Codice di Procedura Civile/Libro primo
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Libro primo: DISPOSIZIONI GENERALI
Titolo I: DEGLI ORGANI GIUDIZIARI
Capo I: DEL GIUDICE
Sezione I: DELLA GIURISDIZIONE E DELLA COMPETENZA IN GENERALE
Art. 1 (Giurisdizione dei giudici ordinari)
La giurisdizione civile, salvo speciali disposizioni di legge, è esercitata dai giudici ordinari secondo le norme del presente codice.
[abrogato] Art. 2 (Inderogabilità convenzionale della giurisdizione)
La giurisdizione italiana non può essere convenzionalmente derogata a favore di una giurisdizione straniera, né di arbitri che pronuncino all’estero, salvo che si tratti di causa relativa ad obbligazioni tra stranieri o tra uno straniero e un cittadino non residente né domiciliato nella Repubblica e la deroga risulti da atto scritto.
Articolo abrogato dall’art. 73, L. 31 maggio 1995, n. 218.
[abrogato] Art. 3 (Pendenza di lite davanti a giudice straniero)
La giurisdizione italiana non è esclusa dalla pendenza davanti a un giudice straniero della medesima causa o di altra con questa connessa.
Articolo abrogato dall’art. 73, L. 31 maggio 1995, n. 218.
[abrogato] Art. 4 (Giurisdizione rispetto allo straniero)
Lo straniero può essere convenuto davanti ai giudici della Repubblica:
1) se quivi è residente o domiciliato, anche elettivamente, o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’articolo 77, oppure se ha accettato la giurisdizione italiana, salvo che la domanda sia relativa a beni immobili situati all’estero;
2) se la domanda riguarda beni esistenti nella Repubblica o successioni ereditarie di cittadino italiano o aperte nella Repubblica, oppure obbligazioni quivi sorte o da eseguirsi;
3) se la domanda è connessa con altra pendente davanti al giudice italiano, oppure riguarda provvedimenti cautelari da eseguirsi nella Repubblica o relativi a rapporti dei quali il giudice italiano può conoscere;
4) se, nel caso reciproco, il giudice dello Stato al quale lo straniero appartiene può conoscere delle domande proposte contro un cittadino italiano.
Articolo abrogato dall’art. 73, L. 31 maggio 1995, n. 218.
Art. 5 (Momento determinante della giurisdizione e della competenza)
La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo.
Articolo così sostituito dall’art. 2, L. 26 novembre 1990, n. 353.
Art. 6 (Inderogabilità convenzionale della competenza)
La competenza non può essere derogata per accordo delle parti, salvo che nei casi stabiliti dalla legge.
Sezione II: DELLA COMPETENZA PER MATERIA E VALORE
Art. 7 (Competenza del giudice di pace)
Il giudice di pace è competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a cinquemila euro, quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice [1].
Il giudice di pace è altresì competente per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, purché il valore della controversia non superi ventimila euro [2].
[abrogato] Il giudice di pace è inoltre competente, con il limite di valore di cui al secondo comma, per le cause di opposizione alle ingiunzioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, salvo che con la sanzione pecuniaria sia stata anche applicata una sanzione amministrativa accessoria. Resta ferma la competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro e per le cause di opposizione alle ingiunzioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie [3].
È competente qualunque ne sia il valore:
1) per le cause relative ad apposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi; [4]
2) per le cause relative alla misura ed alle modalità d’uso dei servizi di condominio di case; [5]
3) per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità;
3-bis) per le cause relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali; [6]
3-ter) per le cause nelle materie di cui al libro terzo, titolo II, Capo II, Sezione VI del codice civile, fatta eccezione per quella delle distanze nelle costruzioni; [7]
3-quater) per le cause relative alle materie di cui al libro terzo, titolo II, Capo II, Sezione VII del codice civile, fatta eccezione per quella delle distanze di cui agli articoli 905, 906 e 907 del medesimo codice; [7]
3-quinquies) per le cause in materia di stillicidio e di acque di cui al libro terzo, titolo II, Capo II, sezioni VIII e IX del codice civile; [7]
3-sexies) per le cause in materia di occupazione e di invenzione di cui al libro terzo, titolo II, Capo III, sezione I del codice civile; [7]
3-septies) per le cause in materia di specificazione, unione e commistione di cui al libro terzo, titolo II, Capo III, sezione II del codice civile; [7]
3-octies) per le cause in materia di enfiteusi di cui al libro terzo, titolo IV del codice civile; [7]
3-novies) per le cause in materia di esercizio delle servitù prediali; [7]
3-decies) per le cause di impugnazione del regolamento e delle deliberazioni di cui agli articoli 1107 e 1109 del codice civile; [7]
3-undecies) per le cause in materia di diritti ed obblighi del possessore nella restituzione della cosa, di cui al libro terzo, titolo VIII, Capo II, Sezione I del codice civile. [7]
[abrogato] 4) per le cause di opposizione alle sanzioni amministrative irrogate in base all’articolo 75 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 [8].
[9] Il giudice di pace è altresì competente, purché il valore della controversia, da determinarsi a norma dell'articolo 15, non sia superiore a trentamila euro:
1) per le cause in materia di usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari;
2) per le cause in materia di riordinamento della proprietà rurale di cui al libro terzo, titolo II, Capo II, sezione II del codice civile;
3) per le cause in materia di accessione;
4) per le cause in materia di superficie.
Quando una causa di competenza del giudice di pace a norma dei commi terzo, numeri da 3-ter) a 3-undecies), e quarto è proposta, contro la stessa parte, congiuntamente ad un’altra causa di competenza del tribunale, le relative domande, anche in assenza di altre ragioni di connessione, sono proposte innanzi al tribunale affinché siano decise nello stesso processo.
Articolo così sostituito dall’art. 17, L. 21 novembre 1991, n. 374.
[1] Comma così modificato dall’art. 45, comma 1b, L. 18 giugno 2009, n. 69. La parola «cinquemila» sarà sostituita con «trentamila» secondo l’art. 27 comma 1a, numero 1a, D.L. 13 luglio 2017, n. 116 che entrerà in vigore il 31 ottobre 2021.
[2] Comma così modificato dall’art. 45, comma 1b, L. 18 giugno 2009, n. 69. La parola «ventimila» sarà sostituita con «cinquantamila» secondo l’art. 27 comma 1a, numero 1b, D.L. 13 luglio 2017, n. 116 che entrerà in vigore il 31 ottobre 2021.
[3] Comma abrogato dall’art. 1, comma 1, D.L. 18 ottobre 1995, n. 432.
[4] Il numero verrà modificato con «1) per le cause relative ad apposizioni di termini;» secondo l’art. 27 comma 1a, numero 1c1, D.L. 13 luglio 2017, n. 116 che entrerà in vigore il 31 ottobre 2021.
[5] Il numero verrà modificato con «2) per le cause in materia di condominio negli edifici, come definite ai sensi dell'articolo 71-quater delle disposizioni per l’attuazione del codice civile;» secondo l’art. 27 comma 1a, numero 1c2, D.L. 13 luglio 2017, n. 116 che entrerà in vigore il 31 ottobre 2021.
[6] Numero aggiunto dall’art. 45, comma 1c, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[7] Numeri che verranno aggiunti secondo l’art. 27 comma 1a, numero 1c3, D.L. 13 luglio 2017, n. 116 che entrerà in vigore il 31 ottobre 2021.
[8] Numero abrogato dall’art. 1, comma 1, D.L. 18 ottobre 1995, n. 432.
[9] I commi che seguono verranno aggiunti secondo l’art. 27 comma 1a, numero 1d, D.L. 13 luglio 2017, n. 116 che entrerà in vigore il 31 ottobre 2021.
[abrogato] Art. 8 (Competenza del pretore)
Il pretore è competente per le cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore a lire cinquanta milioni, in quanto non siano di competenza del giudice di pace [1].
È competente, qualunque ne sia il valore:
1) per le azioni possessorie, salvo il disposto dell’articolo 704, e per le denunce di nuova opera e di danno temuto, salvo il disposto dell’articolo 688, secondo comma;
[abrogato] 2) per le cause relative ad apposizione di termini e osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi [2];
3) per le cause relative a rapporti di locazione e di comodato di immobili urbani e per quelle di affitto di aziende, in quanto non siano di competenza delle sezioni specializzate agrarie;
4) per le cause relative alla misura e alle modalità di uso dei servizi di condominio di case [2].
Articolo così sostituito dalla L. 30 luglio 1984, n. 399.
[1] Comma sostituito dall’art. 18, L. 21 novembre 1991, n. 374 e successivamente così sostituito dall’art. 2, D.L. 18 ottobre 1995, n. 432.
[2] Numero abrogato dall’art. 47, L. 21 novembre 1991, n. 374.
Articolo abrogato dal D.Lgs. 18 febbraio 1998 n.51
Art. 9 (Competenza del tribunale)
Il tribunale è competente per tutte le cause che non sono di competenza di altro giudice.
Il tribunale è altresì esclusivamente competente per tutte le cause in materia di imposte e tasse, per quelle relative allo stato e alla capacità delle persone e ai diritti onorifici, per la querela di falso, per l’esecuzione forzata e, in generale, per ogni causa di valore indeterminabile.
Articolo così sostituito dal D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.
Art. 10 (Determinazione del valore)
Il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti.
A tale effetto le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro, e gli interessi scaduti, le spese e i danni, anteriori alla proposizione si sommano col capitale.
Art. 11 (Cause relative a quote di obbligazione tra più parti)
Se è chiesto da più persone o contro più persone l’adempimento per quote di un’obbligazione, il valore della causa si determina dall’intera obbligazione.
Art. 12 (Cause relative a rapporti obbligatori, a locazioni e a divisioni)
Il valore delle cause relative all’esistenza, alla validità o alla risoluzione di un rapporto giuridico obbligatorio si determina in base a quella parte del rapporto che è in contestazione.
[abrogato] Nelle cause per finita locazione d’immobili il valore si determina in base all’ammontare del fitto o della pigione per un anno, ma se sorge controversia sulla continuazione della locazione, il valore si determina cumulando i fitti o le pigioni relativi al periodo controverso [1].
Il valore delle cause per divisione si determina da quello della massa attiva da dividersi.
[1] Comma abrogato dall’art. 89, L. 26 novembre 1990, n. 353.
Art. 13 (Cause relative a prestazioni alimentari e a rendite)
Nelle cause per prestazioni alimentari periodiche, se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni.
Nelle cause relative a rendite perpetue, se il titolo è controverso, il valore si determina cumulando venti annualità; nelle cause relative a rendite temporanee o vitalizie, cumulando le annualità domandate fino a un massimo di dieci.
Le regole del comma precedente si applicano anche per determinare il valore delle cause relative al diritto del concedente.
Art. 14 (Cause relative a somme di danaro e a beni mobili)
Nelle cause relative a somme di danaro o a beni mobili, il valore si determina in base alla somma indicata o al valore dichiarato dall’attore; in mancanza di indicazione o dichiarazione, la causa si presume di competenza del giudice adito.
Il convenuto può contestare, ma soltanto nella prima difesa, il valore come sopra dichiarato o presunto; in tal caso il giudice decide, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e senza apposita istruzione.
Se il convenuto non contesta il valore dichiarato o presunto, questo rimane fissato, anche agli effetti del merito, nei limiti della competenza del giudice adito.
