Al Tagliamento

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Notte d'inverno Meriggio estivo
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VII.




Al Tagliamento

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Dalla profonda, paurosa forra
di scintillanti vette coronata,
o Tagliamento, la marzial canzone
                    4ripeti ancora

del venti quattro maggio? — O fiorito
maggio d’Italia nostra! o glorioso
maggio fulgente della patria! quando
                    8stette senz’armi.

saldo di fronte alla tedesca rabbia,
con pochi fidi, Pietro Calvi, e vinse.
E tu, bel fiume, di vittoria il grido
                    12rapito, araldo

di nostra gente, via lo diffondesti
per l’ampia valle. Dal munito sasso
d’Osoppo forte un altro grido, Italia,
                    16ti rispondeva,

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allora, e, Italia ripeteva l’eco
delle montagne ridestata, mentre
tu trascorrevi la marina bassa
                    20d’Adria cercando.

E tal fluivi silenziosamente
fra le terrazze digradanti al piano,
quando assetate alle tue sponde scesero
                    24le scalpitanti

poledre irsute di Pannonia e gli Ungheri
le insanguinate lancie risciacquarono
nella tua onda. A te chiedeva allora
                    28il desolato

popolo scampo, e tu, lento scorrente,
ultimo asilo gli serbavi, chiuse
fra le tue braccia e il mar vasto, le infide
                    32velme di sabbia.

Salve, bel fiume del mio canto; ancora
risonò d’armi la tua riva quando
la ghibellina patriarcale lupa,
                    36tenne alla guelfa

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lupa ribelle, qui d’Italia i varchi
al rosso Svevo, che tor via Milano
volle, e a Pontida ridestò l’antico
                    40cuore d’Italia.

Ahi breve gloria, patria mia, nell’odio
tenace, infida nell’amar, discorde
sempre e divisa! E te di sangue lordo,
                    44o Tagliamento,

spade straniere e paesane spade
fecero e prima e poi che le grandi ali
dominatrici del Leon di Marco
                    48ti ricoprissero.

Dell’Alansone pria vedesti i fanti,
poi le falcate scimitarre turche
menar la strage, e dopo quelle assidue
                    52le imperïali

orde incalzare, e popolar di forche
l’italo suolo, e croati e ruteni,
ed il grifagno occhio di Bonaparte
                    56il tradimento

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di Campoformio meditante. Ancora
Francia e Lamagna di lor vene rossa
fer la tua chiara gorgogliante vena,
                    60italo fiume,

e ancor mercede al vincitore e al vinto
fu il nostro danno e la vergogna nostra.
Certo dal giorno che le tue montagne
                    64discese, o Italia,

il troglodita, e primo a possederti
levò lo sguardo, una fatale brama
corse ed accese gli uomini a’ tuoi danni
                    68e guerra e strage

furon retaggio di tue genti. Solo
fu nella forza il dritto e sol dei forti
premio fu pace e libertà. Regina
                    72fosti, se in armi.

Inerme schiava e vilipesa, quasi
indarno avesse sopra il mondo stese
l’aquila nostra le ali, e indarno avesse
                    76d’Orazio al carme

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date le penne. Ma in suo etereo giro
nulla più grande ancor di Roma il sole
vide; di Roma, che due volte cadde
                    80e due risorse

il tuo destino a maturare. I numi
propizi al vate furon dunque, e volge
propizia l’ora del presente, o Italia
                    84di leggi e d’armi

maestra al mondo; di memorie sacra
custode, e sacra di novelle stirpi,
gloriosamente nel futuro intente,
                    88suscitatrice.




[p. 52 modifica]Note. — Pietro Calvi il 24 Maggio 1848 al Passo della Morte aveva con sè un centinaio di fucilieri male armati. Tutti gli altri alpigiani accorsi erano disarmati e si difesero facendo rotolare sassi.




Gli Ungheri fra il secolo 9.° ed il 10.°, entrati per il consueto varco orientale, a traverso al quale tanti barbari erano calati prima, e calarono poi in Italia, corsero il Friuli e lo devastarono.




I Patriarchi di Aquileia, avidi di dominio temporale, parteggiarono spesso per l’Impero contro l’autorità del Pontefice. Pellegrino seguì il Barbarossa sotto Crema, e fu da Alessandro III.° scomunicato. Uldarico, succeduto a Pellegrino, ebbe dall’imperatore benefici e privilegi in cambio della fedeltà con cui aveva tenuto il più facile varco alpino, che unisca Germania ad Italia; questa politica dei Patriarchi spinse Treviso, Venezia, Padova, Vicenza, Verona a formare la Lega Veronese, la quale più tardi si unì in una sola Concordia con la Lega Lombarda.




Filippo di Alansone, nipote del re di Francia, fu Patriarca sul finire del secolo XIV. I Friulani, mal tollerando l’elezione del francese, insorsero. Seguì una lunga e crudelissima guerra civile, durante la quale i Veneziani incominciarono ad ingerirsi, quali mediatori, delle cose friulane; essi furon poi alleati or dell’una or dell’altra fazione: e finalmente, quando entrambe le parti furono esauste, si mutarono in conquistatori. (1420)




Nell’autunno del 1470 i Turchi corsero il Friuli fino al Tagliamento. Nel 1477 e nel 1499 si spinsero fino alla Livenza, facendo prigionieri più di 25000 abitanti. Erasi appena il Friuli liberato da questa peste, che la Lega di Cambrai lo precipitò in nuova guerra rovinosa. Da allora, fin quasi ai nostri giorni, la cupidigia austriaca fu sempre rivolta a possedere questo lembo di terra italiana.




A Campoformio la decrepita repubblica veneta raccolse i frutti della neutralità disarmata.




Orazio.— Carmen saeculare:

Alme sol . . . . . . .
. . . . possis nihil urbe Roma
visere majus.