Ciceruacchio e Don Pirlone/Ai lettori
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AI LETTORI
Questo volume non contiene una propria e vera storia della rivoluzione romana dalla elezione del pontefice Pio IX sino alla caduta della repubblica. Esso ha per fine di raccogliere e ricordare i fatti di quella rivoluzione nella parte specialmente in cui essi si ricongiungono e si coordinano con l’opera del tribuno della plebe romana Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio, e del brioso giornale politico con caricature, intitolato Don Pirlone. Val quanto dire che questa sarà una storia della parte presa dall’elemento romano nella romana rivoluzione; poichè nell’azione del generoso popolano e in quella del violento e focoso giornale umoristico si riepiloga e si personifica, quasi, l’opera, spesso non equamente valutata, spesso ad arte obliata, talvolta ingiustamente calunniata o dispregiata, dai cittadini di Roma e delle romane provincie data, con disinteresse, con efficacia, con ardore, allo svolgimento dei fatti compiutisi dal giugno 1846 al giugno 1849 nella eterna città, fatti che, non ostante le infantili ingenuità, le giovanili avventatezze, le retoriche baldanze, le politiche inesperienze e gli errori inevitabili, costituiscono pure una parte importantissima di quelle premesse storiche, le cui conseguenze legittime furono i fatti successivamente svoltisi dal 1859 al 1870, donde derivò il meraviglioso italiano risorgimento.
Uno studio imparziale accurato, amoroso, che dura da otto anni, di quante storie, autobiografie, memorie, rimembranze, cronache, ricordi e opuscoli italiani e stranieri, ho potuto rinvenire e dei quali darò, in fine del volume, la bibliografia, mi ha servito di guida nel dettare questi Ricordi, nei quali spero di essere riuscito a ristabilire la verità su molti punti controversi e contrastati, dissipando e distruggendo erronei giudizi e fallaci leggende, come piante parassite, abbarbicatesi, fino a tutt’oggi, intorno a questa storia.
E, a raggiungere questo fine di ristabilire la verità su molti fatti, mi han giovato le lunghe e accurate ricerche fatte nell’Archivio di Stato, in quello Municipale di Roma, in quello del Ministero della Guerra e in parecchi archivi comunali di città della provincia romana, non che le Memorie autobiografiche inedite del colonnello marchese Filippo Caucci-Molara e tutto il materiale storico o lo schema di storia, raccolto e preparato dal dottor Benedetto Grandoni per la continuazione di quella sua Storia del Regno Temporale di Pio IX, da lui stampata nell’agosto del 1848.
Il dott. Benedetto Grandoni, fratello di quel colonnello Luigi — il quale, ingiustamente coinvolto nel processo contro gli uccisori del conte Pellegrino Rossi e ingiustamente condannato a morte, si uccideva in carcere — dopo gli avvenimenti che ricondussero a Roma Pio IX, sovrano dispotico e ricreduto delle sue velleità costituzionali, e dopo la dolorosa catastrofe che travolse il fratello suo, non pensò più alla sua storia, i cui dieci fascicoli manoscritti lasciò incompleti ed inediti, allorchè morì, nel 1859.
Il manoscritto del Grandoni, donatomi dal figlio Alessandro, cui qui ne rinnovo pubbliche grazie, è importantissimo, sia perchè il dottore Benedetto, dissentendo dal fratello Luigi, che era ardente repubblicano, professava con fervore dottrine costituzionali, sia perchè egli era devotissimo ammiratore di Pio IX, sia, infine, perchè il manoscritto, costituito di appunti che l’autore, uomo stimato, che aveva estesa clientela, testimone spesso oculare ed auricolare, veniva prendendo e svolgendo, giorno per giorno, sugli uomini e sugli avvenimenti, è scritto di tutto pugno del dottore, ed è pieno di aggiunte, di correzioni, di commenti, e porta in sè tutta l’impronta della spontaneità, della freschezza, della sincerità delle prime e genuine impressioni.
Altra scorta importantissima alla scoperta di molte verità mi è stato appunto il processo compilato contro gli uccisori del conte Pellegrino Rossi, da me letto, pagina per pagina, in tutte le sedicimila pagine di cui esso si compone.
Non ho mancato di trar lume sugli uomini e sulle cose, sia dalle reminiscenze della mia infanzia, che si svolgeva appunto in quegli anni, e le quali vivissime durano nell’animo mio, sia dalla tradizione tramandatamene dall’ottimo e amatissimo padre mio, che in quegli avvenimenti ebbe parte amorosa ed attiva, e il quale, nella integrità del suo carattere e nella rettitudine dell’animo suo nobilissimo, su quei tempi e su quegli avvenimenti me e i fratelli miei veniva continuamente ammaestrando con assennati e imparziali giudizi, sia, infine, col consultare uomini degni di stima e di fede, e che a quei fatti parteciparono, e alcuni dei quali tuttora vivono, come, ad esempio, il colonnello Giacinto Bruzzesi, il prof. comm. Luigi Chierici, il colonnello Adriano Gazzani, il comm. Michelangiolo Pinto, Luigi De Luca, il comm. Adriano Bompiani, il comm. Filippo Barattani, il colonnello Augusto Elia, il colonnello Vincenzo Carbonelli e Giuseppe Caravacci, questi ultimi due coinvolti nel processo per la uccisione di Pellegrino Rossi, e altri purtroppo non sono più, come, ad esempio, il cav. Evaristo Botti, il comm. Angelo Tittoni, Bernardino Facciotti e Cesare Diadei, ambedue imputati nel processo Rossi, il colonnello cav. Angelo Berni, il comm. Pietro De Angelis, il generale Raffaele Pasi, il generale Bartolomeo Galletti, il conte Luigi Pianciani, Mattia Montecchi e il dott. cav. Pietro Guerrini.
Non ho cercato che il vero, senza preoccuparmi menomamente cui nuocesse o cui giovasse; mi sono sforzato di essere, per quanto umanamente è possibile, imparziale, serbandomi sempre obiettivo nell’esaminare avvenimenti, uomini e cose, adoprandomi a sgomberare ogni giudizio subiettivo dall’animo mio: ho procurato, con tenace proposito, per quanto mi era dato, di trasportarmi, col cuore e col pensiero, nel tempo e nello spazio in cui i fatti si svolgevano, giudicando coi criteri e coi sentimenti degli attori di quel dramma, non già con la postuma sapienza del poi, di cui non son piene soltanto le fosse, ma anche i calamai in cui intingono la penna certi storici subiettivi, tutti imbottiti di se e di ma, e sempre pronti, coi facili suggerimenti del postero, a indicare i modi pei quali nei fatti, che essi narrano, si sarebbero potuti evitare certi dati errori, e sempre dimentichi della logica e inesorabile relazione di cause e di effetti che governa la storia, e a cagion della quale appunto i fatti si svolsero così come si svolsero, e in altra guisa assolutamente non potevano avvenire e non si potevano svolgere.
Se io sia riuscito nel fine propostomi giudicherà il benevolo lettore.