Art. 15 (Cause relative a beni immobili)
Il valore delle cause relative a beni immobili è determinato moltiplicando il reddito dominicale del terreno e la rendita catastale del fabbricato alla data della proposizione della domanda: per duecento per le cause relative alla proprietà; per cento per le cause relative all’usufrutto, all’uso, all’abitazione, alla nuda proprietà e al diritto dell’enfiteuta; per cinquanta con riferimento al fondo servente per le cause relative alle servitù.
Il valore delle cause per il regolamento di confini si desume dal valore della parte di proprietà controversa, se questa è determinata; altrimenti il giudice lo determina a norma del comma seguente.
Se per l’immobile all’atto della proposizione della domanda non risulta il reddito dominicale o la rendita catastale, il giudice determina il valore della causa secondo quanto emerge dagli atti, se questi non offrono elementi per la stima, ritiene la causa di valore indeterminabile.
Articolo così sostituito dalla L. 30 luglio 1984, n. 399.
Art. 15-bis (Esecuzione forzata)
Per l’espropriazione forzata di cose mobili è competente il giudice di pace.
Per l’espropriazione forzata di cose immobili e di crediti è competente il tribunale.
Se cose mobili sono soggette all’espropriazione forzata insieme con l’immobile nel quale si trovano, per l’espropriazione è competente il tribunale anche relativamente ad esse.
Per la consegna e il rilascio di cose nonché per l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare è competente il tribunale.
Articolo che verrà introdotto secondo l’art. 27 comma 1a, numero 2, D.L. 13 luglio 2017, n. 116 che entrerà in vigore il 31 ottobre 2021.
[abrogato] Art. 16 (Esecuzione forzata)
Per la consegna e il rilascio di cose e per l’espropriazione forzata di cose mobili e di crediti è competente il pretore.
Per l’espropriazione forzata di cose immobili è competente il tribunale.
Se cose mobili sono soggette all’espropriazione forzata insieme con l’immobile nel quale si trovano, per l’espropriazione è competente il tribunale anche relativamente ad esse.
Per l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare è competente il pretore.
Articolo abrogato dal D.Lgs. 18 febbraio 1998 n. 51
Art. 17 (Cause relative all’esecuzione forzata)
Il valore delle cause di opposizione all’esecuzione forzata si determina dal credito per cui si procede; quello delle cause relative alle opposizioni proposte da terzi a norma dell’articolo 619, dal valore dei beni controversi; quello delle cause relative a controversie sorte in sede di distribuzione, dal valore del maggiore dei crediti contestati.
Sezione III: DELLA COMPETENZA PER TERRITORIO
Art. 18 (Foro generale delle persone fisiche)
Salvo che la legge disponga altrimenti, è competente il giudice del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio, e, se questi sono sconosciuti, quello del luogo in cui il convenuto ha la dimora.
Se il convenuto non ha residenza, né domicilio, né dimora nella Repubblica o se la dimora è sconosciuta, è competente il giudice del luogo in cui risiede l’attore.
Art. 19 (Foro generale delle persone giuridiche e delle associazioni non riconosciute)
Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora sia convenuta una persona giuridica, è competente il giudice del luogo dove essa ha sede. È competente altresì il giudice del luogo dove la persona giuridica ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda.
Ai fini della competenza, le società non aventi personalità giuridica, le associazioni non riconosciute e i comitati di cui agli articoli 36 e seguenti del codice civile hanno sede dove svolgono attività in modo continuativo.
Art. 20 (Foro facoltativo per le cause relative a diritti di obbligazione)
Per le cause relative a diritti di obbligazione è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio.
Art. 21 (Foro per le cause relative a diritti reali e ad azioni possessorie)
Per le cause relative a diritti reali su beni immobili, per le cause in materia di locazione e comodato di immobili e di affitto di aziende, nonché per le cause relative ad apposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi, è competente il giudice del luogo dove è posto l’immobile o l’azienda [1]. Qualora l’immobile sia compreso in più circoscrizioni giudiziarie, è competente il giudice della circoscrizione nella quale è compresa la parte soggetta a maggior tributo verso lo Stato; quando non è sottoposto a tributo, è competente ogni giudice nella cui circoscrizione si trova una parte dell’immobile.
Per le azioni possessorie e per la denuncia di nuova opera e di danno temuto è competente il giudice del luogo nel quale è avvenuto il fatto denunciato.
[1] Periodo così sostituito dal D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.
Art. 22 (Foro per le cause ereditarie)
È competente il giudice del luogo dell’aperta successione per le cause:
1) relative a petizione o divisione di eredità e per qualunque altra tra coeredi fino alla divisione;
2) relative alla rescissione della divisione e alla garanzia delle quote, purché proposte entro un biennio dalla divisione;
3) relative a crediti verso il defunto o legati dovuti dall’erede, purché proposte prima della divisione e in ogni caso entro un biennio dall’apertura della successione;
4) contro l’esecutore testamentario, purché proposte entro i termini indicati nel numero precedente.
Se la successione si è aperta fuori della Repubblica, le cause suindicate sono di competenza del giudice del luogo in cui è posta la maggior parte dei beni situati nella Repubblica, o, in mancanza di questi, del luogo di residenza del convenuto o di alcuno dei convenuti.
Art. 23 (Foro per le cause tra soci e tra condomini)
Per le cause tra soci è competente il giudice del luogo dove ha sede la società; per le cause tra condomini, ovvero tra condomini e condominio, il giudice del luogo dove si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi. [1]
Tale norma si applica anche dopo lo scioglimento della società o del condominio, purché la domanda sia proposta entro un biennio dalla divisione.
[1] Comma così modificato dall’art. 31, L. 11 dicembre 2012, n. 220.
Art. 24 (Foro per le cause relative alle gestioni tutelari e patrimoniali)
Per le cause relative alla gestione di una tutela o di un’amministrazione patrimoniale conferita per legge o per provvedimento dell’autorità è competente il giudice del luogo d’esercizio della tutela o dell’amministrazione.
Art. 25 (Foro della pubblica amministrazione)
Per le cause nelle quali è parte un’amministrazione dello Stato è competente, a norma delle leggi speciali sulla rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio e nei casi ivi previsti, il giudice del luogo dove ha sede l’ufficio dell’avvocatura dello Stato, nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie. Quando l’amministrazione è convenuta, tale distretto si determina con riguardo al giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l’obbligazione o in cui si trova la cosa mobile o immobile oggetto della domanda.
Art. 26 (Foro dell’esecuzione forzata)
Per l’esecuzione forzata su cose mobili o immobili è competente il giudice del luogo in cui le cose si trovano. Se le cose immobili soggette all’esecuzione non sono interamente comprese nella circoscrizione di un solo tribunale, si applica l’art. 21.
Per l'esecuzione forzata su autoveicoli, motoveicoli e rimorchi è competente il giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede. [1]
Per l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare è competente il giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto.
[1] Comma così sostituito dall’art. 19, comma 1a, D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014, n. 162.
Art. 26-bis (Foro dell’espropriazione forzata di crediti)
Quando il debitore è una delle pubbliche amministrazioni indicate dall’articolo 413, quinto comma, per l’espropriazione forzata di crediti è competente, salvo quanto disposto dalle leggi speciali, il giudice del luogo dove il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede.
Fuori dei casi di cui al primo comma, per l’espropriazione forzata di crediti è competente il giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede.
Articolo introdotto dall’art. 19, comma 1b, D.L. 12 settembre 2014, n. 132 convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014, n. 162.
Art. 27 (Foro relativo alle opposizioni all’esecuzione)
Per le cause di opposizione all’esecuzione forzata di cui agli artt. 615 e 619 è competente il giudice del luogo dell’esecuzione, salva la disposizione dell’art. 480 terzo comma.
Per le cause di opposizione a singoli atti esecutivi è competente il giudice davanti al quale si svolge l’esecuzione.
Art. 28 (Foro stabilito per accordo delle parti)
La competenza per territorio può essere derogata per accordo delle parti, salvo che per le cause previste nei numeri 1, 2, 3 e 5 dell’articolo 70, per i casi di esecuzione forzata, di opposizione alla stessa, di procedimenti cautelari e possessori, di procedimenti in camera di consiglio e per ogni altro caso in cui l’inderogabilità sia disposta espressamente dalla legge.
Art. 29 (Forma ed effetti dell’accordo delle parti)
L’accordo delle parti per la deroga della competenza territoriale deve riferirsi ad uno o più affari determinati e risultare da atto scritto.
L’accordo non attribuisce al giudice designato competenza esclusiva quando ciò non è espressamente stabilito.
Art. 30 (Foro del domicilio eletto)
Chi ha eletto domicilio a norma dell’art. 47 del codice civile può essere convenuto davanti al giudice del domicilio stesso.
Art. 30-bis (Disposizioni per i procedimenti riguardanti i magistrati)
Le cause in cui sono comunque parti magistrati, che secondo le norme del presente capo sarebbero attribuite alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale.
Se nel distretto determinato ai sensi del primo comma il magistrato è venuto ad esercitare le proprie funzioni successivamente alla sua chiamata in giudizio, è competente il giudice che ha sede nel capoluogo del diverso distretto di corte d’appello individuato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale con riferimento alla nuova destinazione.
Articolo introdotto dall’art. 9 della legge 2 dicembre 1998, n. 420.
La Corte Costituzionale con sentenza 12 novembre 2002, n. 444 ha dichiarato la illegittimità costituzionale, nella parte in cui si applica ai processi di esecuzione forzata promossi da o contro magistrati in servizio nel distretto di corte d’appello comprendente l'ufficio giudiziario competente ai sensi dell'art. 26 del codice di procedura civile.
La Corte Costituzionale con sentenza 25 maggio 2004, n. 147 ha stabilito l’illegittimità costituzionale del primo comma del presente articolo, il quale prevede una deroga alla competenza territoriale del giudice civile per le cause riguardanti magistrati, salvo che nella parte relativa alle azioni civili concernenti le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, nei termini di cui all’art. 11 del Codice di Procedura Penale.
Sezione IV: DELLE MODIFICAZIONI DELLA COMPETENZA PER RAGIONE DI CONNESSIONE
Art. 31 (Cause accessorie)
La domanda accessoria può essere proposta al giudice territorialmente competente per la domanda principale affinché sia decisa nello stesso processo, osservata, quanto alla competenza per valore, la disposizione dell’art. 10 secondo comma.
[abrogato] Può tuttavia essere proposta allo stesso giudice anche se eccede la sua competenza per valore, qualora la competenza per la causa principale sia determinata per ragione di materia [1].
[1] Comma abrogato dal D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.
Art. 32 (Cause di garanzia)
La domanda di garanzia può essere proposta al giudice competente per la causa principale affinché sia decisa nello stesso processo. Qualora essa ecceda la competenza per valore del giudice adito, questi rimette entrambe le cause al giudice superiore assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione.
Articolo così sostituito dal D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.
Art. 33 (Cumulo soggettivo)
Le cause contro più persone che a norma degli articoli 18 e 19 dovrebbero essere proposte davanti a giudici diversi, se sono connesse per l’oggetto o per il titolo possono essere proposte davanti al giudice del luogo di residenza o domicilio di una di esse, per essere decise nello stesso processo.
Art. 34 (Accertamenti incidentali)
Il giudice, se per legge o per esplicita domanda di una delle parti è necessario decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, rimette tutta la causa a quest’ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui.
Art. 35 (Eccezione di compensazione)
Quando è opposto in compensazione un credito che è contestato ed eccede la competenza per valore del giudice adito, questi, se la domanda è fondata su titolo non controverso o facilmente accertabile, può decidere su di essa e rimettere le parti al giudice competente per la decisione relativa all’eccezione di compensazione, subordinando, quando occorre, l’esecuzione della sentenza alla prestazione di una cauzione; altrimenti provvede a norma dell’articolo precedente.
