a norma degli articoli 827 e seguenti, in quanto applicabili, davanti alla sezione della corte d’appello indicata nell’articolo 450.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 459 (Controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie)

Si osservano le disposizioni del presente capo nei processi relativi a controversie derivanti dall’applicazione delle norme relative alle assicurazioni sociali, agli infortuni sul lavoro industriale e agricolo, alle malattie professionali, agli assegni familiari e ad ogni altra forma di previdenza e di assistenza obbligatorie inerenti ai rapporti indicati nell’articolo 429.
Si osservano le norme del capo secondo di questo titolo per le controversie tra lavoratori e datori di lavoro relative all’inosservanza da parte di questi ultimi degli obblighi di assistenza e previdenza derivanti da contratti collettivi di lavoro o norme equiparate.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 460 (Improponibilità della domanda)

La domanda relativa a controversie previste nel presente capo non può essere proposta, se non quando sono esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa o sono decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 461 (Giudice competente)

Le controversie indicate nell’articolo 459 primo comma sono di competenza del tribunale.
Per le controversie relative al diritto alle prestazioni previdenziali o assistenziali dei lavoratori o loro aventi causa, in materia di infortuni sul lavoro e di malattie professionali, è competente il tribunale del luogo in cui è avvenuto l’infortunio o si è manifestata la malattia professionale, e, per le altre controversie, il tribunale del luogo in cui ha sede l’organo locale dell’ente al quale è stata fatta la richiesta della prestazione. Se la controversia in materia di infortuni sul lavoro e di malattie professionali riguarda gli addetti alla navigazione marittima o alla pesca marittima, è competente il tribunale del luogo in cui ha sede l’ufficio del porto di iscrizione della nave.
Per le controversie relative agli obblighi dei datori di lavoro e all’applicazione delle sanzioni civili per l’inadempimento di tali obblighi, in materia di infortuni sul lavoro e di malattie professionali, è competente il tribunale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio dell’ente al quale deve essere fatta la denuncia dei lavori ai fini dell’assicurazione, e per le altre controversie è competente il tribunale del luogo in cui si è svolto il rapporto di lavoro.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 462 (Patrocinio)

Le parti che chiedono le prestazioni possono stare in giudizio personalmente, oppure con il ministero di un procuratore legale scelto in appositi albi, e possono valersi dell’assistenza di avvocati scelti negli stessi albi.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 463 (Assistenza del consulente tecnico)

Nei processi regolati nel presente capo, relativi a domande di prestazioni previdenziali o assistenziali, il giudice è normalmente assistito, a norma dell’articolo 441, da uno o più consulenti tecnici, scelti in appositi albi.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 464 (Rinvio)

Si osservano nel procedimento le disposizioni degli articoli 439, 440, 441 e 448 primo comma.
Le associazioni sindacali possono intervenire nel giudizio a norma dell’articolo 443.
Le parti possono chiedere che la decisione sia rimessa ad uno o più consulenti tecnici, a norma degli articoli 455 e seguenti.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 465 (Giudice d’appello)

L’appello contro le sentenze pronunciate nelle controversie previste nell’articolo 459 si propone alla sezione della corte d’appello che funziona come magistratura del lavoro, composta nel modo indicato nell’articolo 450.
Si applica la disposizione dell’articolo 453.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 466 (Appellabilità delle sentenze)

Sono inappellabili le sentenze che hanno deciso una controversia di valore non superiore alle lire diecimila.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 467 (Denuncia all’associazione sindacale)

Le norme degli articoli 430, 431, 432 e 433 si applicano anche nelle controversie in materie regolate da norme corporative, quando l’obbligo del tentativo di conciliazione è stabilito dalle dette norme.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 468 (Nomina del consulente tecnico)

Nelle controversie indicate nell’articolo precedente i consulenti tecnici sono scelti possibilmente negli appositi albi.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 469 (Intervento delle associazioni sindacali)

Le associazioni sindacali possono intervenire in giudizio a norma dell’articolo 443, quando si contenda sull’applicazione delle norme corporative.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 470 (Sospensione del procedimento)

Il procedimento deve essere sospeso a norma dell’articolo 444, quando pende un processo collettivo riguardante l’applicazione della norma corporativa.]
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 471 (Ricorso per cassazione)

Si può proporre ricorso per cassazione a norma del numero 3 dell’articolo 360 anche per violazione o falsa applicazione delle disposizioni delle norme corporative.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 472 (Accertamento tecnico preventivo)

Quando la controversia riguarda le modalità di una prestazione o la qualità di una merce o altro elemento tecnico relativo a una norma corporativa, la parte può chiedere, nei modi stabiliti nell’articolo 696, che sia eseguito un accertamento tecnico preventivo.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.

[abrogato] Art. 473 (Procedimento ed efficacia dell’accertamento)

Il presidente, il pretore o il conciliatore, quando ritiene di dovere accogliere l’istanza, nomina con decreto il consulente, scegliendolo in ogni caso nell’apposito albo. Nello stesso decreto il presidente, il pretore o il conciliatore formula i quesiti ai quali il consulente deve rispondere e gli assegna un breve termine per il compimento dell’indagine e per la presentazione della relazione.
Alle risposte del consulente si applica la disposizione dell’articolo 442 ultimo comma.
Articolo abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.