Canti (1835)/All'Italia

I. All’Italia

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Sopra il monumento di Dante

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O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l’erme
Torri degli avi nostri,
Ma la gloria non vedo,
5Non vedo il lauro e il ferro ond’eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme,
Nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimè quante ferite,
Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,
10Formosissima donna! Io chiedo al cielo
E al mondo; dite dite;
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
Che di catene ha carche ambe le braccia;
Sì che sparte le chiome e senza velo
15Siede in terra negletta e sconsolata,
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange,
Piangi, che ben hai donde, Italia mia,

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Le genti a vincer nata
20E nella fausta sorte e nella ria.

     Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
Mai non potrebbe il pianto
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
Che fosti donna, or sei povera ancella.
25Chi di te parla o scrive,
Che, rimembrando il tuo passato vanto,
Non dica: già fu grande, or non è quella?
Perchè, perchè? dov’è la forza antica,
Dove l’armi e il valore e la costanza?
30Chi ti discinse il brando?
Chi ti tradì? qual arte o qual fatica
O qual tanta possanza
Valse a spogliarti il manto e l’auree bende?
Come cadesti o quando
35Da tanta altezza in così basso loco?
Nessun pugna per te? non ti difende
Nessun de’ tuoi? l’armi, qua l’armi: io solo
Combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
40Agl’italici petti il sangue mio.

Dove sono i tuoi figli? Odo suon d’armi
E di carri e di voci e di timballi:
In estranie contrade

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Pugnano i tuoi figliuoli.
45Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,
Un fluttuar di fanti e di cavalli,
E fumo e polve, e luccicar di spade
Come tra nebbia lampi.
Nè ti conforti? e i tremebondi lumi
50Piegar non soffri al dubitoso evento?
A che pugna in quei campi
L’itala gioventude? O numi, o numi:
Pugnan per altra terra itali acciari.
Oh misero colui che in guerra è spento,
55Non per li patrii lidi e per la pia
Consorte e i figli cari,
Ma da nemici altrui
Per altra gente, e non può dir morendo:
Alma terra natia,
60La vita che mi desti ecco ti rendo.

     Oh venturose e care e benedette
L’antiche età, che a morte
Per la patria correan le genti a squadre;
E voi sempre onorate e gloriose,
65O tessaliche strette,
Dove la Persia e il fato assai men forte
Fu di poch’alme franche e generose!
Io credo che le piante e i sassi e l’onda
E le montagne vostre al passeggere

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70Con indistinta voce
Narrin siccome tutta quella sponda
Coprìr le invitte schiere
De’ corpi ch’alla Grecia eran devoti.
Allor, vile e feroce,
75Serse per l’Ellesponto si fuggia,
Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;
E sul colle d’Antela, ove morendo
Si sottrasse da morte il santo stuolo,
Simonide salia,
80Guardando l’etra e la marina e il suolo.

     E di lacrime sparso ambe le guance,
E il petto ansante, e vacillante il piede,
Toglieasi in man la lira:
Beatissimi voi,
85Ch’offriste il petto alle nemiche lance
Per amor di costei ch’al Sol vi diede;
Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira.
Nell’armi e ne’ perigli
Qual tanto amor le giovanette menti,
90Qual nell’acerbo fato amor vi trasse?
Come sì lieta, o figli,
L’ora estrema vi parve, onde ridenti
Correste al passo lacrimoso e duro?
Parea ch’a danza e non a morte andasse
95Ciascun de’ vostri, o a splendido convito:

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Ma v’attendea lo scuro
Tartaro, e l’onda morta;
Nè le spose vi foro o i figli accanto
Quando su l’aspro lito
100Senza baci moriste e senza pianto.

     Ma non senza de’ Persi orrida pena
Ed immortale angoscia.
Come lion di tori entro una mandra
Or salta a quello in tergo e sì gli scava
105Con le zanne la schiena,
Or questo fianco addenta or quella coscia;
Tal fra le Perse torme infuriava
L’ira de’ greci petti e la virtute.
Ve’ cavalli supini e cavalieri;
110Vedi intralciare ai vinti
La fuga i carri e le tende cadute,
E correr fra’ primieri
Pallida e scapigliato esso tiranno;
Ve’ come infusi e tinti
115Del barbarico sangue i greci eroi,
Cagione ai Persi d’infinito affanno,
A poco a poco vinti dalle piaghe,
L’un sopra l’altro cade. Oh viva, oh viva:
Beatissimi voi
120Mentre nel mondo si favelli o scriva.

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     Prima divelte, in mar precipitando,
Spente nell’imo strideran le stelle,
Che la memoria e il vostro
Amor trascorra o scemi.
125La vostra tomba è un’ara; e qua mostrando
Verran le madri ai parvoli le belle
Orme del vostro sangue. Ecco io mi prostro,
O benedetti, al suolo,
E bacio questi sassi e queste zolle,
130Che fien lodate e chiare eternamente
Dall’uno all’altro polo.
Deh foss’io pur con voi qui sotto, e molle
Fosse del sangue mio quest’alma terra.
Che se il fato è diverso, e non consente
135Ch’io per la Grecia i moribondi lumi
Chiuda prostrato in guerra,
Così la vereconda
Fama del vostro vate appo i futuri
Possa, volendo i numi,
140Tanto durar quanto la vostra duri.