Art. 36 (Cause riconvenzionali)
Il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, purché non eccedano la sua competenza per materia o valore; altrimenti applica le disposizioni dei due articoli precedenti.
Sezione V: DEL DIFETTO DI GIURISDIZIONE, DELLA INCOMPETENZA E DELLA LITISPENDENZA
Art. 37 (Difetto di giurisdizione)
Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo.
[abrogato] Il difetto di giurisdizione del giudice italiano nei confronti dello straniero è rilevato dal giudice d’ufficio in qualunque stato e grado del processo relativamente alle cause che hanno per oggetto beni immobili situati all’estero; in ogni altro caso è rilevato egualmente d’ufficio dal giudice se il convenuto è contumace e può essere rilevato soltanto dal convenuto costituito che non abbia accettato espressamente o tacitamente la giurisdizione italiana [1].
[1] Comma abrogato dall’art. 73, L. 31 maggio 1995, n. 218.
Art. 38 (Incompetenza)
L’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio sono eccepite, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata. L’eccezione di incompetenza per territorio si ha per non proposta se non contiene l’indicazione del giudice che la parte ritiene competente.
Fuori dei casi previsti dall’articolo 28, quando le parti costituite aderiscono all’indicazione del giudice competente per territorio, la competenza del giudice indicato rimane ferma se la causa è riassunta entro tre mesi dalla cancellazione della stessa dal ruolo.
L’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti dall’articolo 28 sono rilevate d’ufficio non oltre l’udienza di cui all’articolo 183.
Le questioni di cui ai commi precedenti sono decise, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e, quando sia reso necessario dall’eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte sommarie informazioni.
Articolo così sostituito dall’art. 4, L. 26 novembre 1990, n. 353, e successivamente modificato dall’art. 45, comma 2, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Art. 39 (Litispendenza e continenza di cause)
Se una stessa causa è proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito, in qualunque stato e grado del processo, anche d’ufficio, dichiara con ordinanza la litispendenza e dispone la cancellazione della causa dal ruolo. [1]
Nel caso di continenza di cause, se il giudice preventivamente adito è competente anche per la causa proposta successivamente, il giudice di questa dichiara con ordinanza [2] la continenza e fissa un termine perentorio entro il quale le parti debbono riassumere la causa davanti al primo giudice. Se questi non è competente anche per la causa successivamente proposta, la dichiarazione della continenza e la fissazione del termine sono da lui pronunciate.
La prevenzione è determinata dalla notificazione della citazione ovvero dal deposito del ricorso. [3]
[1] Comma così sostituito dall’art. 45, comma 3a, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[2] La parola «sentenza» è sostituita con «ordinanza» dall’art. 45, comma 3b, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[3] Comma modificato dall’art. 45, comma 3c, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Art. 40 (Connessione)
Se sono proposte davanti a giudici diversi più cause le quali, per ragione di connessione possono essere decise in un solo processo, il giudice fissa con ordinanza [1] alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa accessoria davanti al giudice della causa principale, e negli altri casi davanti a quello preventivamente adito.
La connessione non può essere eccepita dalle parti né rilevata d’ufficio dopo la prima udienza e la rimessione non può essere ordinata quando lo stato della causa principale o preventivamente proposta non consente l’esauriente trattazione e decisione delle cause connesse.
Nei casi previsti negli articoli 31, 32, 34, 35 e 36, le cause, cumulativamente proposte o successivamente riunite, debbono essere trattate e decise col rito ordinario, salva l’applicazione del solo rito speciale quando una di tali cause rientri fra quelle indicate negli articoli 409 e 442 [2].
Qualora le cause connesse siano assoggettate a differenti riti speciali debbono essere trattate e decise col rito previsto per quella tra esse in ragione della quale viene determinata la competenza o, in subordine, col rito previsto per la causa di maggior valore [2].
Se la causa è stata trattata con un rito diverso da quello divenuto applicabile ai sensi del terzo comma, il giudice provvede a norma degli articoli 426, 427 e 439 [2].
Se una causa di competenza del giudice di pace sia connessa per i motivi di cui agli articoli 31, 32, 34, 35 e 36 con altra causa di competenza del pretore o del tribunale, le relative domande possono essere proposte innanzi al pretore o al tribunale affinché siano decise nello stesso processo [3].
Se le cause connesse ai sensi del sesto comma sono proposte davanti al giudice di pace e [4] al tribunale, il giudice di pace deve pronunziare anche d’ufficio la connessione a favore del pretore o del tribunale [3].
[1] La parola «sentenza» è sostituita con «ordinanza» dall’art. 45, comma 4, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[2] Comma aggiunto dall’art. 5, L. 26 novembre 1990, n. 353.
[3] Comma aggiunto dall’art. 19, comma 1, L. 21 novembre 1991, n. 374.
[4] Le parole «al pretore o» sono state soppresse dal D.L. 19 febbraio 1998, n.51.
Sezione VI: DEL REGOLAMENTO DI GIURISDIZIONE E DI COMPETENZA
Art. 41 (Regolamento di giurisdizione)
Finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte può chiedere alle sezioni unite della Corte di cassazione che risolvano le questioni di giurisdizione di cui all’articolo 37. L’istanza si propone con ricorso a norma degli articoli 364 e seguenti, e produce gli effetti di cui all’articolo 367.
La pubblica amministrazione che non è parte in causa può chiedere in ogni stato e grado del processo che sia dichiarato dalle sezioni unite della Corte di cassazione il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a causa dei poteri attribuiti dalla legge all’amministrazione stessa, finché la giurisdizione non sia stata affermata con sentenza passata in giudicato.
Art. 42 (Regolamento necessario di competenza)
L’ordinanza [1] che, pronunciando sulla competenza anche ai sensi degli articoli 39 e 40, non decide il merito della causa e i provvedimenti che dichiarano la sospensione del processo ai sensi dell’articolo 295 possono essere impugnati soltanto con istanza di regolamento di competenza.
Articolo così sostituito dall’art. 6, L. 26 novembre 1990, n. 353.
[1] La parola «sentenza» è sostituita con «ordinanza» dall’art. 45, comma 4, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Art. 43 (Regolamento facoltativo di competenza)
Il provvedimento [1] che ha pronunciato sulla competenza insieme col merito può essere impugnato con l’istanza di regolamento di competenza oppure nei modi ordinari quando insieme con la pronuncia sulla competenza si impugna quella sul merito.
La proposizione dell’impugnazione ordinaria non toglie alle altre parti la facoltà di proporre l’istanza di regolamento.
Se l’istanza di regolamento è proposta prima dell’impugnazione ordinaria, i termini per la proposizione di questa riprendono a decorrere dalla comunicazione dell’ordinanza [2] che regola la competenza; se è proposta dopo, si applica la disposizione dell’articolo 48.
[1] La parola «sentenza» è sostituita con «provvedimento» dall’art. 45, comma 5a, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[2] La parola «sentenza» è sostituita con «ordinanza» dall’art. 45, comma 5b, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Art. 44 (Efficacia dell’ordinanza [1] che pronuncia sulla competenza)
L’ordinanza [1] che, anche a norma degli articoli 39 e 40, dichiara l’incompetenza del giudice che l’ha pronunciata, se non è impugnata con l’istanza di regolamento, rende incontestabile l’incompetenza dichiarata e la competenza del giudice in essa indicato se la causa è riassunta nei termini di cui all’articolo 50, salvo che si tratti di incompetenza per materia o di incompetenza per territorio nei casi previsti nell’articolo 28.
[1] La parola «sentenza» è sostituita con «ordinanza» dall’art. 45, comma 4, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Art. 45 (Conflitto di competenza)
Quando, in seguito all’ordinanza [1] che dichiara l’incompetenza del giudice adito per ragione di materia o per territorio nei casi di cui all’articolo 28, la causa nei termini di cui all’articolo 50 è riassunta davanti ad altro giudice, questi, se ritiene di essere a sua volta incompetente, richiede d’ufficio il regolamento di competenza.
[1] La parola «sentenza» è sostituita con «ordinanza» dall’art. 45, comma 4, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Art. 46 (Casi di inapplicabilità del regolamento di competenza)
Le disposizioni degli articoli 42 e 43 non si applicano nei giudizi davanti ai conciliatori.
Art. 47 (Procedimento del regolamento di competenza)
L’istanza di regolamento di competenza si propone alla Corte di cassazione con ricorso sottoscritto dal procuratore o dalla parte, se questa si è costituita personalmente.
Il ricorso deve essere notificato alle parti che non vi hanno aderito entro il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza [1] che abbia pronunciato sulla competenza o dalla notificazione dell’impugnazione ordinaria nel caso previsto nell’articolo 43, secondo comma. L’adesione delle parti può risultare anche dalla sottoscrizione del ricorso.
La parte che propone l’istanza, nei cinque giorni successivi all’ultima notificazione del ricorso alle parti, deve chiedere ai cancellieri degli uffici davanti ai quali pendono i processi che i relativi fascicoli siano rimessi alla cancelleria della Corte di cassazione. Nel termine perentorio di venti giorni dalla stessa notificazione deve depositare nella cancelleria il ricorso con i documenti necessari.
Il regolamento d’ufficio è richiesto con ordinanza dal giudice, il quale dispone la rimessione del fascicolo di ufficio alla cancelleria della Corte di cassazione.
Le parti alle quali è notificato il ricorso o comunicata l’ordinanza del giudice, possono, nei venti giorni successivi, depositare nella cancelleria della Corte di cassazione scritture difensive e documenti.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
[1] La parola «sentenza» è sostituita con «ordinanza» dall’art. 45, comma 4, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Art. 48 (Sospensione dei processi)
I processi relativamente ai quali è chiesto il regolamento di competenza sono sospesi dal giorno in cui è presentata l’istanza al cancelliere a norma dell’articolo precedente o dalla pronuncia dell’ordinanza che richiede il regolamento.
Il giudice può autorizzare il compimento degli atti che ritiene urgenti.
Art. 49 (Ordinanza [1] di regolamento di competenza)
Il regolamento è pronunciato con ordinanza [1] in camera di consiglio entro i venti giorni successivi alla scadenza del termine previsto nell’art. 47 ultimo comma.
Con l’ordinanza [1] la Corte di cassazione statuisce sulla competenza, dà i provvedimenti necessari per la prosecuzione del processo davanti al giudice che dichiara competente e rimette, quando occorre, le parti in termini affinché provvedano alla loro difesa.
[1] La parola «sentenza» è sostituita con «ordinanza» dall’art. 45, comma 4, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Art. 50 (Riassunzione della causa)
Se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato nell’ordinanza [1] dal giudice e in mancanza in quello di tre mesi [2] dalla comunicazione dell’ordinanza [1] di regolamento o dell’ordinanza [1] che dichiara l’incompetenza del giudice adito, il processo continua davanti al nuovo giudice.
Se la riassunzione non avviene nei termini su indicati, il processo si estingue.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
[1] La parola «sentenza» è sostituita con «ordinanza» dall’art. 45, comma 6a, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[2] Le parole «sei mesi» sono sostituita con «tre mesi» dall’art. 45, comma 6b, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Sezione VI-bis: DELLA COMPOSIZIONE DEL TRIBUNALE [1]
[1] Sezione inserita dal D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.
