Chi nnun vede, nun crede

Giuseppe Gioachino Belli

1832 Indice:Sonetti romaneschi II.djvu sonetti letteratura Chi nnun vede, nun crede Intestazione 22 giugno 2024 75% Da definire

La ggiustizia è cceca Com'ar mulo
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832

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CHI NNUN VEDE, NUN CREDE.

     Adesso in der teatro a Ttordinone,1
C’è ppe’ bballo la sscimmia conoscente,2
Che ddelibbera3 un fijjo der padrone
E ddà un’archibbusciata ar zor tenente.

     Lei da un arbero sarta a un capannone
Senza datte a ccapì ccom’e cquarmente,4
Rubba a un villano mezza colazzione
E bballa un patatù5 cór un zerpente.

     Pijja a mmerangolate6 sett’o otto,
Se mette un cappellaccio e un palandrano,
Ruzza a ppanza-per-aria e a bbocca-sotto.

     Sfido inzomma a ddistingue da lontano,
S’è un cristiano che ffacci da scimmiotto,
O un scimmiotto che ffacci da cristiano.

8 febbraio 1832.


Note

  1. [Il Teatro Apollo, chiamato più comunemente di] Torre-di-Nona, o Tordinona, [perchè sorge prseoo il luogo dove fu già una torre di questo nome, la quale faceva parte d’un grande edifizio, che sino alla met del sec. XVII servì ad uso di prigione, e poi fu tutto demolito. Si dice che vi rinchiudessere Beatrice Cenci, prima di mandarla al patibolo.]
  2. La scimia riconoscente.
  3. Libera.
  4. In qual modo.
  5. Non balla già il pas-de-deux (detto dai cittadini di Roma padedu), ma fugge da un serpente che la insegue per divorarla.
  6. A colpi di melangola.