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VI. Poemetti guerreschi - L'oscuro sterminio

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L’OSCURO STERMINIO

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Come se ’l volo a l’aerio piloto
fulmineo si tronca, ruinose
3le vele in fascio piombano pe ’l vuoto;

anche le nostre audacie radiose
s’abbattono là dove più profondo
6salì ’l pensiero a dominar le cose.

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Par che si spezzi l’elica del mondo
ne l’urto che di nuovo lo ricaccia
9pe ’l caotico vortice errabondo.

La violenza sfigurò la faccia
de’ cieli: ed è come più nulla importi
12di mani giunte nè d’aperte braccia.

Suo ’l diritto, suo ’l cenno, sue le sorti.
Chiude ogni orecchio, soffoca ogni voce
15che uman sospiro intenda o pace esorti.

Un sibilìo d’irrisïone atroce
è ne l’aria. O scuola che a la vita
18insegni quel che giova e quel che nuoce,

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e d’un cibo d’eletti l’hai nudrita,
se per ciascun morbo che spegni inventi
21un’arma nuova a la mortal ferita,

lascia al destino de gl’ignari armenti,
nati al macello, i curvi analfabeti
24che sempre al giogo stettero contenti.

O dolcezza de l’intime pareti,
o vincoli del sangue e de l’amore,
27dati a l’uomo perch’egli in voi s’acqueti

con la speranza, che lo fa migliore;
ove ’l pio labbro e le soavi ciglia
30più non san che un martirio, ove ’l terrore

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dissenna i padri ed a le madri artiglia
le viscere, voi, culle, scomparite!
33spèzzati anello! E sia de la famiglia

come de le sorgenti inaridite.
Che se il latte convertesi in veleno,
36è giunto ’l dì quando non parve immite

chiamar beato l’infecondo seno.
O tu, che superbivi ad ogni passo
39d’un laccio infranto e d’un calpesto freno,

secolo, al qual mirò nel suo trapasso
la storia, come chi vede l’altura
42rider nel sole, tra le nebbie, al basso;

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per le anime nostre, che snatura
il comando e l’orror de la ferocia,
45quale rogo sparmiasti? e qual tortura?

Ecco, l’idea fraterna oggi consocia
in un amplesso i popoli. E dimani
48un cenno a morte le lor spade incrocia?

Ecco, pur ora strinsero le mani
straniere ne’ commerci ove s’incappia
51l’util comune. E si faranno a brani

perchè un odio forzato li calappia?
Ah, l’uomo incontri, sì, guerra; ma prima
54un nemico lo assalga, ed ei lo sappia.

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Non senza una tirannide che opprima,
nè livore selvaggio che divampi,
57umano è ’l grido che battaglia intima.

Ma noi l’eccidio flagellare i campi
vedemmo mentre quei che ’l ferro stringe
60gode se al colpo l’avversario scampi;

e il duce che gli eserciti sospinge
stupisce ’l danno de’ mal noti eventi.
63Arbitra è qui la sanguinaria Sfinge.

Armi senza splendor, combattimenti
durati fuor del tempo e de lo spazio,
66invisibili, come i tradimenti;

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coraggio eroico, non di luce sazio,
ma d’ombra, senza nomi nè bandiere,
69cui solo è pari l’infinito strazio

de le agonie sperdute per le nere
lande, e ’l singhiozzo de le case vuote,
72e ’l suolo raso dopo le bufere

del piombo: scende un gel di nebbie immote,
e tutto avvolgerà, come il lenzuolo
75che si distende su le salme ignote.

E una povera vecchia s’avrà solo,
per ricordo, la benda insanguinata
78che le mandò morendo il suo figliuolo.

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E in cor, noi, come punta conficcata,
l’ultimo sguardo del ragazzo a i suoi,
81in sul partire, ’l dì de la chiamata.

O sublime epos, o accesi inni! Poi
che tutto sparve, ancor ci rimanea
84intatta la bellezza de gli eroi.

La visione, un raggio che ricrea,
e il novo entusïasmo era ne i petti
87simile a l’agitar de la marea.

Balzavan su gli animi giovinetti:
e che ardimento impallidìa nel volto!
90che fiera maraviglia! e quanti affetti!

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A le fulgide pugne Ettore vòlto,
incuora ne l’addio lei che un sorriso
93mesce al pianto, il suo bimbo al sen raccolto.

Come fiore purpureo succiso
da l’aratro, Eurialo soccombe;
96e morte gli avvincea l’ardente Niso.

Gli echi non soffocò de l’ecatombe
epica il tempo mai. Per fin la bruta
99barbarie senza sedi e senza tombe

ha una voce. Ancor, mentre la perduta
battaglia impreca ’l re Unno e s’inselva
102tra carri e lance, suona l’ombra muta

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d’armi percosse e d’un urlar di belva.
E dove seppe il Cherusco men saldi
105i Legionarii, e biancheggiò la selva

d’ossa romane, i suoi più pronti araldi
la storia elesse; e l’anima guerriera
108si trasfuse ne’ canti de gli Skaldi.

Che cercate, oggi, voi, mattina e sera,
donne, con gli occhi in un’attesa assorti?
111Così bella ridea la vita! Ed era

gioia il lavoro a i figli ed a i consorti!
Al sacrifizio corsero. E sol piena
114de’ loro nomi è la lista de i morti.

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Tenebre intorno. La profusa vena
non lascia nel pensier più lunga traccia
117che fa una stilla su la secca rena.

O mistero, che ascondi la tua faccia
perchè tra ’l riso de le illusïoni
120ti si addorma la vita ne le braccia;

se destinate sono le tenzoni
a raggiar l’universo, ove ne l’ombra
123combattono gli ioni e gli elettroni,

anche questa caligine, che adombra
lo sterminio, non cela ’l suo destino
126a gli occhi cui la via del vero è sgombra.

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Mirate: fugge ’l sole in suo cammino,
qual moribonda fiera, il truce evento
129che il mondo empì co ’l rugghio leonino.

L’orror preme a le spalle il violento.
Pende il giudizio su le umane lotte
132nel silenzio. Così per sempre spento

fugge l’astro perduto ne la notte.