Art. 50-bis. (Cause nelle quali il tribunale giudica in composizione collegiale)
Il tribunale giudica in composizione collegiale:
1) nelle cause nelle quali è obbligatorio l’intervento del pubblico ministero, salvo che sia altrimenti disposto;
2) nelle cause di opposizione, impugnazione, revocazione e in quelle conseguenti a dichiarazioni tardive di crediti di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, [al decreto legge 30 gennaio 1979, n. 26, convertito con modificazioni dalla legge 3 aprile 1979, n. 95] [1] e alle altre leggi speciali disciplinanti la liquidazione coatta amministrativa;
3) nelle cause devolute alle sezioni specializzate;
4) nelle cause di omologazione del concordato fallimentare e del concordato preventivo;
5) nelle cause di impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea e del consiglio di amministrazione, nonché nelle cause di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari [2] e i liquidatori delle società, delle mutue assicuratrici e società cooperative, delle associazioni in partecipazione e dei consorzi;
6) nelle cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima;
7) nelle cause di cui alla legge 13 aprile 1988, n. 117.
7-bis) nelle cause di cui all'articolo 140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 [3]
Il tribunale giudica altresì in composizione collegiale nei procedimenti in camera di consiglio disciplinati dagli articoli 737 e seguenti, salvo che sia altrimenti disposto.
[1] Parole abrogate dal D.L. 8 luglio 1999, n. 270.
[2] Le parole «i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari» sono state inserite dalla L. 28 dicembre 2005, n. 262.
[3] Numero inserito dall’articolo 2, comma 448, L. 24 dicembre 2007, n. 244.
Art. 50-ter. (Cause nelle quali il tribunale giudica in composizione monocratica)
Fuori dei casi previsti dall’articolo 50-bis, il tribunale giudica in composizione monocratica.
Art. 50-quater. (Inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale)
Le disposizioni di cui agli articoli 50-bis e 50-ter non si considerano attinenti alla costituzione del giudice. Alla nullità derivante dalla loro inosservanza si applica l’articolo 161, primo comma.
Sezione VII: DELL’ASTENSIONE, DELLA RICUSAZIONE E DELLA RESPONSABILITÀ DEI GIUDICI
Art. 51 (Astensione del giudice)
Il giudice ha l’obbligo di astenersi:
1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione [1], o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inamicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno [2], procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.
In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi: quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore.
[1] L’istituto dell’affiliazione è stato soppresso dalla L. 4 maggio 1983, n. 184.
[2] Le parole «amministratore di sostegno» sono state aggiunte dalla L. 9 gennaio 2004, n. 6.
Art. 52 (Ricusazione del giudice)
Nei casi in cui è fatto obbligo al giudice di astenersi, ciascuna delle parti può proporne la ricusazione mediante ricorso contenente i motivi specifici e i mezzi di prova.
Il ricorso, sottoscritto dalla parte o dal difensore, deve essere depositato in cancelleria due giorni prima dell’udienza, se al ricusante è noto il nome dei giudici che sono chiamati a trattare o decidere la causa, e prima dell’inizio della trattazione o discussione di questa nel caso contrario.
La ricusazione sospende il processo.
Art. 53 (Giudice competente)
Sulla ricusazione decide il presidente del tribunale se è ricusato un giudice di pace; il collegio se è ricusato uno dei componenti del tribunale o della corte [1].
La decisione è pronunciata con ordinanza non impugnabile, udito il giudice ricusato e assunte, quando occorre, le prove offerte.
[1] Comma modificato dal D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.
Art. 54 (Ordinanza sulla ricusazione)
L’ordinanza che accoglie il ricorso designa il giudice che deve sostituire quello ricusato.
La ricusazione è dichiarata inammissibile, se non è stata proposta nelle forme e nei termini fissati nell’articolo 52.
Il giudice, con l’ordinanza con cui dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione, provvede sulle spese e può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non superiore a euro 250 [1].
Dell’ordinanza è data notizia dalla cancelleria al giudice e alle parti, le quali debbono provvedere alla riassunzione della causa nel termine perentorio di sei mesi.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
[1] Comma così sostituito dall’art. 45, comma 7, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[abrogato] Art. 55 (Responsabilità civile del giudice)
Il giudice è civilmente responsabile soltanto:
1) quando nell’esercizio delle sue funzioni è imputabile di dolo, frode o concussione;
2) quando senza giusto motivo rifiuta, omette o ritarda di provvedere sulle domande o istanze delle parti e, in generale, di compiere un atto del suo ministero.
Le ipotesi previste nel numero 2 possono aversi per avverate solo quando la parte ha depositato in cancelleria istanza al giudice per ottenere il provvedimento o l’atto, e sono decorsi inutilmente dieci giorni dal deposito.
Articolo abrogato dal D.P.R. 9 dicembre 1987, n. 497.
[abrogato] Art. 56 (Autorizzazione)
La domanda per la dichiarazione di responsabilità del giudice non può essere proposta senza l’autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia.
A richiesta della parte autorizzata la Corte di Cassazione designa, con decreto emesso in camera di consiglio, il giudice che deve pronunciare sulla domanda.
Le disposizioni del presente articolo e del precedente non si applicano in caso di costituzione di parte civile nel processo penale o di azione civile in seguito a condanna penale.
Articolo abrogato dal D.P.R. 9 dicembre 1987, n. 497.
Capo II: DEL CANCELLIERE E DELL’UFFICIALE GIUDIZIARIO
Art. 57 (Attività del cancelliere)
Il cancelliere documenta a tutti gli effetti, nei casi e nei modi previsti dalla legge, le attività proprie e quelle degli organi giudiziari e delle parti.
Egli assiste il giudice in tutti gli atti dei quali deve essere formato processo verbale.
Quando il giudice provvede per iscritto, salvo che la legge disponga altrimenti, il cancelliere stende la scrittura e vi appone la sua sottoscrizione dopo quella del giudice.
Art. 58 (Altre attività del cancelliere)
Il cancelliere attende al rilascio di copie ed estratti autentici dei documenti prodotti, all’iscrizione delle cause a ruolo, alla formazione del fascicolo d’ufficio e alla conservazione di quelli delle parti, alle comunicazioni e alle notificazioni prescritte dalla legge o dal giudice, nonché alle altre incombenze che la legge gli attribuisce.
Art. 59 (Attività dell’ufficiale giudiziario)
L’ufficiale giudiziario assiste il giudice in udienza, provvede all’esecuzione dei suoi ordini, esegue la notificazione degli atti e attende alle altre incombenze che la legge gli attribuisce.
Art. 60 (Responsabilità del cancelliere e dell’ufficiale giudiziario)
Il cancelliere e l’ufficiale giudiziario sono civilmente responsabili:
1) quando, senza giusto motivo, ricusano di compiere gli atti che sono loro legalmente richiesti oppure omettono di compierli nel termine che, su istanza di parte, è fissato dal giudice dal quale dipendono o dal quale sono stati delegati;
2) quando hanno compiuto un atto nullo con dolo o colpa grave.
Capo III: DEL CONSULENTE TECNICO, DEL CUSTODE E DEGLI ALTRI AUSILIARI DEL GIUDICE
Art. 61 (Consulente tecnico)
Quando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica.
La scelta dei consulenti tecnici deve essere normalmente fatta tra le persone iscritte in albi speciali formati a norma delle disposizioni di attuazione al presente codice.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
Art. 62 (Attività del consulente)
Il consulente compie le indagini che gli sono commesse dal giudice e fornisce, in udienza e in camera di consiglio, i chiarimenti che il giudice gli richiede a norma degli articoli 194 e seguenti, e degli articoli 441 e 463.
Art. 63 (Obbligo di assumere l’incarico e ricusazione del consulente)
Il consulente scelto tra gli iscritti in un albo ha l’obbligo di prestare il suo ufficio, tranne che il giudice riconosca che ricorre un giusto motivo di astensione.
Il consulente può essere ricusato dalle parti per i motivi indicati nell’art. 51.
Della ricusazione del consulente conosce il giudice che l’ha nominato.
Art. 64 (Responsabilità del consulente)
Si applicano al consulente tecnico le disposizioni del codice penale relative ai periti.
In ogni caso, il consulente tecnico che incorre in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda fino a € 10.329. Si applica l’art. 35 del codice penale. In ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti.
Articolo così sostituito dalla L. 4 giugno 1985, n. 281.
Art. 65 (Custode)
La conservazione e l’amministrazione dei beni pignorati o sequestrati sono affidate a un custode, quando la legge non dispone altrimenti.
Il compenso al custode è stabilito, con decreto, dal giudice dell’esecuzione nel caso di nomina fatta dall’ufficiale giudiziario, e in ogni altro caso dal giudice che l’ha nominato [1].
[1] Comma così sostituito dal D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.
Art. 66 (Sostituzione del custode)
Il giudice, d’ufficio o su istanza di parte, può disporre in ogni tempo la sostituzione del custode.
Il custode che non ha diritto a compenso può chiedere in ogni tempo di essere sostituito; altrimenti può chiederlo soltanto per giusti motivi.
Il provvedimento di sostituzione è dato, con ordinanza non impugnabile, dal giudice di cui all’art. 65, secondo comma [1].
[1] Comma così sostituito dal D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.
Art. 67 (Responsabilità del custode)
Ferme le disposizioni del codice penale, il custode che non esegue l’incarico assunto può essere condannato dal giudice a una pena pecuniaria da euro 250 a euro 500 [1].
Egli è tenuto al risarcimento dei danni cagionati alle parti, se non esercita la custodia da buon padre di famiglia.
[1] Le parole «non superiore a euro 10» sono state così sostituite dall’art. 45, comma 8, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Art. 68 (Altri ausiliari)
Nei casi previsti dalla legge o quando ne sorge necessità, il giudice, il cancelliere o l’ufficiale giudiziario si può fare assistere da esperti in una determinata arte o professione e, in generale, da persona idonea al compimento di atti che egli non è in grado di compiere da sé solo.
Il giudice può commettere a un notaio il compimento di determinati atti nei casi previsti dalla legge.
Il giudice può sempre richiedere l’assistenza della forza pubblica.
Titolo II: DEL PUBBLICO MINISTERO
Art. 69 (Azione del pubblico ministero)
Il pubblico ministero esercita l’azione civile nei casi stabiliti dalla legge.
Art. 70 (Intervento in causa del pubblico ministero)
Il pubblico ministero deve intervenire, a pena di nullità rilevabile d’ufficio:
1) nelle cause che egli stesso potrebbe proporre;
2) nelle cause matrimoniali, comprese quelle di separazione personale dei coniugi;
3) nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone;
[abrogato] 4) nelle cause collettive e nelle cause individuali di lavoro in grado di appello [1];
5) negli altri casi previsti dalla legge.
Deve intervenire in ogni causa davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge [2].
Può infine intervenire in ogni altra causa in cui ravvisa un pubblico interesse.
La Corte costituzionale, con sentenza 25 giugno 1996, n. 214, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non prescrive l’intervento obbligatorio del pubblico ministero nei giudizi tra genitori naturali che comportino “provvedimenti relativi ai figli”, nei sensi di cui agli artt. 9 della legge n. 898 del 1970 e 710 del codice di procedura civile come risulta a seguito della sentenza n. 416 del 1992.
La Corte costituzionale, con sentenza 25 giugno 1996, n. 214, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non prescrive l’intervento obbligatorio del pubblico ministero nei giudizi tra genitori naturali che comportino “provvedimenti relativi ai figli”, nei sensi di cui agli artt. 9 della legge n. 898 del 1970 e 710 del codice di procedura civile come risulta a seguito della sentenza n. 416 del 1992.
[1] Numero abrogato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
[2] Comma così sostituito dall’art. 75, D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.
