Celeste dono è la beltà, che scende
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XXIV
CONTRO L’AMARE UNA BELLEZZA SOLA
Ad Andrea Valiero
Celeste dono è la beltá, che scende
ad invaghir qua giú l’umane menti
de’ beni eterni, e a sollevarle al cielo;
chiare faville accende
ne’ foschi cori e co’ suoi raggi ardenti
sgombra de’ pigri affetti il lento gelo;
sotto un leggiadro velo,
vie piú ch’all’occhio, all’intelletto scopre
di lavoro divin mirabil opre.
Ma non sempre ella suol ne’ regi tetti
covar tra gli ostri e riccamente adorna
sfidar le gemme in paragone e gli ori;
ché d’ameni boschetti
spesso a l’ombra riposta anco soggiorna,
e d’un prato ridente emula i fiori.
Quivi ne’ freschi umori
d’un puro fonticel si specchia e lava,
e co’ fregi dell’erba i crini aggrava.
Fan di gemme inaspriti aurei monili,
d’argentei scherzi varïati manti,
pompa non di beltá, ma di ricchezza;
son degli avi gentili
l’alte memorie e i celebrati vanti,
fregi di nobiltá, non di bellezza:
ch’ella per sé s’apprezza
e si brama per tutto ove si vede,
e cieco è quei ch’altra ragion ne chiede.
Ma cieco e stolto è quegli ancor che l’ama
solo in un loco, e se la mira altrove
o non la riconosce o non la cura.
Chi la bellezza brama,
la brama sempre in ogn’oggetto, e dove
la scorge ivi d’unirsi a lei procura.
Animata pittura,
ell’è di Dio ritratto; io stimo un empio
chi la vuol adorar solo in un tempio.
Quegli che non ha cor d’amar capace
l’universal bellezza, ama e desia
la bellezza di Filli o di Nigella;
quindi non trova pace
co’ suoi meschini affetti; erra e travia,
mentre la luce vuol sol d’una stella,
che se splende rubella
a le sue voglie, infra gli orrori immensi
ei non ha scorta al travïar de’ sensi.
Sol una è la beltá che ’l divo lume
in piú corpi diffonde, e quasi Sole
a molte stelle i raggi suoi comparte;
ond’è stolto costume
di chi solo in un volto amar ne vuole
con povero desio picciola parte.
Volgi l’antiche carte
e sovente vedrai lo stesso Giove
in nuovi oggetti amar vaghezze nove.
Tu, saggio Andrea, che non restringi il core
fra l’angustie d’un viso, e a’ desir vasti
una sola speranza ésca non fai;
per te non trova amore
entro due sole luci ardor che basti,
e i lacci d’un sol crin non sono assai.
Quindi è che tu ben vai
col libero pensier per varie forme
de l’unica beltá tracciando l’orme.
Quind’è ch’or la capanna ed or la reggia
ti vede amante a vagheggiare intento
una sola bellezza in molte belle;
né creder giá ch’io deggia
dannare il tuo consiglio; anch’io mi pento
che non presi a cercar altre facelle,
tosto che le due stelle,
che m’allettaron pria, mostrârsi avverse
e fèro orgoglio il mio sperar disperse.
Sciocco Tantalo er’io, che ’n mezzo l'acque
dura sete soffria, perché volea
sol di fonte lontana onda interdetta.
La beltá che mi piacque,
mentre mal saggio fui, solo in Nicea,
or dovunque la miro ivi m’alletta.
Due begli occhi ha Lisetta
ed ha Clori un bel sen di vivi avori:
di Lisetta amo gli occhi e ’l sen di Clori.