Clelia/XVI
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CAPITOLO XVI.
LA TRIADE.
Nella meschina stanzuccia di Siccio quella stessa sera stavan raccolti tre individui che avrebbero fatto l’ammirazione di colui «che nuovo Olimpo alzò m Roma a’ Celesti» e di qualunque dei grandi Maestri del bello.
Eppure — non è egli mero caso il nascer bello? e non ho conosciuto io molta gente — con cuore d’angiolo — e pur deformi di corpo? — Che volete? — è così; — l’uomo per irresistibile istinto è portato al bello — forse più dell’uomo — la donna.
Le belle forme della persona ispirano istintivamente maggiore fiducia. — Piace d’aver il padre bello, la madre ed i figli — d’aver un capo le cui fattezze sieno quelle dell’Achille — non del Tersite1.
La bellezza del capitano, suscita più entusiasmo nei militi — più timor nei nemici. Infine, — comunque sia — è una gran fortuna il nascer belli, ed in questa, come in tante altre cose, — non si capisce perchè l’Onnipotente sia stato prodigo con gli uni, avaro con gli altri — si direbbe quasi capriccioso.
Quante mortificazioni un povero diavolo deve soffrire — se ha la disgrazia di essere deforme! — Che smorfie! che sogghigni da ogni parte! — Non beato dal sorriso delle belle — (e meno ancora delle brutte — le quali, o mancano dell’istinto della compassione — o temono, mostrandosi generose, d’essere sospettate richiedere per se stesse il ricambio — affermando la propria deformità) gli si fa sentire la pietà a traversò un’umiliante protezione — e quando non s’aggiunge qualche satira — o beffa di begli spiriti — è una fortuna per il poveretto. —
L’oro solo mitiga alquanto le deformità del corpo.
Intanto con aria di trionfo, e contento di sè — passeggia da dominatore nella folla, colui che — senza merito proprio — ebbe dalla natura forme prestanti e forse bello spirito. —
Sarà calcolo — sarà sorte — sarà capriccio — di chi poteva far meglio?
Giulia — che Attilio e Muzio avevano aspettata per aver notizie della famiglia di Manlio — cominciò: «Sì! esse sono in casa Corsini — quell’indecente Procopio lo ha negato — ma voi sapete — in quella tana di vizi quanto sia facile di coprire ogni cosa coll’oro.»
Attilio si alzò, fece un moto d’impazienza come volesse partire — passò la mano sulla fronte — poi come pentito di quella manifestazione tornò a sedere.
Giulia che lesse nell’atto d’impazienza del giovane qual vulcano bolliva in quell’anima ripigliò:
«Attilio! vi bisogna più che mai conservare il vostro sangue freddo — vi sarà necessario per liberare la vostra fidanzata dagli artigli di quell’avoltojo. — Ora è troppo presto. — Voi dovete aspettare almeno sin dopo le dieci per tentarlo. —
«Sicuro — aggiunse Muzio — e frattanto io andrò ad avvisare Silvio che si trovi pronto coi compagni nelle vicinanze dei palazzo. — Non ti muovere sinchè io non sia di ritorno.»
Noi sappiamo quanto il povero Muzio amasse la bella straniera — pure un’ombra di sospetto — di gelosia — non annuvolò la sua fronte — al lasciarla così sola in compagnia dell’avvertente suo amico. — E Giulia — sola — col più bel giovine di Roma e sì giovane e bellissima lei stessa non correva pericoli? — No! l’amore di Giulia per il suo Muzio, era di pura e forte tempra — amore che non s’altera; — che non muore, — che non cambia per cambiar d’età — o di fortuna. — E poi Muzio era infelice — e questa qualità — assai più caro lo rendea alla generosa.
- ↑ Buffone deforme — nel campo de’ Greci all’assedio di Troia.