Art. 71 (Comunicazione degli atti processuali al pubblico ministero)
Il giudice, davanti al quale è proposta una delle cause indicate nel primo comma dell’articolo precedente, ordina la comunicazione degli atti al pubblico ministero affinché possa intervenire.
Lo stesso ordine il giudice può dare ogni volta che ravvisi uno dei casi previsti nell’ultimo comma dell’articolo precedente.
Art. 72 (Poteri del pubblico ministero)
Il pubblico ministero, che interviene nelle cause che avrebbe potuto proporre, ha gli stessi poteri che competono alle parti e li esercita nelle forme che la legge stabilisce per queste ultime.
Negli altri casi di intervento previsti nell’art. 70, tranne che nelle cause davanti alla Corte di cassazione il pubblico ministero può produrre documenti, dedurre prove, prendere conclusioni nei limiti delle domande proposte dalle parti.
Il pubblico ministero può proporre impugnazioni contro le sentenze relative a cause matrimoniali, salvo che per quelle di separazione personale dei coniugi.
Lo stesso potere spetta al pubblico ministero contro le sentenze che dichiarano l’efficacia o l’inefficacia di sentenze straniere relative a cause matrimoniali, salvo che per quelle di separazione personale dei coniugi.
Nelle ipotesi prevedute nei commi terzo e quarto, la facoltà di impugnazione spetta tanto al pubblico ministero presso il giudice che ha pronunziato la sentenza quanto a quello presso il giudice competente a decidere sull’impugnazione.
Il termine decorre dalla comunicazione della sentenza a norma dell’art. 133.
Restano salve le disposizioni dell’art. 397.
Articolo così sostituito dalla L. 30 luglio 1950, n. 534.
Art. 73 (Astensione del pubblico ministero)
Ai magistrati del pubblico ministero che intervengono nel processo civile si applicano le disposizioni del presente codice relative all’astensione dei giudici, ma non quelle relative alla ricusazione.
[abrogato] Art. 74 (Responsabilità del pubblico ministero)
Le norme sulla responsabilità del giudice e sull’esercizio dell’azione relativa si applicano anche ai magistrati del pubblico ministero che intervengono nel processo civile, quando nell’esercizio delle loro funzioni sono imputabili di dolo, frode o concussione.
Articolo abrogato dal D.P.R. 9 dicembre 1987, n. 497.
Titolo III: DELLE PARTI E DEI DIFENSORI
Capo I: DELLE PARTI
Art. 75 (Capacità processuale)
Sono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere.
Le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio se non rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità.
Le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge o dello statuto.
Le associazioni e i comitati, che non sono persone giuridiche, stanno in giudizio per mezzo delle persone indicate negli artt. 36 ss. del codice civile.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 220 del 16 ottobre 1986, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non prevede, ove emerga una situazione di scomparsa del convenuto, la interruzione del processo e la segnalazione, ad opera del giudice, del caso al pubblico ministero perché promuova la nomina di un curatore, nei cui confronti debba l’attore riassumere il giudizio.
[abrogato] Art. 76 (Famiglia reale)
Al Re imperatore, alla Regina imperatrice e ai Principi della Casa reale è sostituito in giudizio il Ministro della real Casa.
Articolo abrogato dall’art. 1 della Costituzione.
Art. 77 (Rappresentanza del procuratore e dell’institore)
Il procuratore generale e quello preposto a determinati affari non possono stare in giudizio per il preponente, quando questo potere non è stato loro conferito espressamente, per iscritto, tranne che per gli atti urgenti e per le misure cautelari.
Tale potere si presume conferito al procuratore generale di chi non ha residenza o domicilio nella Repubblica e all’institore.
Art. 79 (Istanza di nomina del curatore speciale)
La nomina del curatore speciale di cui all’articolo precedente può essere in ogni caso chiesta dal pubblico ministero. Può essere chiesta anche dalla persona che deve essere rappresentata o assistita, sebbene incapace, nonché dai suoi prossimi congiunti e, in caso di conflitto di interessi, dal rappresentante.
Può essere inoltre chiesta da qualunque altra parte in causa che vi abbia interesse.
Art. 80 (Provvedimento di nomina del curatore speciale)
L’istanza per la nomina del curatore speciale si propone al conciliatore [1] o al presidente dell’ufficio giudiziario davanti al quale s’intende proporre la causa.
Il giudice, assunte le opportune informazioni e sentite possibilmente le persone interessate, provvede con decreto. Questo è comunicato al pubblico ministero affinché provochi, quando occorre, i provvedimenti per la costituzione della normale rappresentanza o assistenza dell’incapace, della persona giuridica o dell’associazione non riconosciuta.
[1] Le parole «, al pretore» sono state soppresse dal D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.
Art. 81 (Sostituzione processuale)
Fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui.
Capo II: DEI DIFENSORI
Art. 82 (Patrocinio)
Davanti al giudice di pace le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede € 1.100 [1].
Negli altri casi, le parti non possono stare in giudizio se non col ministero o con l’assistenza di un difensore. Il giudice di pace tuttavia, in considerazione della natura ed entità della causa, con decreto emesso anche su istanza verbale della parte, può autorizzarla a stare in giudizio di persona.
Salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti, davanti [2] al tribunale e alla corte d’appello le parti debbono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente; e davanti alla Corte di cassazione col ministero di un avvocato iscritto nell’apposito albo.
Articolo così sostituito dall’art. 20, L. 21 novembre 1991, n. 374.
[1] Le parole «€ 516,46» sono state così sostituite dal D.L. 22 dicembre 2011, n. 212, convertito con L. 17 febbraio 2012, n. 10.
[2] Le parole «al pretore, » sono state soppresse dal D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.
Art. 83 (Procura alle liti)
Quando la parte sta in giudizio col ministero di un difensore, questi deve essere munito di procura.
La procura alle liti può essere generale o speciale, e deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata.
La procura speciale può essere anche apposta in calce o a margine della citazione, del ricorso, del controricorso, della comparsa di risposta o d’intervento, del precetto o della domanda d’intervento nell’esecuzione, ovvero della memoria di nomina del nuovo difensore, in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato. In tali casi l’autografia della sottoscrizione della parte deve essere certificata dal difensore. La procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all’atto cui si riferisce, o su documento informatico separato sottoscritto con firma digitale e congiunto all’atto cui si riferisce mediante strumenti informatici, individuati con apposito decreto del Ministero della giustizia. Se la procura alle liti è stata conferita su supporto cartaceo, il difensore che si costituisce attraverso strumenti telematici ne trasmette la copia informatica autenticata con firma digitale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e trasmessi in via telematica [1].
La procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo, quando nell’atto non è espressa volontà diversa.
La procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all’atto cui si riferisce.
Articolo così modificato dall’art. 1, L. 27 maggio 1997, n. 141.
[1] Comma così modificato dall’art. 45, comma 9, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Art. 84 (Poteri del difensore)
Quando la parte sta in giudizio col ministero del difensore, questi può compiere e ricevere, nell’interesse della parte stessa, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati.
In ogni caso non può compiere atti che importano disposizione del diritto in contesa, se non ne ha ricevuto espressamente il potere.
Art. 85 (Revoca e rinuncia alla procura)
La procura può essere sempre revocata e il difensore può sempre rinunciarvi, ma la revoca e la rinuncia non hanno effetto nei confronti dell’altra parte finché non sia avvenuta la sostituzione del difensore.
Art. 86 (Difesa personale della parte)
La parte o la persona che la rappresenta o assiste, quando ha la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito, può stare in giudizio senza il ministero di altro difensore.
Art. 87 (Assistenza degli avvocati e del consulente tecnico)
La parte può farsi assistere da uno o più avvocati, e anche da un consulente tecnico nei casi e con i modi stabiliti nel presente codice.
Capo III: DEI DOVERI DELLE PARTI E DEI DIFENSORI
Art. 88 (Dovere di lealtà e di probità)
Le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità.
In caso di mancanza dei difensori a tale dovere, il giudice deve riferirne alle autorità che esercitano il potere disciplinare su di essi.
Art. 89 (Espressioni sconvenienti od offensive)
Negli scritti presentati e nei discorsi pronunciati davanti al giudice, le parti e i loro difensori non debbono usare espressioni sconvenienti od offensive.
Il giudice, in ogni stato dell’istruzione, può disporre con ordinanza che si cancellino le espressioni sconvenienti od offensive, e, con la sentenza che decide la causa, può inoltre assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale sofferto, quando le espressioni offensive non riguardano l’oggetto della causa.
Capo IV: DELLE RESPONSABILITÀ DELLE PARTI PER LE SPESE E PER I DANNI PROCESSUALI
[abrogato] Art. 90 (Onere delle spese)
Salve le disposizioni relative al gratuito patrocinio, nel corso del processo ciascuna delle parti deve provvedere alle spese degli atti che compie e di quelli che chiede, e deve anticiparle per gli altri atti necessari al processo quando l’anticipazione è posta a suo carico dalla legge o dal giudice.
Articolo abrogato dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Art. 91 (Condanna alle spese)
Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa. Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma
dell’articolo 92 [1].
Le spese della sentenza sono liquidate dal cancelliere con nota in margine alla stessa; quelle della notificazione della sentenza, del titolo esecutivo e del precetto sono liquidate dall’ufficiale giudiziario con nota in margine all’originale e alla copia notificata.
I reclami contro le liquidazioni di cui al comma precedente sono decisi con le forme previste negli artt. 287 e 288 dal capo dell’ufficio a cui appartiene il cancelliere o l’ufficiale giudiziario.
Nelle cause previste dall’articolo 82, primo comma, le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda [2].
La Corte Costituzionale, con la sentenza 19 aprile 2018 n. 77, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 92, secondo comma, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, non solo nelle due ipotesi di “assoluta novità della questione trattata” o di “mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti”, ma anche in presenza di “altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”.
[1] Periodo così sostituito dall’art. 45, comma 10, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[2] Comma aggiunto dal’art. 13, D.L. 22 dicembre 2011, n. 212, convertito con L. 17 febbraio 2012, n. 10.
Art. 92 (Condanna alle spese per singoli atti. Compensazione delle spese)
Il Giudice, nel pronunciare la condanna di cui all’articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all’art. 88, essa ha causato all’altra parte.
Se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero [1]
Se le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione.
[1] Comma così sostituito dall’art. 13, comma 1, D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014, n. 162;
Art. 93 (Distrazione delle spese)
Il difensore con procura può chiedere che il giudice, nella stessa sentenza in cui condanna alle spese, distragga in favore suo e degli altri difensori gli onorari non riscossi e le spese che dichiara di avere anticipate.
Finché il difensore non abbia conseguito il rimborso che gli è stato attribuito, la parte può chiedere al giudice, con le forme stabilite per la correzione delle sentenze, la revoca del provvedimento, qualora dimostri di aver soddisfatto il credito del difensore per gli onorari e le spese.
Art. 94 (Condanna di rappresentanti o curatori)
Gli eredi beneficiati, i tutori, i curatori e in generale coloro che rappresentano o assistono la parte in giudizio possono essere condannati personalmente, per motivi gravi che il giudice deve specificare nella sentenza, alle spese dell’intero processo o di singoli atti, anche in solido con la parte rappresentata o assistita.
Art. 95 (Spese del processo di esecuzione)
Le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione sono a carico di chi ha subito l’esecuzione, fermo il privilegio stabilito dal codice civile.
Art. 96 (Responsabilità aggravata)
Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza.
Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziaria o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente.
In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata [1].
