Clizia/Atto secondo/Scena terza
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Niccolò Machiavelli - Clizia (1525)
Atto secondo
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Sofronia, Nicomaco
- Sofronia
- (sola) Io ho rinchiusa Clizia e Doria in camera. E’ mi bisogna guardare questa povera fanciulla dal figliuolo, dal marito, da’ famigli: ognuno l’ha posto il campo intorno.
- Nicomaco
- Ove si va?
- Sofronia
- Alla messa.
- Nicomaco
- Ed è per carnesciale: pensa quel che tu farai di quaresima!
- Sofronia
- Io credo che s’abbia a fare bene d’ogni tempo, e tanto è più accetto farlo in quelli tempi che gli altri fanno male. Ma e’ mi pare che, a fare bene, noi ci facciamo da cattivo lato!
- Nicomaco
- Come? Che vorresti tu che si facessi?
- Sofronia
- Che non si pensassi a chiacchiere; e, poiché noi abbiamo in casa una fanciulla buona, d’assai, e bella, abbiamo durato fatica ad allevarla, che si pensi di nolla gittare or via; e, dove prima ogni uomo ci lodava, ogni uomo ora ci biasimerà, veggendo che noi la diano ad uno ghiotto, sanza cervello, e non sa fare altro che un poco radere, che è un’arte che non ne viverebbe una mosca!
- Nicomaco
- Sofronia mia, tu erri. Costui è giovane, di buono aspetto (e, se non sa, è atto a imparare), vuol bene a costei: che son tre gran parte in uno marito, gioventù, bellezza ed amore. A me non pare che si possa ire più là, né che di questi partiti se ne truovi ad ogni uscio. Se non ha roba, tu sai che la roba viene e va; e costui è uno di quegli, che è atto a farne venire; ed io non lo abbandonerò, perch’io fo pensiero, a dirti il vero, di comperarli quella casa, che per ora ho tolta a pigione da Damone, nostro vicino, ed empierolla di masserizie; e di più, quando mi costassi quattrocento fiorini, per metterliene...
- Sofronia
- Ah, ah, ah!
- Nicomaco
- Tu ridi?
- Sofronia
- Chi non riderebbe? Dove liene vuoi tu mettere?
- Nicomaco
- Sì, che vuoi tu dire? ... per metterliene in su ’n una bottega, non sono per guardarvi.
- Sofronia
- È egli possibile però che tu voglia con questo partito strano tôrre al tuo figliuolo più che non si conviene, e dare a costui più che non merita? Io non so che mi dire: io dubito che non ci sia altro, sotto.
- Nicomaco
- Che vuoi tu che ci sia?
- Sofronia
- Se ci fussi chi non lo sapessi, io glielo direi; ma, perché tu lo sai, io non te lo dirò.
- Nicomaco
- Che so io?
- Sofronia
- Lasciamo ire! Che ti muove a darla a costui? Non si potrebbe con questa dote o con minore maritarla meglio?
- Nicomaco
- Sì credo. Nondimeno, e’ mi muove l’amore, ch’io porto all’una ed all’altro, che avendoceli allevati tutti a dua, mi pare da benificarli tutti a dua.
- Sofronia
- Se cotesto ti muove, non ti hai tu ancora allevato Eustachio, tuo fattore?
- Nicomaco
- Sì, ho; ma che vuoi tu che la faccia di cotestui, che non ha gentilezza veruna ed è uso a stare in villa fra’ buoi e tra le pecore? Oh! se noi gliene dessimo, la si morrebbe di dolore.
- Sofronia
- E con Pirro si morrà di fame. Io ti ricordo che le gentilezze delli uomini consistono in avere qualche virtù, sapere fare qualche cosa, come sa Eustachio, che è uso alle faccende in su’ mercati, a fare masserizia, ad avere cura delle cose d’altri e delle sua, ed è uno uomo, che viverebbe in su l’acqua: tanto che tu sai che gli ha un buono capitale. Pirro, dall’altra parte, non è mai se non in sulle taverne, su pe’ giuochi, un cacapensieri, che morrebbe di fame nello Altopascio!
- Nicomaco
- Non ti ho io detto quello che io li voglio dare?
- Sofronia
- Non ti ho io risposto che tu lo getti via? Io ti concludo questo, Nicomaco, che tu hai speso in nutrir costei, ed io ho durato fatica in allevarla; e per questo, avendoci io parte, io voglio ancora io intendere come queste cose hanno ad andare: o io dirò tanto male e commetterò tanti scandoli, che ti parrà essere in mal termine, che non so come tu ti alzi el viso. Va’, ragiona di queste cose con la maschera!
- Nicomaco
- Che mi di’ tu? Se’ tu impazata? Or mi fa’ tu venir voglia di dargliene in ogni modo; e, per cotesto amore, voglio io che la meni stasera, e merralla, se ti schizzassino gli occhi!
- Sofronia
- O la merrà, o e’ non la merrà.
- Nicomaco
- Tu mi minacci di chiacchiere; fa’ ch’io non dica. Tu credi forse che io sia cieco, e che io non conosca e giuochi di queste tua bagatelle? Io sapevo bene che le madre volevano bene a’ figliuoli, ma non credevo che le volessino tenere le mani alle loro disonestà!
- Sofronia
- Che di’ tu? Che cosa è disonesta?
- Nicomaco
- Deh! non mi fare dire. Tu m’intendi, ed io t’intendo. Ognuno di noi sa a quanti dì è san Biagio. Facciamo, per tua fé, le cose d’accordo, che, se noi entriamo in cetere, noi sareno la favola del popolo.
- Sofronia
- Entra in che cetere tu vuoi. Questa fanciulla non s’ha a gittar via, o io manderò sottosopra, non che la casa, Firenze.
- Nicomaco
- Sofronia, Sofronia, chi ti pose questo nome non sognava! Tu se’ una soffiona, e se’ piena di vento!
- Sofronia
- Al nome d’Iddio, io voglio ire alla messa! Noi ci rivedreno.
- Nicomaco
- Odi un poco: sarebbeci modo a raccapezzare questa cosa, e che noi non ci facessimo tenere pazzi?
- Sofronia
- Pazzi no, ma tristi sì.
- Nicomaco
- Ei ci sono in questa terra tanti uomini dabbene, noi abbiamo tanti parenti, e’ ci sono tanti buoni religiosi! Di quello che noi non siamo d’accordo noi, domandianne loro, e per questa via o tu o io ci sgarereno.
- Sofronia
- Che? vogliamo noi cominciare a bandire queste nostre pazzie?
- Nicomaco
- Se noi non vogliamo tòrre amici o parenti, togliamo uno religioso, e non si bandiranno; e rimettiamo in lui questa cosa in confessione.
- Sofronia
- A chi andremo?
- Nicomaco
- E’ non si può andare ad altri che a fra’ Timoteo, che è nostro confessoro di casa, ed è uno santerello, ed ha fatto già qualche miracolo.
- Sofronia
- Quale?
- Nicomaco
- Come, quale? Non sai tu che, per le sue orazioni, mona Lucrezia di messer Nicia Calfucci, che era sterile, ingravidò?
- Sofronia
- Gran miracolo, un frate fare ingravidare una donna! Miracolo sarebbe se una monaca la facessi ingravidare ella!
- Nicomaco
- È egli possibile che tu non mi attraversi sempre la via con queste novelle?
- Sofronia
- Io voglio ire alla messa, e non voglio rimettere le cose mia in persona.
- Nicomaco
- Orsù, va’ e torna: io ti aspetterò in casa. (Sofronia parte) Io credo che sia bene non si discostare molto, perché non trafugassino Clizia in qualche lato.