[1] Comma aggiunto dall’art. 45, comma 12, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Art. 97 (Responsabilità di più soccombenti)
Se le parti soccombenti sono più, il giudice condanna ciascuna di esse alle spese e ai danni in proporzione del rispettivo interesse nella causa. Può anche pronunciare condanna solidale di tutte o di alcune tra esse, quando hanno interesse comune.
Se la sentenza non statuisce sulla ripartizione delle spese e dei danni, questa si fa per quote uguali.
Art. 98 (Cauzione per le spese)
Il giudice istruttore, il pretore o il conciliatore, su istanza del convenuto, può disporre con ordinanza che l’attore non ammesso al gratuito patrocinio presti cauzione per il rimborso delle spese, quando vi è fondato timore che l’eventuale condanna possa restare ineseguita.
Se la cauzione non è prestata nel termine stabilito, il processo si estingue.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 67 del 29 novembre 1960, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo.
Titolo IV: DELL’ESERCIZIO DELL’AZIONE
Art. 99 (Principio della domanda)
Chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente.
Art. 100 (Interesse ad agire)
Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse.
Art. 101 (Principio del contraddittorio)
Il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa.
Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione [1].
[1] Comma aggiunto dall’art. 45, comma 13, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Art. 102 (Litisconsorzio necessario)
Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo.
Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito.
La Corte Costituzionale con sentenza 8 febbraio 2006, n. 41 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 38 e 102 del Codice di Procedura Civile, nella parte in cui, in ipotesi di litisconsorzio necessario, consente di ritenere improduttiva di effetti l’eccezione di incompetenza territoriale derogabile proposta non da tutti i litisconsorti convenuti.
Art. 103 (Litisconsorzio facoltativo)
Più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni.
Il giudice può disporre, nel corso della istruzione o nella decisione, la separazione delle cause, se vi è istanza di tutte le parti, ovvero quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo, e può rimettere al giudice inferiore le cause di sua competenza.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
Art. 104 (Pluralità di domande contro la stessa parte)
Contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande anche non altrimenti connesse, purché sia osservata la norma dell’articolo 10 secondo comma.
È applicabile la disposizione del secondo comma dell’articolo precedente.
Articolo così sostituito dalla 14 luglio 1950, n. 581.
Art. 105 (Intervento volontario)
Ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo.
Può altresì intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse.
Art. 106 (Intervento su istanza di parte)
Ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende essere garantita.
Art. 107 (Intervento per ordine del giudice)
Il giudice, quando ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo al quale la causa è comune, ne ordina l’intervento.
Art. 108 (Estromissione del garantito)
Se il garante comparisce e accetta di assumere la causa in luogo del garantito, questi può chiedere, qualora le altre parti non si oppongano, la propria estromissione. Questa è disposta dal giudice con ordinanza; ma la sentenza di merito pronunciata nel giudizio spiega i suoi effetti anche contro l’estromesso.
Art. 109 (Estromissione dell’obbligato)
Se si contende a quale di più parti spetta una prestazione e l’obbligato si dichiara pronto a eseguirla a favore di chi ne ha diritto, il giudice può ordinare il deposito della cosa o della somma dovuta e, dopo il deposito, può estromettere l’obbligato dal processo.
Art. 110 (Successione nel processo)
Quando la parte vien meno per morte o per altra causa, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto.
Art. 111 (Successione a titolo particolare nel diritto controverso)
Se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie.
Se il trasferimento a titolo particolare avviene a causa di morte, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto.
In ogni caso il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono, l’alienante o il successore universale può esserne estromesso.
La sentenza pronunciata contro questi ultimi spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare ed è impugnabile anche da lui, salve le norme sull’acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione.
Titolo V: DEI POTERI DEL GIUDICE
Art. 112 (Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato)
Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti.
Art. 113 (Pronuncia secondo diritto)
Nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme del diritto, salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità.
Il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento [1] euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all'articolo 1342 del codice civile [2].
[1] A norma dell’art. 27, comma 1a, numero 3, D.L. 13 luglio 2017, n. 116, la parola «millecento» sarà sostituita da «duemilacinquecento» che entrerà in vigore il 31 ottobre 2021.
[2] Comma così sostituito dall’art. 1 del D.L. 8 febbraio 2003, n. 18.
Art. 114 (Pronuncia secondo equità a richiesta di parte)
Il giudice, sia in primo grado che in appello, decide il merito della causa secondo equità quando esso riguarda diritti disponibili delle parti e queste gliene fanno concorde richiesta.
Art. 115 (Disponibilità delle prove)
Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita.
Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.
Articolo così sostituito dall’art. 45, comma 14, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Art. 116 (Valutazione delle prove)
Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti.
Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell’articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo.
Art. 117 (Interrogatorio non formale delle parti)
Il giudice, in qualunque stato e grado del processo, ha facoltà di ordinare la comparizione personale delle parti in contraddittorio tra loro per interrogarle liberamente sui fatti della causa. Le parti possono farsi assistere dai difensori.
Art. 118 (Ordine d’ispezione di persone e di cose)
Il giudice può ordinare alle parti e ai terzi di consentire sulla loro persona o sulle cose in loro possesso le ispezioni che appaiano indispensabili per conoscere i fatti della causa, purché ciò possa compiersi senza grave danno per la parte o per il terzo, e senza costringerli a violare uno dei segreti previsti negli articoli 351 e 352 del codice di procedura penale.
Se la parte rifiuta di eseguire tale ordine senza giusto motivo, il giudice può da questo rifiuto desumere argomenti di prova a norma dell’articolo 116, secondo comma.
Se rifiuta il terzo, il giudice lo condanna a una pena pecuniaria non superiore a da euro 250 a euro 1.500 [1].
[1] Le parole «non superiore a euro 5» sono così sostituite dall’art. 45, comma 15, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Art. 119 (Imposizione di cauzione)
Il giudice, nel provvedimento col quale impone una cauzione, deve indicare l’oggetto di essa, il modo di prestarla, e il termine entro il quale la prestazione deve avvenire.
Art. 120 (Pubblicità della sentenza)
Nei casi in cui la pubblicità della decisione di merito può contribuire a riparare il danno, compreso quello derivante per effetto di quanto previsto all’articolo 96, il giudice, su istanza di parte, può ordinarla a cura e spese del soccombente, mediante inserzione per estratto, ovvero mediante comunicazione, nelle forme specificamente indicate, in una o più testate giornalistiche, radiofoniche o televisive e in siti Internet da lui designati [1].
Se l’inserzione non avviene nel termine stabilito dal giudice, può procedervi la parte a favore della quale è stata disposta, con diritto a ripetere le spese dall’obbligato.
[1] Comma così sostituito dall’art. 45, comma 16, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Titolo VI: DEGLI ATTI PROCESSUALI
Capo I: DELLE FORME DEGLI ATTI E DEI PROVVEDIMENTI
Sezione I: DEGLI ATTI IN GENERALE
Art. 121 (Libertà di forme)
Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo.
Art. 122 (Uso della lingua italiana - Nomina dell’interprete)
In tutto il processo è prescritto l’uso della lingua italiana.
Quando deve essere sentito chi non conosce la lingua italiana, il giudice può nominare un interprete.
Questi, prima di esercitare le sue funzioni, presta giuramento davanti al giudice di adempiere fedelmente il suo ufficio.
Art. 123 (Nomina del traduttore)
Quando occorre procedere all’esame di documenti che non sono scritti in lingua italiana, il giudice può nominare un traduttore, il quale presta giuramento a norma dell’articolo precedente.
Art. 124 (Interrogazione del sordo e del muto)
Se nel procedimento deve essere sentito un sordo, un muto o un sordomuto, le interrogazioni e le risposte possono essere fatte per iscritto.
Quando occorre, il giudice nomina un interprete, il quale presta giuramento a norma dell’articolo 122 ultimo comma.
Art. 125 (Contenuto e sottoscrizione degli atti di parte)
Salvo che la legge disponga altrimenti, la citazione, il ricorso, la comparsa, il controricorso, il precetto debbono indicare l’ufficio giudiziario, le parti, l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o la istanza, e, tanto nell’originale quanto nelle copie da notificare, debbono essere sottoscritti dalla parte, se essa sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore che indica il proprio codice fiscale. Il difensore deve altresì indicare il proprio numero di fax. [1]
La procura al difensore dell’attore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell’atto, purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata.
La disposizione del comma precedente non si applica quando la legge richiede che la citazione sia sottoscritta dal difensore munito di mandato speciale.
Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.
[1] Comma così modificato dall’art. 45-bis, comma 1, D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114.
Art. 126 (Contenuto del processo verbale)
Il processo verbale deve contenere l’indicazione delle persone intervenute e delle circostanze di luogo e di tempo nelle quali gli atti che documenta sono compiuti; deve inoltre contenere la descrizione delle attività svolte e delle rilevazioni fatte, nonché le dichiarazioni ricevute.
Il processo verbale è sottoscritto dal cancelliere. Se vi sono altri intervenuti, il cancelliere, quando la legge non dispone altrimenti, dà loro lettura del processo verbale [1].
[1] Comma così sostituito dall’art. 45, comma 1a, D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114.
Sezione II: DELLE UDIENZE
Art. 127 (Direzione dell’udienza)
L’udienza è diretta dal giudice singolo o dal presidente del collegio.
Il giudice che la dirige può fare o prescrivere quanto occorre affinché la trattazione delle cause avvenga in modo ordinato e proficuo, regola la discussione, determina i punti sui quali essa deve svolgersi e la dichiara chiusa quando la ritiene sufficiente.
Art. 128 (Udienza pubblica)
L’udienza in cui si discute la causa è pubblica a pena di nullità, ma il giudice che la dirige può disporre che si svolga a porte chiuse, se ricorrono ragioni di sicurezza dello Stato, di ordine pubblico o di buon costume.
Il giudice esercita i poteri di polizia per il mantenimento dell’ordine e del decoro e può allontanare chi contravviene alle sue prescrizioni.
Art. 129 (Doveri di chi interviene o assiste all’udienza)
Chi interviene o assiste all’udienza non può portare armi o bastoni e deve stare a capo scoperto e in silenzio.
È vietato fare segni di approvazione o di disapprovazione o cagionare in qualsiasi modo disturbo.
Art. 130 (Redazione del processo verbale)
Il cancelliere redige il processo verbale di udienza sotto la direzione del giudice.
Il processo verbale è sottoscritto da chi presiede l’udienza e dal cancelliere; di esso non si dà lettura, salvo espressa istanza di parte.
Sezione III:DEI PROVVEDIMENTI
Art. 131 (Forma dei provvedimenti in generale)
La legge prescrive in quali casi il giudice pronuncia sentenza, ordinanza o decreto.
In mancanza di tali prescrizioni, i provvedimenti sono dati in qualsiasi forma idonea al raggiungimento del loro scopo.
Dei provvedimenti collegiali è compilato sommario processo verbale, il quale deve contenere la menzione della unanimità della decisione o del dissenso, succintamente motivato, che qualcuno dei componenti del collegio, da indicarsi nominativamente, abbia eventualmente espresso su ciascuna delle questioni decise. Il verbale, redatto dal meno anziano dei componenti togati del collegio e sottoscritto da tutti i componenti del collegio stesso, è conservato a cura del presidente in plico sigillato presso la cancelleria dell’ufficio [1].
[1] Comma aggiunto dall’art. 16, L. 13 aprile 1988, n. 117.
La Corte costituzionale, con sentenza 19 gennaio 1989, n. 18, ha dichiarato l’illegittimità del predetto art. 16 nella parte cui dispone che “è compilato sommario processo verbale” anziché “può, se uno dei componenti l’organo collegiale lo richieda, essere compilato sommario processo verbale”.
Art. 132 (Contenuto della sentenza)
La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano e reca l’intestazione: Repubblica italiana.
Essa deve contenere:
1) l’indicazione del giudice che l’ha pronunciata;
2) l’indicazione delle parti e dei loro difensori;
3) le conclusioni del pubblico ministero e quelle delle parti;
4) la concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione; [1]
5) il dispositivo, la data della deliberazione e la sottoscrizione del giudice.
La sentenza emessa dal giudice collegiale è sottoscritta soltanto dal presidente e dal giudice estensore. Se il presidente non può sottoscrivere per morte o per altro impedimento, la sentenza viene sottoscritta dal componente più anziano del collegio, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l’impedimento; se l’estensore non può sottoscrivere la sentenza per morte o altro impedimento è sufficiente la sottoscrizione del solo presidente, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l’impedimento [2].
[1] Comma così sostituito dall’art. 45, comma 17, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[2] Comma così sostituito dalla L. 8 agosto 1977, n. 532.
Art. 133 (Pubblicazione e comunicazione della sentenza)
La sentenza è resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata.
Il cancelliere dà atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma, ed entro cinque giorni, mediante biglietto contenente il testo integrale della sentenza, ne dà notizia alle parti che si sono costituite. La comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’articolo 325. [1]
[abrogato] L’avviso di cui al secondo comma può essere effettuato a mezzo telefax o a mezzo di posta elettronica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi. A tal fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il numero di fax o l’indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di volere ricevere l’avviso. [2]
[1] Comma così modificato dall’art. 45, comma 1b, D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114.
[2] Comma abrogato dalla L. 12 novembre 2011, n. 183.
Art. 134 (Forma, contenuto e comunicazione dell’ordinanza)
L’ordinanza è succintamente motivata. Se è pronunciata in udienza, è inserita nel processo verbale; se è pronunciata fuori dell’udienza, è scritta in calce al processo verbale oppure in foglio separato, munito della data e della sottoscrizione del giudice o, quando questo è collegiale, del presidente.
Il cancelliere comunica alle parti l’ordinanza pronunciata fuori dell’udienza, salvo che la legge ne prescriva la notificazione.
[abrogato] L’avviso di cui al secondo comma può essere effettuato a mezzo telefax o a mezzo di posta elettronica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi. A tal fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il numero di fax o l’indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di volere ricevere l’avviso. [1]
[1] Comma abrogato dalla L. 12 novembre 2011, n. 183.
Art. 135 (Forma e contenuto del decreto)
Il decreto è pronunciato d’ufficio o su istanza anche verbale della parte.
Se è pronunciato su ricorso, è scritto in calce al medesimo.
Quando l’istanza è proposta verbalmente, se ne redige processo verbale e il decreto è inserito nello stesso.
Il decreto non è motivato, salvo che la motivazione sia prescritta espressamente dalla legge; è dato ed è sottoscritto dal giudice o, quando questo è collegiale, dal presidente.
Sezione IV: DELLE COMUNICAZIONI E DELLE NOTIFICAZIONI
Art. 136 (Comunicazioni)
Il cancelliere, con biglietto di cancelleria [1], fa le comunicazioni che sono prescritte dalla legge o dal giudice al pubblico ministero, alle parti, al consulente, agli altri ausiliari del giudice e ai testimoni, e dà notizia di quei provvedimenti per i quali è disposta dalla legge tale forma abbreviata di comunicazione.
Il biglietto è consegnato dal cancelliere al destinatario, che ne rilascia ricevuta, ovvero trasmesso a mezzo posta elettronica certificata, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici [2].
Salvo che la legge disponga diversamente, se non è possibile procedere ai sensi del comma che precede, il biglietto viene trasmesso a mezzo telefax, o è rimesso all’ufficiale giudiziario per la notifica [3].
[abrogato] Tutte le comunicazioni alle parti devono essere effettuate con le modalità di cui al terzo comma [4].
[1] Le parole «in carta non bollata» sono state soppresse dall’art. 16, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con L. 17 dicembre 2012, n. 221.
[2] Comma così sostituito dalla L. 12 novembre 2011, n. 183.
[3] Comma aggiunto dalla L. n. 263/2005 e successivamente così sostituito dalla L. 12 novembre 2011, n. 183.
[4] Comma abrogato dalla L. 12 novembre 2011, n. 183.
Art. 137 (Notificazioni)
Le notificazioni, quando non è disposto altrimenti, sono eseguite dall’ufficiale giudiziario, su istanza di parte o su richiesta del pubblico ministero o del cancelliere.
L’ufficiale giudiziario esegue la notificazione mediante consegna al destinatario di copia conforme all’originale dell’atto da notificarsi[1].
Se l’atto da notificare o comunicare è costituito da un documento informatico e il destinatario non possiede indirizzo di posta elettronica certificata, l’ufficiale giudiziario esegue la notificazione mediante consegna di una copia dell’atto su supporto cartaceo, da lui dichiarata conforme all'originale, e conserva il documento informatico per i due anni successivi. Se richiesto, l’ufficiale giudiziario invia l'atto notificato anche attraverso strumenti telematici all’indirizzo di posta elettronica dichiarato dal destinatario della notifica o dal suo procuratore, ovvero consegna ai medesimi, previa esazione dei relativi diritti, copia dell’atto notificato, su supporto informatico non riscrivibile [2].
Se la notificazione non può essere eseguita in mani proprie del destinatario, tranne che nel caso previsto da secondo comma dell’art. 143, l’Ufficiale Giudiziario consegna o deposita la copia dell’atto da notificare in busta che provvede a sigillare e su cui trascrive il numero cronologico della notificazione, dandone atto nella relazione in calce all’originale e alla copia dell’atto stesso. Sulla busta non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto [3].
Le disposizioni di cui al terzo comma si applicano anche alle comunicazioni degli articoli 133 e 136 [3] [4].
[1] Per le notificazioni a mezzo posta si veda la L. 20 novembre 1982, n. 890. Per le notificazioni a mezzo dei messi di conciliazione si veda D. L. vo 1 febbraio 1946, n. 122. Ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, a decorrere dal 1° luglio 1994, l’avvocato e il procuratore legale possono effettuare notificazioni, in materia civile, amministrativa e stragiudiziale, con consegna diretta in taluni casi e più in genera/e, tramite la posta, a condizione che siano muniti di procura alle liti a norma dell’ari. 83 c.p.c. e che siano autorizzati dal consiglio dell’ordine nel cui albo sono iscritti. L’art. 10 della legge 3 agosto 1999, n. 265, ha poi disposto che le pubbliche: amministrazioni possono avvalersi, per le notificazioni dei propri atti, dei messi comunali, qualora non sia possibile eseguirle utilmente avvalendosi del servizio postale o delle altre forme di notificazione previste dalla legge.
[2] Comma inserito dall’art. 45, comma 18a, L. 18 giugno 2009, n. 69.
[3] Comma inserito dall’art. 174, comma I, del D.L. 30 giugno 2003, n. 196, a decorrere dal 1° gennaio 2004.
[4] La parola «terzo» è stata sostituita con «quarto» dall’art. 45, comma 18b, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Art. 138 (Notificazione in mani proprie)
L’ufficiale giudiziario può sempre eseguire la notificazione mediante consegna della copia nelle mani proprie del destinatario, presso la casa di abitazione oppure, se ciò non è possibile, [1] ovunque lo trovi nell’ambito della circoscrizione dell’ufficio giudiziario al quale è addetto.
Se il destinatario rifiuta di ricevere la copia, l’ufficiale giudiziario ne dà atto nella relazione, e la notificazione si considera fatta in mani proprie.
[1] Così modificato dall’art. 174, comma 2, del D.L. 30 giugno 2003, n. 196, a decorrere dal 1° gennaio 2004.
Art. 139 (Notificazione nella residenza, nella dimora o nel domicilio)
Se non avviene nel modo previsto nell’articolo precedente, la notificazione deve essere fatta nel comune di residenza del destinatario, ricercandolo nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio.
Se il destinatario non viene trovato in uno di tali luoghi, l’ufficiale giudiziario consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace.
In mancanza delle persone indicate nel comma precedente, la copia è consegnata al portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda, e, quando anche il portiere manca, a un vicino di casa che accetti di riceverla.
Il portiere o il vicino deve sotto scrivere una ricevuta[1], e l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto, a mezzo di lettera raccomandata.
Se il destinatario vive abitualmente a bordo di una nave mercantile, l’atto può essere consegnato al capitano o a chi ne fa le veci.
Quando non è noto il comune di residenza, la notificazione si fa nel comune di dimora, e, se anche questa è ignota, nel comune di domicilio, osservate in quanto è possibile le disposizioni precedenti.
[1] Così modificato dall’art. 174, comma 3, del D.L. 30 giugno 2003, n. 196, a decorrere dal 1° gennaio 2004.
Art. 140 (Irreperibilità o rifiuto di ricevere la copia)
Se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposi la la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito in busta chiusa e sigillata [1] alla porta della abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, e gliene da notizia per raccomandata con avviso di ricevimento.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 3 del 14 gennaio 2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui prevede che la notifica si perfezioni, per il destinatario, con a spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa o, comunque decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione.
[1] Così modificato dall’art. 174, comma 4, del D.L. 30 giugno 2003, n. 196. a decorrere dal 1° gennaio 2004.
Art. 141 (Notificazione presso il domiciliatario)
La notificazione degli atti a chi ha eletto domicilio presso una persona o un ufficio può essere fatta mediante consegna di copia alla persona o al capo dell’ufficio in qualità di domiciliatario, nel luogo indicato nell’elezione.
Quando l’elezione di domicilio è stata inserita in un contratto, la notificazione presso il domiciliatario è obbligatoria, se così è stato espressamente dichiarato.
La consegna, a norma dell’art. 138, della copia nelle mani della persona o del capo dell’ufficio presso i quali si è eletto domicilio, equivale a consegna nelle mani proprie del destinatario.
La notificazione non può essere fatta nel domicilio eletto se è chiesta dal domiciliatario o questi è morto o si è trasferito fuori della sede indicata nell’elezione di domicilio o è cessato l’ufficio.
Art. 142 (Notificazione a persona non residente, né dimorante, né domiciliata nella Repubblica)
Salvo quanto disposto nel secondo comma, se il destinatario non ha residenza, dimora o domicilio nello Stato e non vi ha eletto domicilio o costituito un procuratore a norma dell’art. 77, l’atto è notificato mediante spedizione al destinatario per mezzo della posta con raccomandata e mediante consegna di altra copia al Ministero degli affari esteri per la consegna alla persona alla quale è diretta [1].
Le disposizioni di cui al primo comma si applicano soltanto nei casi in cui risulta impossibile eseguire la notificazione in uno dei modi consentiti dalle Convenzioni internazionali e dagli artt. 30 e 75 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200 [2].
[1] I precedenti primo e secondo comma sono stati così sostituiti dall’attuale primo comma dall’art. 174, comma 5a, del D.L. 30 giugno 2003, n. 196.
[2] Comma aggiunto dalla L. 6 febbraio 1981, n. 42. Le parole «ai commi precedenti» sono state così sostituite dall’art. 174, comma 5b, del D.L. 30 giugno 2003, n. 196. La Corte costituzionale, con sentenza 3 marzo 1994, n. 69, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non prevede che la notificazione all’estero del sequestro si perfezioni, ai fini dell’osservanza del prescritto termine, con il tempestivo compimento delle formalità imposte al notificante dalle Convenzioni internazionali e dagli articoli 30 e 75 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200.
Art. 143 (Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti)
Se non sono conosciuti la residenza, la dimora e il domicilio del destinatario e non vi è il procuratore previsto nell’articolo 77, l’ufficiale giudiziario esegue la notificazione mediante deposito di copia dell’atto nella casa comunale dell’ultima residenza o, se questa è ignota, in quella del luogo di nascita del destinatario [1].
Se non sono noti né il luogo dell’ultima residenza né quello di nascita, l’ufficiale giudiziario consegna una copia dell’atto al pubblico ministero.
Nei casi previsti nel presente articolo e nei primi due commi dell’articolo precedente, la notificazione si ha per eseguita nel ventesimo giorno successivo a quello in cui sono compiute le formalità prescritte [2].
[1] Le parole «, e mediante affissione di altra copia nell'albo dell'ufficio giudiziario davanti al quale si procede» sono state soppresse dall’ari. 174, comma 6, del D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196, a decorrere dal 1° gennaio 2004
[2] Comma così sostituito dalla L. 6 febbraio 1981, n. 42. La Corte costituzionale, con sentenza 3 marzo 1994, n. 69, ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui non prevede che la notificazione all’estero del sequestro si perfezioni, ai fini dell’osservanza del prescritto termine, con il tempestivo compimento delle formalità imposte al notificante dalle Convenzioni internazionali e dagli articoli 30 e 75 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200.
Art. 144 (Notificazione alle amministrazioni dello Stato)
Per le amministrazioni dello Stato si osservano le disposizioni delle leggi speciali che prescrivono la notificazione presso uffici dell’Avvocatura dello Stato.
Fuori dei casi previsti nel comma precedente, le notificazioni si fanno direttamente presso l’amministrazione destinataria, a chi la rappresenta nel luogo in cui risiede il giudice davanti al quale si procede. Esse si eseguono mediante consegna di copia nella sede dell’ufficio al titolare o alle persone indicate nell’articolo seguente.
Art. 145 (Notificazione alle persone giuridiche)
La notificazione alle persone giuridiche si esegue nella loro sede mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni, o , in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa ovvero al portiere dello stabile in cui è la sede. La notificazione può anche essere eseguita a norma degli artt. 138, 139 e 141, alla persona fisica che rappresenta l’ente qualora nell’atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale.
La notificazione alle società non aventi personalità giuridica, alle associazioni non riconosciute e ai comitati di cui agli artt. 36 ss. c.p.c. si fa a norma del comma precedente, nella sede indicata nell’art. 19 secondo comma, ovvero alla persona fisica che rappresenta l’ente qualora nell’atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale.
Se la notificazione non può essere eseguita a norma dei commi precedenti, la notificazione alla persona fisica indicata nell’atto, che rappresenta l’ente, può essere eseguita anche a norma degli artt. 140 o 143.
Articolo così modificato dall’art. 2, comma 1c, nn. 1, 2 e 3, della L. n. 263/2005.
Art. 146 (Notificazione a militari in attività di servizio)
Se il destinatario è militare in attività di servizio e la notificazione non è eseguita in mani proprie, osservate le disposizioni di cui agli articoli 139 e seguenti, si consegna una copia al pubblico ministero, che ne cura l’invio al comandante del corpo al quale il militare appartiene.
Art. 147 (Tempo delle notificazioni)
Le notificazioni non possono farsi prima delle ore 7 e dopo le ore 21.
Articolo così modificato dalla L. n. 263/2005, con decorrenza dal 1 marzo 2006.
Art. 148 (Relazione di notificazione)
L’ufficiale giudiziario certifica l’eseguita notificazione mediante relazione da lui datata e sottoscritta, apposta in calce all’originale e alla copia dell’atto.
La relazione indica la persona alla quale è consegnata la copia e le sue qualità, nonché il luogo della consegna, oppure le ricerche, anche anagrafiche, fatte dall’ufficiale giudiziario, i motivi della mancata consegna e le notizie raccolte sulla reperibilità del destinatario.
Art. 149 (Notificazione a mezzo del servizio postale)
Se non ne è fatto espresso divieto dalla legge, la notificazione può eseguirsi anche a mezzo del servizio postale.
In tal caso l’ufficiale giudiziario scrive la relazione di notificazione sull’originale e sulla copia dell’atto, facendovi menzione dell’ufficio postale per mezzo del quale spedisce la copia al destinatario in piego raccomandato con avviso di ricevimento. Quest’ultimo è allegato all’originale.
La notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell’atto [1].
La Corte Costituzionale con sentenza 26 novembre 2002, n. 477, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto del presente articolo e dell’art. 4, comma terzo, della legge 20 novembre 1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari) nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario.
[1] Comma aggiunto dalla L. n. 263/2005, con decorrenza dal 1 marzo 2006.
Art. 149-bis (Notificazione a mezzo posta elettronica)
Se non è fatto espresso divieto dalla legge, la notificazione può eseguirsi a mezzo posta elettronica certificata, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo.
Se procede ai sensi del primo comma, l’ufficiale giudiziario trasmette copia informatica dell’atto sottoscritta con firma digitale all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni [1].
La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario.
L’ufficiale giudiziario redige la relazione di cui all’articolo 148, primo comma, su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale e congiunto all’atto cui si riferisce mediante strumenti informatici, individuati con apposito decreto del Ministero della giustizia. La relazione contiene le informazioni di cui all’articolo 148, secondo comma, sostituito il luogo della consegna con l’indirizzo di posta elettronica presso il quale l’atto è stato inviato.
Al documento informatico originale o alla copia informatica del documento cartaceo sono allegate, con le modalità previste dal quarto comma, le ricevute di invio e di consegna previste dalla normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici trasmessi in via telematica.
Eseguita la notificazione, l’ufficiale giudiziario restituisce all’istante o al richiedente, anche per via telematica, l’atto notificato, unitamente alla relazione di notificazione e agli allegati previsti dal quinto comma.
Articolo inserito dal D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella L. 22 febbraio 2010, n. 24.
[1] Le parole «o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni» sono state inserite dall’art. 16, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con L. 17 dicembre 2012, n. 221.
Art. 150 (Notificazione per pubblici proclami)
Quando la notificazione nei modi ordinari è sommamente difficile per il rilevante numero dei destinatari o per la difficoltà di identificarli tutti, il capo dell’ufficio giudiziario davanti al quale si procede [1] può autorizzare, su istanza della parte interessata e sentito il pubblico ministero, la notificazione per pubblici proclami.
L’autorizzazione è data con decreto stesso in calce all’atto da notificarsi; in esso sono designati, quando occorre, i destinatari ai quali la notificazione deve farsi nelle forme ordinarie e sono indicati i modi che appaiono più opportuni per portare l’atto a conoscenza degli altri interessati.
In ogni caso, copia dell’atto è depositata nella casa comunale del luogo in cui ha sede l’ufficio giudiziario davanti al quale si promuove o si svolge il processo, e un estratto di esso è inserito nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e nel foglio degli annunzi legali delle province [2] dove risiedono i destinatari o si presume che risieda la maggior parte di essi.
La notificazione si ha per avvenuta quando, eseguito ciò che è prescritto nel presente articolo, l’ufficiale giudiziario deposita una copia dell’atto, con la relazione e i documenti giustificativi dell’attività svolta, nella cancelleria del giudice davanti al quale si procede.
Questa forma di notificazione non è ammessa nei procedimenti davanti al conciliatore.
[1] Le parole «e, in caso di procedimento davanti al pretore, il presidente del tribunale, nella cui circoscrizione è posta la pretura,» sono state soppresse dal D.L. 19 febbraio 1998, n. 51.
[2] I fogli degli annunzi legali delle province sono stati aboliti dalla L. 24 novembre 2000, n. 340.
Art. 151 (Forme di notificazione ordinate dal giudice)
Il giudice può prescrivere, anche d’ufficio, con decreto steso in calce all’atto, che la notificazione sia eseguita in modo diverso da quello stabilito dalla legge, e anche per mezzo di telegramma collazionato con avviso di ricevimento quando lo consigliano circostanze particolari o esigenze di maggiore celerità, di riservatezza o di tutela della dignità.
Articolo così modificato dal D.L. 30 giugno 2003, n. 196.
Capo II: DEI TERMINI
Art. 152 (Termini legali e termini giudiziari)
I termini per il compimento degli atti del processo sono stabiliti dalla legge; possono essere stabiliti dal giudice anche a pena di decadenza, soltanto se la legge lo permette espressamente.
I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori.
Art. 153 (Improrogabilità dei termini perentori)
I termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo delle parti.
La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell’articolo 294, secondo e
terzo comma [1]
[1] Comma aggiunto dall’art. 45, comma 19, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Art. 154 (Prorogabilità del termine ordinatorio)
Il giudice, prima della scadenza, può abbreviare o prorogare, anche d’ufficio, il termine che non sia stabilito a pena di decadenza. La proroga non può avere una durata superiore al termine originario. Non può essere consentita proroga ulteriore, se non per motivi particolarmente gravi e con provvedimento motivato.
Art. 155 (Computo dei termini)
Nel computo dei termini a giorni o ad ore, si escludono il giorno o l’ora iniziali.
Per il computo dei termini a mesi o ad anni, si osserva il calendario comune.
I giorni festivi si computano nel termine.
Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo.
La proroga prevista dal quarto comma si applica altresì ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono nella giornata del sabato.
Resta fermo il regolare svolgimento delle udienze e di ogni altra attività giudiziaria, anche svolta da ausiliari, nella giornata del sabato, che ad ogni effetto è considerata lavorativa.
Capo III: DELLA NULLITÀ DEGLI ATTI
Art. 156 (Rilevanza della nullità)
Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge.
Può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo.
La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato.
Art. 157 (Rilevabilità e sanatoria della nullità)
Non può pronunciarsi la nullità senza istanza di parte, se la legge non dispone che sia pronunciata di ufficio.
Soltanto la parte nel cui interesse è stabilito un requisito può opporre la nullità dell’atto per la mancanza del requisito stesso, ma deve farlo nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso.
La nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, né da quella che vi ha rinunciato anche tacitamente.
Art. 158 (Nullità derivante dalla costituzione del giudice)
La nullità derivante da vizi relativi alla costituzione del giudice o all’intervento del pubblico ministero è insanabile e deve essere rilevata d’ufficio, salva la disposizione dell’art. 161.
Art. 159 (Estensione della nullità)
La nullità di un atto non importa quella degli atti precedenti, né di quelli successivi che ne sono indipendenti.
La nullità di una parte dell’atto non colpisce le altre parti che ne sono indipendenti.
Se il vizio impedisce un determinato effetto, l’atto può tuttavia produrre gli altri effetti ai quali è idoneo.
Art. 160 (Nullità della notificazione)
La notificazione è nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia, o se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data, salva l’applicazione degli articoli 156 e 157.
Art. 161 (Nullità della sentenza)
La nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione.
Questa disposizione non si applica quando la sentenza manca della sottoscrizione del giudice.
Art. 162 (Pronuncia sulla nullità)
Il giudice che pronuncia la nullità deve disporre, quando sia possibile, la rinnovazione degli atti ai quali la nullità si estende.
Se la nullità degli atti del processo è imputabile al cancelliere, all’ufficiale giudiziario o al difensore, il giudice, col provvedimento col quale la pronuncia, pone le spese della rinnovazione a carico del responsabile e, su istanza di parte, con la sentenza che decide la causa può condannare quest’ultimo al risarcimento dei danni causati dalla nullità a norma dell’art. 60, n. 2.